I 100 anni del Festival di
Salisburgo
Giuseppe
Pennisi e Patrice Poupon Easy
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Oggi 25
Aprile è non solo la ricorrenza della liberazione ma anche il centenario della
nascita del Festival di Salisburgo e del contributo dato ai progetti di integrazione
europea. Infatti il 25 Aprile 1917 Max Reinhardt, (nella foto) inviò a
un gruppo di amici il “Memorandum regarding the Construction of a Festival
Theatre in Hellbrunn”, al castello nei pressi di Salisburgo.
“Abbiamo
tutte le ragioni per commemorare coloro che cedettero, cento anni fa alla
realizzazione del Festival, nonostante le difficoltà della guerra allora il
corso” afferma il presidente della manifestazione Helga Rabl-Stadler.
Il
memorandum di Reinhartd era indirizzato da Berlino dal direttore generale dei
Teatri imperiali di Vienna. Era di carattere artistico ma anche politico: il
festival sarebbe stato uno dei primi lavori per la pace. Prevedeva un programma
con una vasta base, non un festival mozartiano da contrapporre a quello
wagneriano di Bayreuth. Un festival che comprendesse il meglio di musica e
teatro e che avesse come finalità la pace in Europa.
Il Festival
di Salisburgo sarebbe dovuto essere, nell’intenzione, dei due principali
proponenti, Hugo von Hofmannsthal e Max Reinhardt, un luogo non solo
fisico ma soprattutto culturale dove l’Europa intellettuale, amante della
musica e delle arti, si riunisse ogni anno; la loro collaborazione e
integrazione culturale avrebbe posto fine alle guerre. L’idea di base era:
trovare un luogo ideale lontano dalla vita quotidiana e le occupazioni, delle
grandi città, ed entrare in nuovo contesto di esistenza in cui la pace e la
collaborazione tra i popoli fossero le caratteristiche dominanti. Già nel 1917,
in piena guerra, a Vienna era stata create la Salzburger
Festspielhaus-Gemeinde grazie all’iniziativa di Friedrich Gehmacher
e Heinrich Damisch per trovare i finanziamenti per costruire un teatro
dove ospitare il festival. Si associarono all’iniziativa personalità come lo
scenografo Alfred Roller, il compositore Richard Strauss e il
direttore d’orchestra Franz Schalk. C’era anche in un ruolo forse meno
visibile, ma molto importante, lo scrittore e poeta Stefan Zweig (morto
tragicamente in Brasile dove si era rifugiato a causa delle persecuzioni naziste)
di cui a Salisburgo si può ammirare la splendida villa, sulla Collina dei
Capuccini, con una vista mozzafiato sulla città.
Autore
prolifico ma poco noto di quanto meriterebbe in Italia, Zweig – come ha
ricordato il settimanale britannico The Economist nel numero natalizio
del 2016 – è stato un precursore del pensiero sull’integrazione europea. Dopo
la Prima guerra mondiale, in cui non combatté ma che considerò un trauma perché
dissolse l’Europa in cui era cresciuto e vissuto, tornò in Austria e si stabilì
a Salisburgo insieme alla moglie. Ebbe inizio il suo grande successo come
scrittore: divenne l’autore più tradotto nel mondo della sua epoca.
Nel suo
libro Il Mondo di Ieri. Ricordi di un europeo (Mondadori, 1994)
completato nel 1941, parte offrendo impressioni di vita viennese e
mitteleuropea dagli anni del liceo, nel decennio anteriore alla Prima guerra
mondiale, descrivendo l’integrazione della cultura di origine ebraica nella
società asburgica e il multiculturalismo di quest’ultima. Il libro, che si
sofferma più sugli eventi sociali e culturali dell’epoca che sui ricordi
personali della sua vita privata, segnala senza indulgenze i difetti della
società della belle époque (povertà di gran parte della popolazione europea,
stato di minorità delle donne, ipocrisia sessuale e diffusione della
prostituzione, ecc.), ma anche il crollo della mitologia del progresso
indefinito, che animava la fine del secolo e che mostrò la corda nel carnaio
della Grande guerra. Zweig descrive i contatti tentati durante il primo
conflitto mondiale con ambienti culturali lungo i due lati del campo di
battaglia, allo scopo di mantenere una koiné che prescindesse dalla
guerra. I titolo di molti capitoli (Eros matutinus, Universitas vitae)
evocano una cultura umanista che riemerge – assai intaccata – dalla Grande
guerra, in una serie di circoli letterari che saranno le prime vittime
dell’insorgente dittatura nazista. Zweig termina la narrazione esattamente il
1º settembre 1939, data dell’attacco della Germania nazista alla Polonia che
l’autore apprese passeggiando lungo i giardini del Royal Crescent di Bath dove
si era esiliato dal 1934. Per Zweig l’evento rappresentava la realizzazione
delle sue peggiori paure e la fine di tutte le sue speranze.
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