Nell’ultimo rapporto sull’economia
internazionale, l’Ocse
sottolinea che il protezionismo
è il pericolo maggiore che oggi
corre l’economia mondiale: un
grafico presente nel documento
mostra che circa il 10% dei
posti di lavoro negli Usa dipendono
dal commercio globale;
in Italia e nel Regno Unito
quella cifra supera il 20% e in
Germania si avvicina al 30%.
In caso di una nuova ondata
di protezionismo, perderemo
tutti – chi più chi meno. Eppure,
dall’aprile 1995, il mondo si è
dato un corpo giuridico per evitare
nuove ondate protezionistiche
e meccanismi istituzionali
per farli rispettare. L’Organizzazione
mondiale del commercio
(Omc), a cui aderiscono circa
170 Paesi – a cui se ne aggiunge
un’altra ventina con ruolo
di osservatori – è il cardine
del sistema. Nell’istituire e
disciplinare il mercato globale,
l’Omc ha ridotto la ragion
d’essere dell’Unione europea in
numerose materie attinenti il
commercio. Dagli Ogm al made
in, dagli aiuti di Stato alla tutela
della salute: il mercato si fonda
sulle regole Omc. La stessa Ue è,
del resto, un membro Omc con
funzioni limitate: non ha diritto
di voto, non paga i contributi, è
portavoce degli Stati membri se
concordano ciò che deve dire, è
socio aggregato senza dignità e
rango statuali. Anzi, alcuni Stati
Ue hanno persino fatto ricorso
all’Omc senza il canale Ue; in
un caso, la Danimarca si è persino
rivolta all’Omc contro quella
Ue di cui è Stato membro.
Circa un mese fa, gli Stati
Uniti hanno annunciato che, se
alcuni Stati – principalmente
dell’Ue – non si mettono in
regola, specialmente in materia,
applicherà dazi di ritorsione
nei loro confronti. In punta
di diritto, non è una richiesta
pretestuosa: diversi Stati Ue
sono stati condannati nelle sedi
giurisdizionali dell’Omc nel
non lontano 2009: per evitare
i dazi di ritorsione è stato
aperto un negoziato che non ha
portato a nulla. Quindi, gli Usa
hanno annunciato di applicare
le misure loro autorizzate dal
diritto internazionale. Chi vuole
saperne di più, legga il saggio
di Dario Ciccarelli che, per
quattro anni, ha rappresentato
l’Italia ai tavoli Omc, Il Trattato
Istitutivo dell’Omc e lo status
giuridico dell’Unione Europea
dal 15 aprile 1995, apparso nel
fascicolo gennaio-aprile 2014
della Rivista della cooperazione
giuridica internazionale; oppure
si rivolga a studi legali ginevrini
specializzati in queste materie
come Byrne-Sutton Bollen
Kern; oppure, ancora, consulti
scritti di Giuseppe Tesauro e
Sabino Cassese. Senza dubbio,
il presidente degli Stati Uniti,
Donald Trump, è quantomeno
pittoresco nel fare dichiarazioni
e annunciare provvedimenti.
E la stampa italiana ha creato,
sull’annuncio di The Donald in
materia di dazi, un elemento di
distrazione di massa dai problemi
nostri e dell’Ue. Nessuno si è
chiesto perché l’Italia, la Francia
o la Germania non siano corse
all’Omc per fare un ricorso o
aprire un contenzioso. L’Ue non
poteva farlo perché non è uno
Stato e perché, comunque, le
avrebbero risposto che l’Omc
era già andata a sentenza nel
2009 e che se le parti non avevano
raggiunto un accordo, era
naturale che i dazi di ritorsione
autorizzati nel 2009 venissero
applicati. Non si intende
difendere l’amministrazione
Trump, che già nella campagna
elettorale nel 2016 ha specificato
che lo slogan “America
first” contiene un’ampia dose di
protezionismo. Nell’attaccare,
a torto o a ragione, la politica
commerciale di Washington,
si sarebbe dovuto scegliere un
caso migliore. Si sarebbe evitata
la gaffe, ricordato all’Ue quali
sono i suoi limiti e non attizzato
il fuoco protezionista che in
Europa è sempre acceso, come
dimostrato dalla rottura del
negoziato transatlantico sul
commercio e gli investimenti,
nonostante siano i consumatori
e i produttori europei a rimetterci
di più.
Ma chi semina vento, raccoglie
tempesta.
*Presidente della commissione
Informazione del Cnel
e del comitato scientifico
del Centro studi impresa lavoro
di Giuseppe Pennisi*
Protezionismo: chi semina vento…
OECONOMICUS
51
internazionale, l’Ocse
sottolinea che il protezionismo
è il pericolo maggiore che oggi
corre l’economia mondiale: un
grafico presente nel documento
mostra che circa il 10% dei
posti di lavoro negli Usa dipendono
dal commercio globale;
in Italia e nel Regno Unito
quella cifra supera il 20% e in
Germania si avvicina al 30%.
In caso di una nuova ondata
di protezionismo, perderemo
tutti – chi più chi meno. Eppure,
dall’aprile 1995, il mondo si è
dato un corpo giuridico per evitare
nuove ondate protezionistiche
e meccanismi istituzionali
per farli rispettare. L’Organizzazione
mondiale del commercio
(Omc), a cui aderiscono circa
170 Paesi – a cui se ne aggiunge
un’altra ventina con ruolo
di osservatori – è il cardine
del sistema. Nell’istituire e
disciplinare il mercato globale,
l’Omc ha ridotto la ragion
d’essere dell’Unione europea in
numerose materie attinenti il
commercio. Dagli Ogm al made
in, dagli aiuti di Stato alla tutela
della salute: il mercato si fonda
sulle regole Omc. La stessa Ue è,
del resto, un membro Omc con
funzioni limitate: non ha diritto
di voto, non paga i contributi, è
portavoce degli Stati membri se
concordano ciò che deve dire, è
socio aggregato senza dignità e
rango statuali. Anzi, alcuni Stati
Ue hanno persino fatto ricorso
all’Omc senza il canale Ue; in
un caso, la Danimarca si è persino
rivolta all’Omc contro quella
Ue di cui è Stato membro.
Circa un mese fa, gli Stati
Uniti hanno annunciato che, se
alcuni Stati – principalmente
dell’Ue – non si mettono in
regola, specialmente in materia,
applicherà dazi di ritorsione
nei loro confronti. In punta
di diritto, non è una richiesta
pretestuosa: diversi Stati Ue
sono stati condannati nelle sedi
giurisdizionali dell’Omc nel
non lontano 2009: per evitare
i dazi di ritorsione è stato
aperto un negoziato che non ha
portato a nulla. Quindi, gli Usa
hanno annunciato di applicare
le misure loro autorizzate dal
diritto internazionale. Chi vuole
saperne di più, legga il saggio
di Dario Ciccarelli che, per
quattro anni, ha rappresentato
l’Italia ai tavoli Omc, Il Trattato
Istitutivo dell’Omc e lo status
giuridico dell’Unione Europea
dal 15 aprile 1995, apparso nel
fascicolo gennaio-aprile 2014
della Rivista della cooperazione
giuridica internazionale; oppure
si rivolga a studi legali ginevrini
specializzati in queste materie
come Byrne-Sutton Bollen
Kern; oppure, ancora, consulti
scritti di Giuseppe Tesauro e
Sabino Cassese. Senza dubbio,
il presidente degli Stati Uniti,
Donald Trump, è quantomeno
pittoresco nel fare dichiarazioni
e annunciare provvedimenti.
E la stampa italiana ha creato,
sull’annuncio di The Donald in
materia di dazi, un elemento di
distrazione di massa dai problemi
nostri e dell’Ue. Nessuno si è
chiesto perché l’Italia, la Francia
o la Germania non siano corse
all’Omc per fare un ricorso o
aprire un contenzioso. L’Ue non
poteva farlo perché non è uno
Stato e perché, comunque, le
avrebbero risposto che l’Omc
era già andata a sentenza nel
2009 e che se le parti non avevano
raggiunto un accordo, era
naturale che i dazi di ritorsione
autorizzati nel 2009 venissero
applicati. Non si intende
difendere l’amministrazione
Trump, che già nella campagna
elettorale nel 2016 ha specificato
che lo slogan “America
first” contiene un’ampia dose di
protezionismo. Nell’attaccare,
a torto o a ragione, la politica
commerciale di Washington,
si sarebbe dovuto scegliere un
caso migliore. Si sarebbe evitata
la gaffe, ricordato all’Ue quali
sono i suoi limiti e non attizzato
il fuoco protezionista che in
Europa è sempre acceso, come
dimostrato dalla rottura del
negoziato transatlantico sul
commercio e gli investimenti,
nonostante siano i consumatori
e i produttori europei a rimetterci
di più.
Ma chi semina vento, raccoglie
tempesta.
*Presidente della commissione
Informazione del Cnel
e del comitato scientifico
del Centro studi impresa lavoro
di Giuseppe Pennisi*
Protezionismo: chi semina vento…
OECONOMICUS
51
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