Per l’Unione
monetaria il mercato non basta Serve condividere i rischi
Ci si
attendevano grandi cose dalla riunione dei ministri economici e finanziari
(Ecofin) del 13 marzo (e dalla contemporanea riunione dell’Eurogruppo) in
termini sia di risoluzione di problemi immediati (ad esempio, il trattamento
dei crediti deteriorati, argomento su cui pure istituzioni europee hanno punti
di vista divergenti) sia di riforma dell’Eurozona. C’è stato, invece, un nulla
di fatto. In aggiunta, un gruppo di Paesi guidati dall’Olanda, hanno assunto
posizioni nettamente 'rigoriste' nei confronti degli Stati con alto debito
sovrano e difficoltà di consolidamento di finanza pubblica. I progetti di
spessore di riforma dell’unione monetaria sono stati, per il momento, accantonati.
Eppure da un
'grande disegno' di riassetto dell’Unione occorre partire perché le cronache
degli ultimi anni suggeriscono che l’Eurozona si sta avviluppando in numerosi
nodi (primo tra tutti quello del debito sovrano) che ne minacciano lo sviluppo.
Un punto di partenza può essere il documento redatto da 14 economisti (7
francesi e 7 tedeschi), presentato il 17 gennaio in una sede tecnica, il Centre
for European Policy Reform, a Bruxelles. Gli economisti che lo hanno redatto
sono vicini alla politica di Francia e di Germania, soprattutto Jean
Pisani-Ferry, docente a Sciences Po a Parigi e alla Hertie School of Government
di Berlino e Jeronim Zetterlmeyer del Peterson Institute of International
Economics. Né il governo francese né quello tedesco hanno fatto proprio il
documento che si articola in sei punti principali: la rottura del circolo
vizioso tra banche e titoli di Stato; la sostituzione del patto di stabilità
con nuove regole sulla spesa pubblica nominale (la cui crescita non dovrebbe
superare quella del Pil nominale); un nuovo sistema di ristrutturazione dei
debiti sovrani, un maggior ruolo agli Uffici parlamentari di bilancio. Negli
ultimi due mesi, il documento ha suscitato un fiorire di osservazioni e di
papers (in Italia, di particolare rilievo il lavoro di Marcello Messori,
direttore della Luiss School of European Political Economy, e di Stefano
Micossi, direttore dell’Assonime). Semplificando al massimo testi con contenuti
molto tecnici, occorre trovare un punto di equilibrio tra 'disciplina di mercato'
e 'condivisioni del rischio'. Il Trattato di Maastricht si basa quasi
interamente sulla 'disciplina di mercato' (posti alcuni paletti alla 'finanza
pubblica', regole in materia di rapporti tra deficit delle pubbliche
amministrazione e debito pubblico, da un lato, e Pil, dall’altro) nella
convinzione che, data una unica politica monetaria condotta dalla Bce, il
mercato avrebbe disciplinato (con spread più elevati) gli Stati 'devianti'. Le
vicende degli ultimi anni (specialmente a ragione della crisi iniziata nel
2008) hanno dimostrato che, da sola, la disciplina di mercato non basta e deve
essere affiancata da misure di 'condivisione del rischio'. Senza la quale non
si va lontano e si mettono a repentaglio i risultati sin qui raggiunti
dall’unione monetaria.
Giuseppe
Pennisi
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