Ecco cosa
propone davvero il Fmi per i debiti della Grecia
17 - 07 - 2015Giuseppe Pennisi
Leggendo
cronache ed analisi della stampa italiana, pare che, parafrasando un ‘classico’
di Sergio Leone, i ruoli si siano un po’ trasformati: il Cattivo non è più il Fondo monetario (che rivoleva i propri
soldi ed adesso invece, da Buono, perora
una riduzione del debito greco), ma lo sono diventati gli Stati nordici, la
Spagna ed il Portogallo che hanno presentato proposte più pesanti di quella
stessa Germania (per anni mostrata come una strega senza cuore). Anzi essi
adesso rappresentato Il Brutto.
Il Bello è
rimasta la Banca centrale europea (Bce) che ha deciso di prorogare il programma
di assistenza alle banche greche nonostante la confusione ancora imperante ad
Atene sul futuro del Governo e delle politiche del Paese.
Prima
di formulare giudizi (i nostri lettori sono perfettamente in grado di farlo da
soli), occorre ricordare alcuni fatti e spiegare sia perché ci si arrivati sia
quali sono i contenuti effettivi del documento Fmi in cui si propone la
ristrutturazione del debito greco.
Oggi
il debito greco ammonta a 317,6 miliardi di euro. Di questo totale, 141,9 e
59,2 sono crediti del meccanismo europeo di stabilità e di alcuni Stati
europei: sommando le due voci (circa 200 miliardi, dato che sono gli Stati
europei a finanziare il meccanismo di stabilità) , i maggiori creditori sono,
nell’ordine, Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. Su queste due
voci, si può pensare a un aiuto alla Grecia tramite “un periodo di grazia”. Non
si può farlo per i crediti del Fondo monetario (21,1 miliardi) e della Bce (27)
poiché espressamente vietato dagli statuti delle due istituzioni, ratificati da
tutti gli Stati membri come trattati internazionali. E’ difficile pensarlo che
si possa farlo con i 51,4 miliari sul mercato e ancor meno con i 22,7 miliardi
in mano principalmente a fondi comuni e hedge
funds. Giurisprudenza recente (nel caso della
ristrutturazione dell’Argentina) dimostra che, ove la Grecia lo facesse
unilateralmente, si aprirebbe un contenzioso che potrebbe portare non ad
un default ma
ad una dichiarazione di fallimento dello Stato e pignoramento di attività quali
il porto del Pireo.
Si
è arrivati a questa composizione a ragione della ristrutturazione del 201 ,
quando le banche creditrici hanno accettato (o meglio invogliato) un taglio del
50% (100-110 milioni di euro ossia 10 euro a testa per ciascun greco) in
cambio dell’intervento di creditori istituzionali (Fondo monetario, Bce,
Meccanismo europeo di stabilità, singoli Stati) ed interessi più bassi nonché
allungamento delle scadenze.
Si
è spiegato che debiti nei confronti di Fondo monetario, Bce e Meccanismo
europeo di stabilità sono sacri; non possono essere ‘ritoccati’ senza mandare
all’aria l’architettura finanziaria internazionale, la proposta del Fondo
riguarda una parte dei crediti di cui sono titolari i privati, essenzialmente
agli azionisti (in misura grandi oligopolisti in vari comparti dell’economia
greca) a cui si chiede un bail
in, termine tecnico che in sostanza vuole dire che siano
loro i primi a pagare per la situazione dei loro istituti. Come previsto
d’altronde, dalle regole della Unione Bancaria Europea.
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