I ‘CONSIGLI’ A PADOAN E
GENTILONI PER FAR QUADRARE I CONTI
Giuseppe
Pennisi
DPF Come sempre, siamo in ritardo. Avremmo dovuto
completare il Documento di Economia e Finanza (DEF) ed il Piano Nazionale di
Riforme (PNR) per oggi 10 aprile, discutere i due documenti in Parlamento ed
inviarli, subito dopo, a Bruxelles per l’analisi che l’Unione Europea (UE) deve
fare per fine mese – un mese lavorativo accorciato dalle vacanze pasquali.
Invece, il Consiglio dei Ministri è convocato per domani 11 aprile , ma
probabilmente non ne uscirà né il DEF né il PNR e neanche i loro indici e le
loro tracce. Nei Palazzi romani non è
chiaro se ci sarà un nuovo Consiglio dei Ministri prima di Pasqua o se
l’approvazione dei documenti verrà rinviata ad attorno il 19-20 aprile . I
documenti arriveranno a Bruxelles sul rotto della cuffia. Poco danno; pare che
altri ‘grandi Stati’ (segnatamente la Francia) siano in ritardo mentre i
piccoli (soprattutto i nordici ) siano perfettamente in regola. Ma,
riconosciamolo, hanno meno gatte da pelare.
Al solito , il nodo su cui è tesa tutta
l’attenzione dei politici è come fare quadrare i conti. Le preoccupazioni
immediate sono per l’ ‘aggiustamento’ di 3,4 (o secondo altri di 3,2) miliardi
da fare entro fine mese. Quelle a più lunga (ma non tanto) scadenza sono i
19-21 miliardi da trovare per la legge di bilancio 2018. Devono essere
individuati nel DEF , che verrà ‘aggiornato’ in settembre sulla base
dell’andamento effettivo dell’economia reale nei prossimi mesi, e diventeranno
il cuore della normativa da approvare entro fine 2017.
Come ci siamo ridotti in questo stato? Lo abbiamo
detto spesso negli ultimi anni. Il Governo non ha fatto politica economica , ma
si è occupato della ‘grande riforma costituzionale’ (bocciata dagli elettori) ,
di gruppi di pressione da attirare verso il PD (unioni civili) di mance
elettorali ( gli 80 euro al mese ai percettori di bassi redditi, i 500 euro ai
diciottenni) , e cose simili. Quindi ci troviamo ancora con una produttività
rasoterra ed un debito pubblico sempre più alto.
Matteo Renzi aveva detto che avrebbe lasciato la
politica se avesse vinto il ‘NO’ al referendum costituzionale. Invece, si
comporta come azionista di maggioranza del Governo Gentiloni e mostra l’ansia
di tornare al più presto a Palazzo Chigi. Poco gli cala di essere ormai uno dei
politici meno credibili del G20 e che i pronostici considerino una chimera il
suo rientro a Palazzo Chigi.
Possiamo solo suggerire a Paolo Gentiloni ed a Pier
Carlo Padoan di non dargli retta e di elaborare un DEF ed un PNR che mettano
l’accento sulla tanto trascurata economia reale: unicamente se la tremolante
ripresina diventa crescita , si potranno quadrare i conti. A Bruxelles lo
sanno. I partner europei saranno ben disposti a darci una dilazione rispetto al
baratro finanziario del 2018 , se presenteremo un piano realistico per
l’economia reale.
Questo piano deve chiaramente dare la priorità alle
privatizzazioni (iniziando da quella della Rai e relativa abolizione del canone)
e da quelle del ‘capitalismo regionale, provinciale e municipale’ (ancora
ottomila aziende che il Governo Renzi si era impegnato a ridurre a 1000 entro
la fine del 2016 !) ed alle liberalizzazioni (la legge sulla competitività è
bloccata in Parlamento e le promesse di approvarla ‘mettendo la fiducia’ non
hanno sino ad oggi avuto seguito).
Ci sono , poi, altri punti cruciali
emersi, ad esempio, ad un seminario tenuto al CNEL il 6 aprile su come
affrontare la rivoluzione tecnologica, essenziale per dare un impulso alla
produttività ma dall’altro tale da spiazzare occupazione soprattutto quella
meno qualificata.La vera sfida che Industria 4.0 comporta, riguarda, più
che la tecnologia, il lavoro. Essa potrà essere affrontata nella misura in cui
la tecnologia non si ponga come strumento di sostituzione dei lavoratori, ma
sia capace di abilitarne le competenze, la creatività e l’autonomia. Occorre
che il sistema-Paese riesca a trovare un equilibrio tra investimenti in
tecnologia e investimenti in competenze, in modo da porre il lavoratore – a
valle di una crisi economica, sociale, globale ed epocale - in una nuova
centralità nei processi produttivi. La causa principale della produttività
stagnante non si rinviene tutta nella scarsa quantità/qualità degli investimenti
in tecnologia, ma nella mancanza di una diffusa organizzazione del lavoro in
grado di implicare la piena partecipazione dei lavoratori e lo sviluppo
costante delle loro competenze professionali, in particolare digitali,
indispensabile per poter tenere il passo con l’organizzazione del lavoro che
cambia. L’unico elemento che emerge sistematicamente come cruciale
nell’attenuare i fenomeni di spiazzamento/ sostituzione nel mercato del lavoro
è dato dall’istruzione e dalla formazione. Nel breve periodo, infatti, e in
determinati settori produttivi, l’innovazione può avere effetti dirompenti
soprattutto per quei lavoratori non in possesso di competenze e qualifiche
necessarie per ricollocarsi facilmente in nuove occupazioni e in settori
emergenti.
Tuttavia , come ha sottolineato una recente
analisi di The Economist, le imprese
soprattutto le piccole e medie non saranno in grado di affrontare la sfida
tecnologica se non riparte il credito verso di loro e l’erogazione dei loro
crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Per far ciò, bisogna anzitutto trovare soluzioni,
nazionali o europee, per alleviare il
peso delle sofferenze nei bilanci bancari, che tiene alta
l’avversione degli istituti al rischio di credito. Infatti il lento recupero dell’economia
italiana sta avvenendo nonostante continui la riduzione dei prestiti alle imprese (-15,3% dal 2011, -2,2% nel 2016).
Ma è proprio questa diminuzione uno dei freni dell’economia, che
aiuta a spiegare il divario di crescita con Francia e Germania. Il
credito in Italia si riduce anche nel manifatturiero (-19,6% dal 2011,
-3,4% nel 2016), con ampi divari di andamenti nei vari settori.
A questi temi se ne aggiungono numerosi altri. Ma
cominciare da questi, sarebbe un buon avvio.
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