martedì 7 luglio 2015

Serve una scelta politica come lo fu quella per la Grecia nell’Unione in Avvenire 7 luglio


Serve una scelta politica come lo fu quella per la Grecia nell’Unione
L’Eurosummit si riunisce oggi per decidere cosa fare dopo gli esiti del referendum greco. È una scelta puramente politica: la Repubblica Ellenica è l’unico Stato dell’Eurozona ammesso a fare parte del club nonostante il parere contrario degli uffici della Commissione. Le ragioni furono, da un lato, il sentimento che la Grecia del 500 Avanti Cristo era stata la culla della civiltà europea, dall’altro la percezione (molto forte oltre Atlantico) che la Turchia non fosse adeguata come fianco esterno della Nato. Anche la decisione se procedere o meno ad un terzo 'salvataggio' (i primi due hanno avuto, per gli Stati europei che se lo sono accollati, un costo pari al Pil della Repubblica Ellenica) è scelta esclusivamente politica, a cui si oppongono non tanto la Germania, ma anche Stati dell’Eurozona a livello di reddito più basso di quello della Grecia, Stati che in questi anni, per stare a testa alta nell’euro, hanno compiuto severi consolidamenti delle loro finanze pubbliche e ristrutturazioni delle loro economie reali.Una scelta squisitamente politica verrebbe pregiudicata se la Bce interrompesse, in attesa delle decisioni dei 'Grandi', il programma di supporto straordinario alle banche greche: crollerebbe quel che resta della ristretta base produttiva del Paese e sarebbe difficilissima una sua ricostruzione. Lo sospensione del programma implicherebbe che si è già deciso di mettere Atene alla porta dell’euro, e forse della stessa Unione prima che si siano vagliati con cura aspetti e conseguenza politiche (anche lo spappolamento della Ue previsto circa vent’anni fa da Martin Feldstein e Alberto Alesina). Ci sono numerosi modi tecnici per dare corso alle decisioni politiche che verranno prese dal vertice. Se la scelta è di facilitare la Grexit, sarebbe utile definire con il governo greco un percorso che limiti i danni di tutti: accettare ritardi nei rimborsi del debito pubblico, attivare aiuti umanitari e prestare assistenza tecnica verso una nuova moneta che, al pari di quelle di Gran Bretagna, Danimarca e Svezia potrebbe trovare casa nel così detto SME II, un accordo sui cambi che prevede oscillazioni del 15% attorno a una parità centrale. È un’ipotesi più realistica di quello secondo cui Atene utilizzerebbe l’euro, ma non farebbe parte dell’Eurozona (e non avrebbe voce sulle politiche) come fanno numerosi piccoli Stati, da Andorra a San Marino al Montenegro. Se la decisione è, invece, quella di facilitare il rientro della Grecia a pieno titolo nell’eurozona, occorre che i contribuenti europei siano pronti ad aprire la Borsa per i prossimi dieci anni – le nostre stime coincisono con quelle di Paul Krugman e con quelle (riservate) del Fmi – a supporto di un programma di riassetto economico molto profondo monitorato in loco da un team di esperti internazionali.
Giuseppe Pennisi
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