martedì 20 marzo 2018

La Lady Macbeth sbarca a Napoli in Formiche mensile aprile


“La lady Macbeth del distretto di Mzensk” di Dmitry Šostakovič arriva il 13 aprile al San Carlo di Napoli.E’ un lavoro del 1934, poco rappresentato in Italia. Cosa spiega questo relativo oblio di uno dei maggiori lavori di uno dei maggiori compositori del Novecento? Come mai in Italia non si è trovato nessun distributore disposto a scommettere sul film di Tony Palmer “Testimony” del 1987 tratto dalle memorie di Šostakovič raccolte dal giornalista Solomon Volkov, nonostante il successo di pubblico in vari Paesi?
 La vita ed il percorso artistico di Šostakovič sono una dimostrazione incontrovertibile delle estreme difficoltà che l’intellettuale, anche un comunista convinto (come lui), ha alle prese con il sistema (e la non cultura) del “socialismo reale”.
 Dopo il grottesco “Il naso”,  Šostakovič scelse come sue secondo lavoro per il teatro in musica, un truculento racconto di Nicolai Leskov’La lady Macbeth del distretto di Mensk” – uno storiaccia di sesso e sangue in cui la protagonista, Katerina L’vovna, borghese di provincia mal ammogliata ed assatanata da pulsioni erotiche, uccide tutti gli uomini che si porta sotto le lenzuola (nel racconto, ammazza anche il proprio figlio in fasce, dopo averlo avuto dal bel Sergej , dotatissimo lavorante a giornata nell’azienda del suocero e del marito, già fatti fuori uno dopo l’altro). L’opera sarebbe dovuta essere la prima di una tetralogia dedicata alla donna russa – ovviamente alla donna post-rivoluzionaria, liberata sessualmente e – come scritto in “Testimony”- “di livello assai superiore al suo ambiente”. L’opera è “dedicata alla mia fidanzata, con cui poi mi sono sposato” ed “imperniata su come potrebbero l’amore, se il mondo non fosse zeppo di cose abiette”- “Katerina è un genio della passione, per amore della quale è pronta a tutto, anche ad uccidere”.. Che l’argomento non fosse considerato poco appropriato, lo dimostra che prima ancora di leggere il racconto, Šostakovič ne avesse avuto contezza tramite una versione cinematografica di Cesar Savinki – una lettura molto cruda in cui la protagonista appare come una vera e propria mantide serial killer. Quindi, nulla che potesse essere in contrasto con le tendenze del Partito in materia di arte e spettacolo. C’era, però, la musica. Prendiamo sempre cosa dice Šostakovič in persona: “è musica fatta appositamente alla rovescia, in modo da non ricordare affatto la classica musica d’opera, da non avere nulla a che fare con il sinfonismo, con il linguaggio musicale semplice e comprensibile a tutti”. Šostakovič non poteva sapere che su percorsi analoghi si stavano mettendo compositori tedeschi (come Berg, Korngold, Krener, Zemlisky), le cui composizioni sarebbero state considerate degenerate dal nazismo, ed italiani (Malipiero, Dallapiccola) i cui lavori sarebbero stati, invece, esaltati dal fascismo, specialmente dalla corrente modernista.
“La lady Macbeth” ebbe la prima rappresentazione il 22 gennaio 1934 al “Malyi”di San Pietroburgo con un esito trionfale i cui echi furono tali da giungere oltre i confini dell’Urss, tanto che  venne ripresa (oltre che dai maggiori teatri russi) anche Londra, a Praga e a Cleveland, nell’arco di meno di 18 mesi. Sembrava destinata ad un successo tale da assicurare l’ascesa del suo autore ai piani più alti delle gerarchie artistiche del regime. Sino a quando, la mattina del 28 gennaio 1936, la “Pravda” pubblicò un editoriale non firmato, ma pare dettato dallo stesso Stalin, ed intitolato “Caos anziché musica”: si accusava il lavoro di pornografia e di cacofonia. Da allora (si era nel 1936) iniziò , per Šostakovič non ancora trentenne, un processo di “mobbing” che durò sino alla fine degli Anni 50 Nel 1963 propose una nuova edizione de “La lady Macbeth”, espurgata, però,nel testo, nella partitura ed anche nel titolo (diventato “Katerina L’vovna”): ha grande successo in tutta l’Europa centrale nei repertori dei cui teatri entra definitivamente; è questa versione che viene conosciuta in Italia, principalmente tramite tournées dell’Opera di Zagabria, di Lubiana ed anche di Sarajevo a Napoli, Genova e nei circuiti della Lombardia e dell’Emilia-Romagna tra gli Anni 60 e 70. “La lady Macbeth” del 1934 si è ascoltata soltanto nel 1947 al festival di musica contemporanea di Venezia, nel 1980 a Spoleto, nel 1987 a Trieste, nel 1992 alla Scala e nel 1994 e 1998 a Firenze.
Resta un interrogativo. Come mai Stalin (in tante faccende affaccendato) si è rivolto a “La lady Macbeth” ed al suo autore due anni dopo la prima rappresentazione e dedicandogli il fondo della “Pravda”? La saggistica in materia è vastissima, anche di autori italiani. Puntuale la risposta di Francesco Maria Colombo: “In due anni era maturato un trionfo di proporzioni così colossali che era necessario dargli una frenata. poteva essere bella o brutta, cacofonica o cantata dagli angeli; aveva successo e, per questo il suo destino, era segnato”. Una risposta eloquente e rivelatrice della linea di pensiero del comunismo. E di tutti i post-comunismi. Chi ha successo deve essere fermato.


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