martedì 4 aprile 2017

UN DUELLO DI VOCI: MARIA STUARDA A ROMA in Il Sussidiario del 4 aprile



UN DUELLO DI VOCI: MARIA STUARDA A ROMA
Giuseppe Pennisi

Delle opere dedicate da Donizetti alle Regine Tudor (tre costituiscono una vera e propria trilogia altamente drammatica, mentre la quarta è un lavoro semi-serio a lieto fine poco eseguito), Maria Stuarda è la più rappresentata, ma , prima di questa ultima produzione, in collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli, a Roma si è vista ed ascoltata solo tre volte.
 Si dispone di un’edizione critica in due atti curata da Anders Wiklund che cerca, al meglio, di proporre quella che sarebbe dovuta essere la versione destinata al San Carlo nel 1834: accentua come il dramma sia a due voci femminili (un soprano in grado di passare dalle vette della coloratura al declamato nel ruolo della Regina di Scozia ed un mezzo , o un mezzo  soprano ,“spinto” in quello della Regina d’Inghilterra). Si contendono un tenore di grazia (il cui ruolo è peraltro limitato); è per il possesso del bel Leicester che Maria Stuarda viene inviata al capestro da Elisabetta. Maria Stuarda è un’opera compatta: circa due ore di musica rispetto alle quasi tre di Anna Bolena e Roberto Devereux, le altre due della trilogia. Per mera coincidenza, mentre terminavano le repliche di Maria Stuarda a Roma iniziavano quelle di Anna Bolena al Teatro alla Scala di Milano. Ho visto ed ascoltato la prima dal vivo, mentre mi sono accontentato della trasmissione radiofonica della seconda. Attendendo ancora che un teatro , come fece per anni la New York City Opera, decida di presentare l’intera trilogia (quindi, inclusiva di Roberto Devereux ), ho avuto modo di ascoltare le prime due opere quasi in successione.
L’impressione è stata che il Teatro dell’Opera la ha vinta alla grande su La Scala (dove Anna Bolena mancava da 35 anni ed è ancora vivo il ricordo di una strepitosa interpretazione della Callas ne 1957 e nel 1958. Quindi a Milano ci sono stati .fischi, dunque, pronti nei confronti della “rea di usurpazione” , Hibla Gerzmava, soprano russo di consolidata esperienza che, invece, ha sorpreso i: voce piena e anche bella, tecnica affidabile, grinta da vendere. “Buu” anche al direttore Ion Marin  forse per una lettura un po’  bandistica della partitura  Contestato anche a Carlo Colombara, fuori forma per poter sostenere adeguatamente il ruolo di Enrico VIII. Pare che regia, scene e costumi fossero molto convenzionale. Ad un ascolto radiofonico, tuttavia, l’aspetto più grave è che non veniva offerta un’edizione critica ma una versione che è parsa con numerosi tagli.
Veniamo alla Maria Stuarda romana che ha fatto il ‘tutto esaurito’ sia alla prima sia alle repliche. Regia molto efficace di Andrea De Rosa  in una scena sostanzialmente unica di Sergio Tramonti e con bei costumi (essenzialmente in bianco e nero) di Ursula Patzak . Recitazione di gran classe. Occorre ricordare che una diecina di anni fa, De Rosa ha messo in scena a Cremona ed a Napoli la tragedia di Schiller , da cui è tratta l’opera. Ha , quindi, scavato nel dramma psicologico delle due protagoniste e nel loro confronto-scontro nel parco di Fortenringa (pura, e geniale, invenzione di Schiller poiché nella realtà storica le due regine non si sono mai incontrate).
L’opera è essenzialmente un duello a due voci, in cui nel primo atto, si inserisce un tenore di grazia e nel secondo un baritono. Di norma , il duello è tra un mezzo-soprano (Elisabetta , che domina il primo atto) ed un soprano (Maria che regge quasi da sola il secondo atto), ma all’epoca di Donizetti le differenze di classificazione di voci non erano così nette. In questa edizione si confrontano due soprani :Carmela Remigio (Elisabetta) che va lodata per la maestria con cui gestisce la propria voce (la ricordo alla fine degli Anni Novanta a Aix en Provence nel celebre Don Giovanni in cui Abbado e Harding si alternavano alla bacchetta) ora che , con gli anni, è diventata più spessa) e Marina Rebeka (voce purissima con grande attenzione all’uso del fiato). In breve, due ‘belcantiste’ eccezionali :il match termina alla pari. Le affiancano Paolo Fanale in stato di grazia e Carlo Cigni in grandissima forma.
Come in numerose altre opere di Donizetti (ed in quasi tutte quelle di Bellini), la partitura orchestrale è soprattutto in supporto delle voci. Paolo Arrivabeni, in buca, lo sa e concerta di conseguenza. Anche il coro (diretto da Roberto Gabbiani) è di contorno ai quattro protagonisti e lo fa con grande eleganza (soprattutto nella seconda parte del secondo atto).
Una produzione esemplare che dovrebbe essere registrata in DvD o CD.

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