domenica 23 aprile 2017

Senza misure forti si va verso un futuro di decrescita infelice in Avvenire 23 aprile



Senza misure forti si va verso un futuro di decrescita infelice
Pochi economisti hanno notato che il primo volume del Def contiene proiezioni sino al 2060. Da ora ad allora, seguendo a menadito le politiche e le strategie proposte nel documento, il tasso annuo di crescita dell’Italia sarebbe tra l’1% e l’1,5%. Auguri per i nostri figli e nipoti!
Le determinanti sono molteplici: invecchiamento delle popolazione, mancanza di una politica efficace per l’innovazione, obsolescenza dell’apparato industriale manifatturiero, scarsa efficienza dei servizi. Tuttavia, una ragione importante è il fardello del debito pubblico che frena qualsiasi tentativo di crescita. Il Def pensa che si possa risolvere con un leggero ma continuo 'avanzo primario', ossia attivo di bilancio al netto del servizio del debito. Già diversi anni fa, dopo la propria esperienza da ministro del Bilancio, l’economista Luigi Spaventa aveva dimostrato che o gli avanzi primari sono almeno del 5% l’anno per 25 anni o il rallentamento della crescita causato dal debito impoverirà il Paese sempre di più.
In Italia quello sul debito pubblico è un dibattito proibito, ma nel mondo accademico il tema è da decenni al centro di studi e ricerche. Per circa vent’anni la 'dottrina dominante' era basata sul l lavoro pioneristico di Carmen M. Reinhart e Kenneth S. Rogoff: per dirla in termini colloquiali, il debito pubblico frena la crescita se supera il 90% del Pil. Proprio per avere un margine di sicurezza, il Trattato di Maastricht ha fissato l’asticella al 60%. Circa due settimane fa è uscito uno studio interessante negli Economics Research Papers di Bath (N. 61/17) realizzato da due economisti catalani, Marta Gomez-Puig e Simon Sosvilla Rivero. Si intitola 'Eterogeneità nel nesso tra debito pubblico e crescita: il caso dell’eurozona'. Ci riguarda da vicino. Lo sanno alla Commissione Europea, alla Banca Centrale Europea. Se ne è parlato alle riunioni del Fondo Monetario e della Banca Mondiale la settimana scorsa. Non si sa nulla delle reazioni del nostro governo.
Sulla base di un’analisi relativa ai Paesi dell’Unione monetaria europea dal 1961 al 2015 , i due economisti pongono l’asticella molto più in basso utilizzando tecniche di analisi più raffinate di quelle di Reinhart e Rogoff. In tutti i Paesi dell’Unione monetaria il debito pubblico comincia ad avere effetti negativi sulla crescita quando raggiunge il 40% del Pil nei Paesi dell’Europa centrale ed il 50% in quelli dell’Europa meridionale. Quindi, il parametro di Maastricht dovrebbe essere rivisto al ribasso. Secondo i due economisti, le politiche di austerità devono continuare ad essere applicate ma dato che non sembra abbiano inciso sul debito, essere accompagnate da politiche strutturali tali da aumentare i rispettivi Pil potenziali. Inoltre , l’asticella varia da Paese a Paese, una media generalizzata sarebbe poco utile. L’analisi conclude che l’aggiustamento potrebbe essere più lento in Grecia, Portogallo e Spagna ma deve essere più veloce in Italia. Da noi ci vorrebbe una manovra analoga a quella che fece Einaudi immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. Ma allora i cambi non erano fissi e c’erano forti barriere valutarie e commerciali. Altrimenti, per Gomez- Puig e Sosvilla Rivero si andrebbeverso la decrescita infelice. Gli economisti del governo non hanno ancora formulato commenti o repliche. Quelli tedeschi hanno osservato che forse le conclusioni sono troppo severe, ma non troppo distanti dalle loro.
Giuseppe Pennisi

Nessun commento: