Stravinskij/
"L'Histoire du Soldat": l'opera che apre un solco nel Novecento
storico
Il diavolo, subdolo ed ingannatore che promette ricchezza e
felicità al povero soldatino, riesce da ultimo a farlo cadere in trappola.
GIUSEPPE PENNISI 10 marzo 2018 Giuseppe Pennisi
Peppe
Servillo, foto: Max Pucciariello
L’Histoire
du Soldat di Igor Stravinskij è quasi uno ‘staple’ (cibo abituale) delle
istituzioni musicali romane. Ne ricordo un’edizione con regia di Peter Sellars,
al Teatro India (sede sul lungotevere meridionale per spettacoli sperimentali
del Teatro di Roma) alla fine degli anni Novanta, in cui testo e partitura
erano fortemente interpolate tanto da deludere, nonché produzioni relativamente
recenti all’Orchestra Sinfonica di Roma (2011), all’Opera di Roma (2013),
all’Accademia Filarmonica Romana (2015) e all’Orchestra di Piazza Vittorio
(2016).
Igor
Stravinskij, sempre profondamente anti-comunista anche in quanto i Soviet
avevano espropriato tutti i beni suoi e della sua famiglia, aveva lasciato la
Russia alle prime avvisaglie della rivoluzione sovietica ma poco più di cento
anni fa aveva portato in Francia la musica tradizionale russa con quel Le
Sacre du Printemps che causò notevole scalpore a Parigi ma trionfò a
Montecarlo, prima, e nel resto d’Europa, poi.
Con
la prima guerra mondiale sul suolo francese, emigrò povero in canna in Svizzera
dove componeva lavori proprio allo scopo di portarli in giro per città e
villaggi a costi bassissimi: l’Histoire comporta un attore – voce
recitanti (nelle versioni più elaborate – ne ricordo una alla Piccola Scala nel
1981 - vengono utilizzate marionette) e un ensemble di sette strumentisti
(violino, tromba, clarinetto, fagotto, trombone, percussioni, contrabbasso). In
breve un ensemble mai utilizzato prima di allora e mai ripreso successivamente.
L’Histoire du Soldat è una micro-opera. Verso schemi simili andò Britten
dopo la seconda guerra mondiale a ragione delle sempre maggiori difficoltà di
allestimento di opere tradizionali che il compositore preconizzava a causa
delle crescenti restrizioni economiche e dell’aumento di offerta in altri
settori (cinema, televisione, viaggi).
Comunque
ebbe ‘la prima esecuzione assoluta’ non nella piazza di un villaggio ma
all’Opéra di Losanna, una elegante sala con palchi e gallerie nel settembre
1918, a guerra terminata. Oggi alcuni compositori italiani e stranieri stanno
tornando verso “opere da camera” e “micro-opere”. L’Histoire è, quindi,
lavoro che apre un solco nel “Novecento storico”: l’abbandono delle opere
post-romantiche e veriste con enormi organici ed il ritorno all’opera da
salotto della Camerata Bardi. Il musicologo Giovanni Gavazzeni ricorda un altro
aspetto importante de L’ Histoire: è il lavoro con cui Stravinskij
effettua una sbalorditiva virata dal periodo russo alla poetica neoclassica
sino ad approdare in vecchiaia alla dodecafonia in un’operina per la
televisione finanziata da una casa di dentifrici.
La
trama è di un’innocenza al limite dell’ingenuo ma i versi di Charlez Ramuz
messi in musica da Stravinskij ne fanno un’ironica ma profonda considerazione
sulla condizione umana. Oppure una parabola: il diavolo, subdolo ed ingannatore
che promette ricchezza e felicità al povero soldatino, riesce da ultimo a farlo
cadere in trappola. E’ anti-comunista perché il diavolo è – lo ha detto lo
stesso compositore – il Soviet che tutto promette e nulla dà. Attenzione pochi
sanno che Stravinskij, morto nella propria villa vicina a New York, chiese di
essere sepolto in Italia per (lo è nel cimitero di Venezia) per essere vicino a
Diaghilev (con cui aveva portato la musica slava in occidente e perché l’Italia
era stata governata dall’unico politico – Mussolini! - che aveva apprezzato e
promosso la musica contemporanea). Nonostante la sua avversione al comunismo,
era assolutamente apolitico, come rivela un’intervista data in Francia, durante
il Fronte Popolare, in cui dice di “aborrire” la sinistra, “detestare” la
destra e che il centro gli “fa semplicemente schifo”.
L’Histoire
dura circa tre quarti d’ora. La sera dell’8 marzo, è stata presentata
dall’Accademica Filarmonica Romana al Teatro Argentina in una serata in cui
nella prima parte si ascoltavano due lavori del Novecento – Tre pezzi per
clarinetto solo sempre di Stravinskij del 1917 (quindi coetaneo all’Histoire
) L’elogio per un’ombra per violino solo di Petrassi del 1971) - ed
uno contemporaneo (La terra del rimorso di Panni del 2013). Un buona
scelta che colloca l’Histoire nell’appropriato contesto storico e nei
suoi sviluppi. Interessante anche l’assonanza con la Turandot di Busoni,
di recente vista ed ascoltata a Cagliari e recensita su questa testata: hanno
numerosi punti in comune – dall’ironia nel trattate miti antichi (quello di
Faust ne L’Histoire ) alla sintassi (due brevi parti- ciascuna in
numerosi piccoli numeri musicali)
L’ensemble
di Roma Sinfonietta diretto da Fabio Maestri è stato il protagonista della
serata: è un complesso di virtuosi solisti come hanno dimostrato Luca Cipriano
e Marco Serino nei brani per clarinetto solo e per violino solo nella
prima parte. Peppe Servillo era la voce recitante ; il testo di Ramuz, in
traduzione ritmica italiana (la voce recitante è quasi un melologo ) con alcune
inflessioni , per il soldato, in napoletano.
Serata
godibilissima ed applausi molto meritati.
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