venerdì 10 luglio 2015

In Cina le famiglie hanno sostituito azzardo con azioni in Avvenire 10 luglio


In Cina le famiglie hanno sostituito azzardo con azioni
Ci vogliono nervi saldi ed una memoria da elefante nel valutare la contrazione del 30% circa – nonostante il rimbalzo di ieri – degli indici di Borsa cinesi nelle ultime quattro settimane. In primo luogo, le Borse del Celeste Impero sono da tempo caratterizzate da forti alti e bassi: al boom del 2007 seguì un crollo nel 2008 ed una ripresa sostenuta nel 2008-2010. Nei 12 mesi che hanno preceduto il 6 giugno 2015, l’indice è aumentato dell’88% ed il rapporto P/E (price earnings ratio ossia la relazione tra prezzo di acquisto medio di un’azione e i profitti) da 10 a circa 26 nel maggio scorso (a titolo di raffronto il P/E a New York si aggira sul 17).
Cosa significano questi numeri? La Borsa cinese è volatile perché le grandi società cinesi sono quotate a Londra e New York, mentre quello quotate unicamente a Shangai hanno spesso una governance che lascia a desiderare e sono più suscettibili di oscillazioni. Inoltre, investire in Borsa è diventato il passatempo preferito di una classe mediaemergente che guarda al breve periodo ed ha una formazione limitata; per molte famiglie la Borsa ha preso il posto del gioco d’azzardo, grande passione dei cinesi ma clandestino dal tempo della rivoluzione comunista. Chi è entrato pochi mesi fa con l’ottica di guadagni in poche settimane ci ha rimesso le penne, ma chi ha investito da almeno sei mesi ha mediamente ottenuto una plusvalenza e – se non è preso dal panico (e non vende) – può contare su capital gains (guadagni) più che decenti. Per molti aspetti, la misure prese dalle autorità (la sospensione di 1500 aziende quotate per eccesso di ribasso) sembrano eccessive e possono aggravare la situazione nelle prossime settimane. Possono contagiare altre piazze o alcuni settori (ad esempio il lusso), dando l’impressione di un tracollo Nel retroterra di questi ultimi ribassi sui listini c’è, in ogni caso, il rallentamento economico in atto: dieci anni fa la Cina cresceva al 10-12% l’anno, ora al 7%. L’e-conomia si è diversificata, i consumi cresciuti, il traino non sono più le mega-infrastrutture (spesso poco rispettose dell’ambiente) e l’export (a volte all’insegna della contraffazione). Non è un processo indolore e si riflette, ovviamente, nei mercati finanziari. Quindi per molti aspetti si tratta di un aggiustamento tecnico. È difficile vedere cosa giustificasse le quotazioni toccate in primavera; è meno arduo comprendere il faticoso ritorno alla normalità. Se il fenomeno dell’ultimo mese (destinato a continuare per qualche settimana) viene affrontato con lucidità, le implicazioni a livello internazionale saranno contenute.
Giuseppe Pennisi
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