Gli anarco-capitalisti di
professione
di Giuseppe Pennisi, in Economia, Quotidiano, del 20 Mar 2018, 19:13
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La meritoria
casa editrice LiberiLibri di Macerata (l’unica forse che si dedica
interamente alla pubblicazione di classici e moderni delle letteratura
liberale) ha appena portato in libreria il saggio “L’Anarco-Capitalismo”
di Pierre Lemieux, un economista e pubblicista canadese (pp. 170 Euro 16). Il
Canada – è da tenersi presente – è un po’ l’antitesi dell’anarco-capitalismo
dato che ha un esteso welfare state, forse il più vasto nel continente
americano. Il volume è diviso in tre parti. Nella prima Lemieux illustra la
propria visione dell’anarco-capitalismo; quasi per definizione, infatti, le
interpretazioni dell’anarco-capitalismo sono tante quante gli anarco-capitalisti.
Nella seconda, si passano in rassegna il pensiero dei principali teorici
dell’anarco-capitalismo (Ayn Rand, John Locke, Robert Nozick, Murray Rothbard,
Lysander Spooner). Nella terza si esplorano le critiche all’anticapitalismo ed
i dibattiti sull’argomento. E’ un saggio che si legge bene anche grazie
all’ottima traduzione in italiano di Elena Frontaloni. Esce in Italia
trent’anni dopo la pubblicazione a Parigi presso le Presses Universitaires
de France. Non credo che l’anarco-capitalismo abbia avuto una grande
evoluzione in questi ultimi decenni. Sia perché gli anarco-capitalisti (e gli
stessi anarchici) sono numericamente pochi, sia perché i loro maître à penser
appartengono ormai ad una generazione anziana ove non vetusta, data l’avanzata
del liberismo e del socialismo liberale.
E’ un saggio
denso di pensiero, ma non accademico. Contiene un’ampia rassegna bibliografica
ma le note sono ridotte al minimo indispensabile. E’ un lavoro indispensabile
per chi voglia entrare nelle visioni estreme del liberalismo, oltre lo Stato
minimo teorizzato, ma mai attuato negli anni, ad esempio, di Ronald Reagan e
Margaret Thatcher. Lemieux è un anarco-capitalista “di professione”, tanto fa
dell’anarco-capitalismo non solo la sua veste ma l’ottica con cui vede e legge
il resto del mondo.
Il libro non
è solo una lettura indispensabile per chi voglia ‘avere un’idea’ del pensiero
anarco-capitalista (specialmente nella seconda parte) ma anche per chi voglia
addentrarsi nella ‘versione di Lemieux’. In questa prima parte viene esposta
un’interpretazione dell’anarco-capitalismo basata su quello che chiamerei
‘contrattualismo estremo’. In tutte la transazioni economiche (pure quelle
relative a beni pubblici come la giustizia, la democrazia e la difesa), lo
Stato (pur minimo) cederebbe il passo a rapporti contrattuali tra privati,
individui o agenzie. L’approccio è stimolante ma non sembra tenere conto degli
alti costi di transazione (in una visione liberale è il livello di tali costi
di transazione che porta all’esigenza dello Stato) e del fatto che le
‘posizioni originarie’ dei partecipanti allo scambio non sono equivalenti. Il
neocontrattualismo porta poi inevitabilmente a John Rawls ed al suo ‘maximin’
per risolvere il nodo delle differenti ‘posizioni originarie’. Ciò comporta non
uno Stato minimo, o non esistente, ma uno Stato con una forte funzione
redistributiva. L’anarco-capitalista di professione, quindi, si avviluppa nelle
sue contraddizioni.
C’è, poi, un
interrogativo sollevato dallo stesso Lemieux: quali società anarco-capitaliste
hanno contribuito allo sviluppo (soprattutto culturale) mondiale? Ne cita un
paio, nordiche, ammettendo che il loro contributo è stato nullo o quasi.
Conosco bene Africa ed Asia; anche le società più primitive hanno qualche forma
di assetto statuale anche solo per l’amministrazione della giustizia. Ho
esperienza di anarco-capitalismo puro solo nella provincia di Enga
nell’altopiano nella Nuova Guinea; i rapporti sono regolati unicamente con
contratti impliciti tra clan. E’ rimasta ai livelli più bassi dello sviluppo.
Vorrei
suggerire a Lemieux il saggio di Stevan Kolev dell’Istituto di Economia
internazionale di Amburgo, pubblicato a fine 2016 nei Working Papers del
Center for History of Political Economy e intitolato “Ludwig von Mises
and the ‘Ordo-Interventionists’ – More than Just Aggression and Contempt?”
(Ludwig von Mises e gli Ordo-Interventisti – Non fu solo questione di
aggressività e disprezzo). E’ liberamente scaricabile dal sito del centro studi
di Amburgo.
Il lavoro è
un’attenta ricostruzione, in parte su materiale inedito, dei quaranta anni di
relazioni intellettuali tra il leader della scuola austriaca di economia
liberale Ludwig von Mises (1881-1973) e due tra gli economisti più rappresentativi
dell’ordoliberalismo tedesco: Walter Eucken (1891-1950) e Wilhelm Röpke
(1899-1966). Il lasso di tempo studiato va dall’inizio degli anni Venti fino
alla morte di Röpke, avvenuta nel 1966. In questo lungo periodo ci sono state
cinque fasi distinte in cui l’interazione scientifica e professionale si è
intersecata con una rete complessa di simpatie e antipatie interpersonali.
Nella prima
fase la scuola austriaca e la scuola tedesca (in gran misura basata sullo
studio della storia economica più che su quello della teoria) si confrontarono
per conoscersi meglio, affilando le rispettive lame. Nella seconda fase il
dibattito si incentrò sullo studio del ciclo economico. Nella terza si passò
dalle differenze sull’analisi del ciclo economico a veri e propri scontri, al Colloquio
Walter Lippmann nel 1938 e ai primi vent’anni di incontri della Mont
Pélerin Society, nata nel 1947. La quarta fase segnò la ‘coesistenza
pacifica’ nel periodo del miracolo economico tedesco. L’ultima è stata quella
dell’avvicinamento e viene studiata anche sulla base di materiale storiografico
inedito relativo all’unica laurea onoraria in economia che von Mises ricevette
nel 1964 dall’Università di Friburgo.
Sulla base
di questa ricostruzione storica il lavoro presenta congetture sulle ragioni per
cui i protagonisti, pur lavorando sui medesimi temi, non sono mai riusciti ad
impegnarsi in veri e produttivi dibattiti scientifici che in quegli anni
avrebbero potuto controbattere al crescente intervento pubblico di marca keynesiana.
Kolev formula diverse ipotesi, in gran misura meta economiche e aventi a che
fare con le personalità dei protagonisti. Il lavoro ha anche un’ampia sezione
che, mettendo a confronto le due scuole, può essere di grande utilità al
pensiero neo-liberale di questi anni.
Giuseppe Pennisi
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