Vi dico un paio di cosette sul
Cnel
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Il Consiglio
dei ministri dell’11 aprile ha avviato la procedura per il rinnovo dei
Consiglieri del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel).
Appartengo all’organo di rilievo costituzionale dal luglio 2010 nel gruppo di
esperti nominati direttamente dal Capo dello Stato ed ho il compito di
presiedere la Commissione speciale per l’informazione che ha la funzione di
archiviare e catalogare i contratti di lavoro nel settore privato e di redigere
il rapporto annuale sul mercato del lavoro. Sono uno dei ‘giapponesi’ – così
vengono chiamati da alcuni cronisti- rimasti al Cnel dopo che un’improvvida
norma azzerò, dal primo gennaio 2015, l’emolumento di 25.000 euro lordi l’anno
ed il rimborso delle spese di missione. Mi sono consultato con chi mi aveva
nominato: non solo l’esito del referendum sulla riforma costituzione era incerto
(ha, come è noto, stravinto il ‘no’) ma servire lo Stato è molto più
importante di 1200 euro netti al mese e di pagare di tasca propria viaggi
essenziali per il servizio.
I dipendenti
del Cnel possono confermare che ho lavorato con assiduità ed impegno per
l’organo anche dopo il primo gennaio 2015. La ‘relazione tecnica’ alla norma
che ha reso difficile il lavoro del Cnel affermava che al referendum avrebbe
vinto il ‘sì’ e che l’organo sarebbe stato chiuso. La norma comportava un
risparmio di 500.000 euro a fronte di una spesa di 10 milioni di euro per
manutenzione e costi dei dipendenti (di cui ovviamente una fetta importante per
gradi apicali). Quindi una spending review all’incontrario.
Credo che il
Cnel abbia un ruolo importante nella politica di questi difficili anni di
transizione economica, politica e sociale in cui i corpi intermedi hanno un
ruolo sempre maggiore nella formazione delle scelte pubbliche e necessitano,
quindi, di un assetto istituzionale. Ciò spiega perché sono circa un centinaio
gli Stati che si sono dotati di Consigli Economici e Sociali (o con una
denominazione leggermente differenti), perché anche l’Unione Europea e la
Nazioni Unite hanno organi analoghi (di cui fa parte il Cnel italiano), perché
esiste un’associazione internazionale (AICESIS) che collega queste istituzioni
(l’Italia ne ha avuto la presidenza nel 2009-2011). In questi anni, la natura
stessa dei corpi intermedi è mutata: è diminuito il ruolo dell’industria e del
sindacato novecentesco e cresciuto quello delle professioni, del volontariato,
del terzo settore e di quelle altre forme di imprenditorialità e di lavoro che
solo pochi decenni orsono avevano un ruolo marginale nella società. Lo vedeva
chiaramente Marco Biagi nel proporre uno statuto dei lavori.
Basandosi su
dati dell’archivio Cnel, il giorno di Pasqua Il Corriere della Sera dedicava
una pagina al fatto che degli 809 contratti collettivi nazionali di lavoro solo
un terzo sono firmati da Cgil, Cisl e Uil. Basta questo indicatore per
dimostrare che un organo come il Cnel è necessario per aiutare governo e
Parlamento se non altro, a sbrogliare la intricata matassa della rappresentanza
e della rappresentatività.
Sarebbe
stato ottimale riformare il Cnel – una bozza di testo è stato presentata al
governo ed alle Presidenze di Camera e Senato – prima di avviare la procedura
di nomina, anche se è probabile che proprio sul tema della rappresentanza e
della rappresentatività tale procedura potrà incagliarsi.
Occorre,
però, consentire al Cnel di espletare i propri compiti (anche quelli attuali) a
piena capacità. Dal primo gennaio 2015, si è lavorato a ranghi ridotti e senza
risorse. Numerosi Consiglieri hanno dato le dimissioni: non potevano affrontare
le trasferte a Roma senza essere rimborsati. La documentazione ufficiale mostra
che gli adempimenti di politica interna (analisi di Def-Pnr e Legge di
Bilancio, Rapporto sul Mercato del Lavori, audizioni parlamentari, e via
discorrendo) sono stati rispettati. Il Cnel ha organizzato seminari su
sollecitazione del governo Gentiloni. Un seminario recente, su innovazione ed
occupazione, ha inaugurato un nuovo modo di predisporre il rapporto sul mercato
del lavoro; il seminario, realizzato in collaborazione con l’Ocse e con il
centro studi ImpresaLavoro, ha portato attorno ad un tavolo specialisti e
rappresentati dei nuovi corpi intermedi. Un altro ha dato uno contributo alle
decisioni del Governo in materia di politica della famiglia. Ne è in
preparazione uno di gran rilievo alla Camera dei Deputati. Tuttavia, il Cnel
non ha potuto rispondere con la speditezza voluta ad alcuni compiti come la
nomina di propri rappresentanti i Consigli Superiori di alcuni ministeri.
Soprattutto
non ha potuto svolgere il proprio ruolo internazionale. Con il Cese europeo ci
si è arrangiati grazie a Skype ma all’Ocse ed a organi analoghi delle Nazioni
Unite e delle agenzie specializzate Onu, la sedia dell’Italia è rimasta vuota.
Ciò – ha detto informalmente un Commissario Europeo – ha pesato e, se non
corretto, continuerà a pesare nelle relazione tra Bruxelles e Roma.
Mi auguro,
nell’interesse del Paese, che il Cnel venga riformato per essere al passo con i
tempi ed i suoi componenti vengano scelti non vengano scelti con il principio promoveatur
ut amoveatur o con quello di integrare pensioni – criteri che sembra
abbiamo ispirato alcune parti sociali nelle due ultime tornate.
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