In Cina le famiglie hanno sostituito azzardo con
azioni
Ci vogliono nervi
saldi ed una memoria da elefante nel valutare la contrazione del 30% circa –
nonostante il rimbalzo di ieri – degli indici di Borsa cinesi nelle ultime
quattro settimane. In primo luogo, le Borse del Celeste Impero sono da tempo
caratterizzate da forti alti e bassi: al boom del 2007 seguì un crollo nel 2008
ed una ripresa sostenuta nel 2008-2010. Nei 12 mesi che hanno preceduto il 6
giugno 2015, l’indice è aumentato dell’88% ed il rapporto P/E (price earnings
ratio ossia la relazione tra prezzo di acquisto medio di un’azione e i
profitti) da 10 a circa 26 nel maggio scorso (a titolo di raffronto il P/E a
New York si aggira sul 17).
Cosa significano
questi numeri? La Borsa cinese è volatile perché le grandi società cinesi sono
quotate a Londra e New York, mentre quello quotate unicamente a Shangai hanno
spesso una governance che lascia a desiderare e sono più suscettibili di
oscillazioni. Inoltre, investire in Borsa è diventato il passatempo preferito
di una classe mediaemergente che guarda al breve periodo ed ha una formazione
limitata; per molte famiglie la Borsa ha preso il posto del gioco d’azzardo,
grande passione dei cinesi ma clandestino dal tempo della rivoluzione
comunista. Chi è entrato pochi mesi fa con l’ottica di guadagni in poche
settimane ci ha rimesso le penne, ma chi ha investito da almeno sei mesi ha
mediamente ottenuto una plusvalenza e – se non è preso dal panico (e non vende)
– può contare su capital gains (guadagni) più che decenti. Per molti aspetti,
la misure prese dalle autorità (la sospensione di 1500 aziende quotate per
eccesso di ribasso) sembrano eccessive e possono aggravare la situazione nelle
prossime settimane. Possono contagiare altre piazze o alcuni settori (ad
esempio il lusso), dando l’impressione di un tracollo Nel retroterra di questi
ultimi ribassi sui listini c’è, in ogni caso, il rallentamento economico in
atto: dieci anni fa la Cina cresceva al 10-12% l’anno, ora al 7%. L’e-conomia
si è diversificata, i consumi cresciuti, il traino non sono più le mega-infrastrutture
(spesso poco rispettose dell’ambiente) e l’export (a volte all’insegna della
contraffazione). Non è un processo indolore e si riflette, ovviamente, nei
mercati finanziari. Quindi per molti aspetti si tratta di un aggiustamento
tecnico. È difficile vedere cosa giustificasse le quotazioni toccate in
primavera; è meno arduo comprendere il faticoso ritorno alla normalità. Se il
fenomeno dell’ultimo mese (destinato a continuare per qualche settimana) viene
affrontato con lucidità, le implicazioni a livello internazionale saranno
contenute.
Giuseppe Pennisi
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