Vi racconto le riforme
sfuggenti nel Def e nel Pnr
AddThis Sharing Buttons
Share to WhatsAppShare to TwitterShare to Facebook3Share to Google+Share to LinkedInShare to E-mail
Il commento
dell'economista Giuseppe Pennisi
Non so
quanti di coloro che si sono addentrati nello studiare la politica economica
del governo abbiamo letto con attenzione i quattro volumi di Documenti
approvati l’11 aprile e resi disponibili del 13. È un esecutivo di fine
legislatura e, quindi, di breve respiro; ciò non incoraggia a studiare circa
400 pagine a stampa fitta con la consapevolezza che politiche economiche e
riforme verranno, alla fin fine, molto verosimilmente attuate da altri, sempre
che chi succede a questo governo sia d’accordo con l’impostazione data negli
ultimi anni da chi è stato ‘nelle stanze dei bottoni’.
È un errore
perché avendo tempo, le 400 pagine meritano di essere lette. Sono ben
scritte, frutto probabilmente dello stile di qualcuno di formazione americana
poiché la stesura ricorda molto quella dei documenti dell’Amministrazione
americana. Rappresentano un consuntivo di quanto si è cercato di fare negli
ultimi anni; sarebbe stata utile una maggiore modestia perché, ad esempio, i
risultati nei singoli settori del Programma nazionale di riforma, Pnr, (quali
mercato del lavoro, scuola) sono sostanzialmente contraddetti nella seconda
parte (dove si indicano cosa c’è da fare proprio nei campi dove si sarebbe
fatto meglio e di più). Da un altro lato, sono un’indicazione ai successori –
inutile dire che l’attuale governo si augura di succedere a sé stesso- di cosa
fare nella prossima legislatura. Quindi, hanno pure il tono di un corposo
programma elettorale.
Come in
qualsiasi programma elettorale, hanno elementi tali da attrarre gli occhi, come
l’Indicatore Sintetico delle Riforme che ricorda molto gli indicatori elaborati
dal Centro Piani creato da Franco Archibugi ed elaborati nel 1962-65 a supporto
dei primi tentativi di programmazione dei governi di cento sinistra. Quindi,
insieme alla patina Yankee e Ivy League c’è una buona dose di
vecchio. In fin dei conti, trattandosi dell’eredità che un governo di centro
sinistra lascia a beneficiari ignoti ma che il ministero si augura siano anche
essi di centro sinistra, è naturale che si riagganci alle prime esperienze di
centro-sinistra.
Tuttavia,
l’eleganza dello stile non deve distrarre dalle lacune dei documenti. In altra
testata, ho sottolineato come il Def si regga su un’ipotesi molto fragile di
logica matematica già contraddetta dai 20 migliori modelli previsionali
econometrici. In questa nota, che riguarda il Pnr, credo sia utile ricordare
titoli di vecchi film come Venere in Visone (primo oscar di Elisabeth
Taylor) e Sotto il vestito niente. In breve due drammoni patinati.
In effetti,
la prima parte elenca in “do” maggiore le riforme fatte dal governo Renzi, ma
come si è detto, dopo un centinaio di pagine in “re” maggiore le stesse riforme
vengono riconosciute come “incompiute” in cui c’è ancora tanto da fare. Nei
capitoli successivi si indicano riforme da fare per rovesciare il Paese come un
calzino – forse è anche appropriato – ma non c’è alcuna specificità in materia
di quelle che ‘mordono’: privatizzazioni, liberalizzazioni, sistema bancario,
ruolo della Cdp. In breve, ci sono vaghe indicazioni, ma nulla di specifico.
Tornando al
cinema, il viscontiano Vaghe stelle dell’Orsa termina molto male.
Nessun commento:
Posta un commento