“La
lady Macbeth del distretto di Mzensk” di Dmitry Šostakovič arriva il 13 aprile
al San Carlo di Napoli.E’ un lavoro del 1934, poco rappresentato in Italia. Cosa
spiega questo relativo oblio di uno dei maggiori lavori di uno dei maggiori
compositori del Novecento? Come mai in Italia non si è trovato nessun
distributore disposto a scommettere sul film di Tony Palmer “Testimony” del
1987 tratto dalle memorie di Šostakovič raccolte dal giornalista Solomon
Volkov, nonostante il successo di pubblico in vari Paesi?
La vita ed il
percorso artistico di Šostakovič
sono una dimostrazione incontrovertibile delle estreme difficoltà che
l’intellettuale, anche un comunista convinto (come lui), ha alle prese con il
sistema (e la non cultura) del “socialismo reale”.
Dopo il grottesco “Il naso”, Šostakovič scelse come sue secondo lavoro per
il teatro in musica, un truculento racconto di Nicolai Leskov’La lady Macbeth
del distretto di Mensk” – uno storiaccia di sesso e sangue in cui la
protagonista, Katerina L’vovna, borghese di provincia mal ammogliata ed
assatanata da pulsioni erotiche, uccide tutti gli uomini che si porta sotto le
lenzuola (nel racconto, ammazza anche il proprio figlio in fasce, dopo averlo avuto
dal bel Sergej , dotatissimo lavorante a giornata nell’azienda del suocero e
del marito, già fatti fuori uno dopo l’altro). L’opera sarebbe dovuta essere la
prima di una tetralogia dedicata alla donna russa – ovviamente alla donna
post-rivoluzionaria, liberata sessualmente e – come scritto in “Testimony”- “di
livello assai superiore al suo ambiente”. L’opera è “dedicata alla mia
fidanzata, con cui poi mi sono sposato” ed “imperniata su come potrebbero
l’amore, se il mondo non fosse zeppo di cose abiette”- “Katerina è un genio
della passione, per amore della quale è pronta a tutto, anche ad uccidere”..
Che l’argomento non fosse considerato poco appropriato, lo dimostra che prima
ancora di leggere il racconto, Šostakovič ne avesse avuto contezza tramite una
versione cinematografica di Cesar Savinki – una lettura molto cruda in cui la
protagonista appare come una vera e propria mantide serial killer. Quindi,
nulla che potesse essere in contrasto con le tendenze del Partito in materia di
arte e spettacolo. C’era, però, la musica. Prendiamo sempre cosa dice
Šostakovič in persona: “è musica fatta appositamente alla rovescia, in modo da
non ricordare affatto la classica musica d’opera, da non avere nulla a che fare
con il sinfonismo, con il linguaggio musicale semplice e comprensibile a
tutti”. Šostakovič non poteva sapere che su percorsi analoghi si stavano
mettendo compositori tedeschi (come Berg, Korngold, Krener, Zemlisky), le cui
composizioni sarebbero state considerate degenerate dal nazismo, ed italiani (Malipiero,
Dallapiccola) i cui lavori sarebbero stati, invece, esaltati dal fascismo,
specialmente dalla corrente modernista.
“La lady Macbeth” ebbe la prima rappresentazione il 22
gennaio 1934 al “Malyi”di San Pietroburgo con un esito trionfale i cui echi
furono tali da giungere oltre i confini dell’Urss, tanto che venne ripresa (oltre che dai maggiori teatri
russi) anche Londra, a Praga e a Cleveland, nell’arco di meno di 18 mesi.
Sembrava destinata ad un successo tale da assicurare l’ascesa del suo autore ai
piani più alti delle gerarchie artistiche del regime. Sino a quando, la mattina
del 28 gennaio 1936, la “Pravda” pubblicò un editoriale non firmato, ma pare
dettato dallo stesso Stalin, ed intitolato “Caos anziché musica”: si accusava
il lavoro di pornografia e di cacofonia. Da allora (si era nel 1936) iniziò ,
per Šostakovič non ancora trentenne, un processo di “mobbing” che durò sino
alla fine degli Anni 50 Nel 1963 propose una nuova edizione de “La lady
Macbeth”, espurgata, però,nel testo, nella partitura ed anche nel titolo
(diventato “Katerina L’vovna”): ha grande successo in tutta l’Europa centrale
nei repertori dei cui teatri entra definitivamente; è questa versione che viene
conosciuta in Italia, principalmente tramite tournées dell’Opera di Zagabria,
di Lubiana ed anche di Sarajevo a Napoli, Genova e nei circuiti della Lombardia
e dell’Emilia-Romagna tra gli Anni 60 e 70. “La lady Macbeth” del 1934 si è
ascoltata soltanto nel 1947 al festival di musica contemporanea di Venezia, nel
1980 a Spoleto, nel 1987 a Trieste, nel 1992 alla Scala e nel 1994 e 1998 a
Firenze.
Resta un interrogativo. Come mai Stalin (in tante
faccende affaccendato) si è rivolto a “La lady Macbeth” ed al suo autore due
anni dopo la prima rappresentazione e dedicandogli il fondo della “Pravda”? La
saggistica in materia è vastissima, anche di autori italiani. Puntuale la
risposta di Francesco Maria Colombo: “In due anni era maturato un trionfo di
proporzioni così colossali che era necessario dargli una frenata.
poteva essere bella o brutta, cacofonica o cantata dagli angeli; aveva successo
e, per questo il suo destino, era segnato”. Una risposta eloquente e
rivelatrice della linea di pensiero del comunismo. E di tutti i post-comunismi.
Chi ha successo deve essere fermato.
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