UN
DUELLO DI VOCI: MARIA STUARDA A ROMA
Giuseppe Pennisi
Delle
opere dedicate da Donizetti alle Regine Tudor (tre costituiscono una vera e
propria trilogia altamente drammatica, mentre la quarta è un lavoro semi-serio
a lieto fine poco eseguito), Maria Stuarda
è la più rappresentata, ma , prima di questa ultima produzione, in
collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli, a Roma si è vista ed
ascoltata solo tre volte.
Si dispone di un’edizione critica in due atti
curata da Anders Wiklund che cerca, al meglio, di proporre quella che sarebbe
dovuta essere la versione destinata al San Carlo nel 1834: accentua come il
dramma sia a due voci femminili (un soprano in grado di passare dalle vette
della coloratura al declamato nel ruolo della Regina di Scozia ed un mezzo , o
un mezzo soprano ,“spinto” in quello
della Regina d’Inghilterra). Si contendono un tenore di grazia (il cui ruolo è
peraltro limitato); è per il possesso del bel Leicester che Maria Stuarda viene
inviata al capestro da Elisabetta. Maria
Stuarda è un’opera compatta: circa due ore di musica rispetto alle quasi
tre di Anna Bolena e Roberto Devereux, le altre due della
trilogia. Per mera coincidenza, mentre terminavano le repliche di Maria Stuarda a Roma iniziavano quelle
di Anna Bolena al Teatro alla Scala
di Milano. Ho visto ed ascoltato la prima dal vivo, mentre mi sono accontentato
della trasmissione radiofonica della seconda. Attendendo ancora che un teatro ,
come fece per anni la New York City Opera, decida di presentare l’intera
trilogia (quindi, inclusiva di Roberto
Devereux ), ho avuto modo di ascoltare le prime due opere quasi in
successione.
L’impressione
è stata che il Teatro dell’Opera la ha vinta alla grande su La Scala (dove Anna Bolena mancava da 35 anni ed è
ancora vivo il ricordo di una strepitosa interpretazione della Callas ne 1957 e
nel 1958. Quindi a Milano ci sono stati .fischi, dunque, pronti nei confronti
della “rea di usurpazione” , Hibla Gerzmava, soprano russo di consolidata esperienza
che, invece, ha sorpreso i: voce piena e anche bella, tecnica affidabile,
grinta da vendere. “Buu” anche al direttore Ion Marin forse per una lettura un po’ bandistica della partitura Contestato anche a Carlo Colombara, fuori
forma per poter sostenere adeguatamente il ruolo di Enrico VIII. Pare che
regia, scene e costumi fossero molto convenzionale. Ad un ascolto radiofonico,
tuttavia, l’aspetto più grave è che non veniva offerta un’edizione critica ma
una versione che è parsa con numerosi tagli.
Veniamo
alla Maria Stuarda romana che ha
fatto il ‘tutto esaurito’ sia alla prima sia alle repliche. Regia molto
efficace di Andrea De Rosa in una scena
sostanzialmente unica di Sergio Tramonti e con bei costumi (essenzialmente in
bianco e nero) di Ursula Patzak . Recitazione di gran classe. Occorre ricordare
che una diecina di anni fa, De Rosa ha messo in scena a Cremona ed a Napoli la
tragedia di Schiller , da cui è tratta l’opera. Ha , quindi, scavato nel dramma
psicologico delle due protagoniste e nel loro confronto-scontro nel parco di
Fortenringa (pura, e geniale, invenzione di Schiller poiché nella realtà
storica le due regine non si sono mai incontrate).
L’opera
è essenzialmente un duello a due voci, in cui nel primo atto, si inserisce un
tenore di grazia e nel secondo un baritono. Di norma , il duello è tra un
mezzo-soprano (Elisabetta , che domina il primo atto) ed un soprano (Maria che
regge quasi da sola il secondo atto), ma all’epoca di Donizetti le differenze
di classificazione di voci non erano così nette. In questa edizione si
confrontano due soprani :Carmela Remigio (Elisabetta) che va lodata per la
maestria con cui gestisce la propria voce (la ricordo alla fine degli Anni
Novanta a Aix en Provence nel celebre Don
Giovanni in cui Abbado e Harding si alternavano alla bacchetta) ora che ,
con gli anni, è diventata più spessa) e Marina Rebeka (voce purissima con
grande attenzione all’uso del fiato). In breve, due ‘belcantiste’ eccezionali
:il match termina alla pari. Le
affiancano Paolo Fanale in stato di grazia e Carlo Cigni in grandissima forma.
Come
in numerose altre opere di Donizetti (ed in quasi tutte quelle di Bellini), la
partitura orchestrale è soprattutto in supporto delle voci. Paolo Arrivabeni,
in buca, lo sa e concerta di conseguenza. Anche il coro (diretto da Roberto
Gabbiani) è di contorno ai quattro protagonisti e lo fa con grande eleganza
(soprattutto nella seconda parte del secondo atto).
Una
produzione esemplare che dovrebbe essere registrata in DvD o CD.
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