venerdì 7 aprile 2017

Tassare i robot per detassare il lavoro in Avvenire del 7 aprile



le frontiere della tecnica
Tassare i robot per detassare il lavoro
Occorre mettere un’imposta sull’utilizzazione di robot (con il cui gettito ridurre la tassazione sul lavoro) per evitare che l’automazione aumenti la disoccupazione? Il nodo risale all’inizio dell’industrializzazione nel diciottesimo secolo quando contro i telai a vapore si levò il movimento luddista dal nome di Ned Ludd (verosimilmente un personaggio di fantasia), un giovane che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio in segno di protesta.
Si ripropose con la diffusione dell’automazione negli Trenta quanto venne impostato in modo corretto su come giungere a neutralità di imposizione su Capitale e Lavoro; fondamentale un saggio di Paul Studenski, «Towards a Theory of Business Taxation », apparso sul Journal of Political Economynel 1940. In Italia ci siamo dati un sistema di tassazione moderno solo negli Anni Settanta. Fondamentale il lavoro di Antonio Di Majo, «Struttura economica e struttura tributaria: il prelievo sulle imprese» del 1986 a cui governo e Parlamento si ispirarono (non senza travisamenti) nel creare l’Irap. L’imposta sui robot ne sarebbe per alcuni una variante .
Gli effetti di sostituzione sembrano eccessivamente enfatizzati. Uno studio della McKinsey giunge alla conclusione che, se si considera l’attuale tecnologia, solo il 5% delle occupazioni verrebbe cancellato dai robot. Un lavoro di Daron Acemoglu del MIT (in odore di Nobel) e Pascual Restrebo della Boston University – disponibile online dal 25 marzo, quindi freschissimo – stima l’effetto di sostituzione nel mercato del lavoro Usa: negli Stati Uniti in futuro ove si arrivasse a un rapporto di un robot per mille lavoratori, la riduzione dell’occupazione sarebbe al massimo dello 0,18-0,34% e quella dei salari 0,25-0,50%. Quindi trascurabile. James Besson, anche lui della Boston University, è ancora più ottimista: dal suo modello econometrico si evince che i robot complessivamente avranno effetti benefici aumentando – in Paesi ad alto reddito – la produttività e l’occupazione complessiva (specialmente nei servizi) e la formazione e qualificazione dei lavoratori, mentre il manifatturiero a bassa tecnologia si sposterebbe nei Paesi in via di sviluppo attivando là impieghi. Il centro studi Adapt, creato da Marco Biagi, pone invece l’accento, nei suoi periodici Bollettini, sull’urgenza di rispondere con una maggiore e migliore formazione.
Meno ottimista lo studio Ryan Abbot e di Bret N. Bogenschneider, University of Surrey, messo sulla rete il 24 marzo: a loro parere, i sistemi tributari nei maggiori Paesi Ocse incentivano l’automazione in quanto tassano il lavoro più del capitale e «i robot non pagano imposte sul reddito» e, quindi, sono «pessimi contribuenti». Un cambiamento di rotta può essere realizzato facendo pulizia di deduzioni e detrazioni tributarie alle persone giuridiche (in Italia, anni fa Francesco Giavazzi stilò un programma per conto del ministro dell’Economia e Finanze, ma non se ne seppe più nulla).
© RIPRODUZIONE RISERVAT

Nessun commento: