Serve una scelta politica come lo fu quella per la
Grecia nell’Unione
L’Eurosummit si
riunisce oggi per decidere cosa fare dopo gli esiti del referendum greco. È una
scelta puramente politica: la Repubblica Ellenica è l’unico Stato dell’Eurozona
ammesso a fare parte del club nonostante il parere contrario degli uffici della
Commissione. Le ragioni furono, da un lato, il sentimento che la Grecia del 500
Avanti Cristo era stata la culla della civiltà europea, dall’altro la
percezione (molto forte oltre Atlantico) che la Turchia non fosse adeguata come
fianco esterno della Nato. Anche la decisione se procedere o meno ad un terzo
'salvataggio' (i primi due hanno avuto, per gli Stati europei che se lo sono
accollati, un costo pari al Pil della Repubblica Ellenica) è scelta
esclusivamente politica, a cui si oppongono non tanto la Germania, ma anche
Stati dell’Eurozona a livello di reddito più basso di quello della Grecia,
Stati che in questi anni, per stare a testa alta nell’euro, hanno compiuto
severi consolidamenti delle loro finanze pubbliche e ristrutturazioni delle
loro economie reali.Una scelta squisitamente politica verrebbe pregiudicata se
la Bce interrompesse, in attesa delle decisioni dei 'Grandi', il programma di
supporto straordinario alle banche greche: crollerebbe quel che resta della
ristretta base produttiva del Paese e sarebbe difficilissima una sua
ricostruzione. Lo sospensione del programma implicherebbe che si è già deciso
di mettere Atene alla porta dell’euro, e forse della stessa Unione prima che si
siano vagliati con cura aspetti e conseguenza politiche (anche lo spappolamento
della Ue previsto circa vent’anni fa da Martin Feldstein e Alberto Alesina). Ci
sono numerosi modi tecnici per dare corso alle decisioni politiche che verranno
prese dal vertice. Se la scelta è di facilitare la Grexit, sarebbe utile definire
con il governo greco un percorso che limiti i danni di tutti: accettare ritardi
nei rimborsi del debito pubblico, attivare aiuti umanitari e prestare
assistenza tecnica verso una nuova moneta che, al pari di quelle di Gran
Bretagna, Danimarca e Svezia potrebbe trovare casa nel così detto SME II, un
accordo sui cambi che prevede oscillazioni del 15% attorno a una parità
centrale. È un’ipotesi più realistica di quello secondo cui Atene utilizzerebbe
l’euro, ma non farebbe parte dell’Eurozona (e non avrebbe voce sulle politiche)
come fanno numerosi piccoli Stati, da Andorra a San Marino al Montenegro. Se la
decisione è, invece, quella di facilitare il rientro della Grecia a pieno
titolo nell’eurozona, occorre che i contribuenti europei siano pronti ad aprire
la Borsa per i prossimi dieci anni – le nostre stime coincisono con quelle di
Paul Krugman e con quelle (riservate) del Fmi – a supporto di un programma di
riassetto economico molto profondo monitorato in loco da un team di esperti
internazionali.
Giuseppe Pennisi
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