FINANZA E POLITICA/ Quello
0,1% che può mandare in tilt l'Italia
Uno 0,1% nei
conti economici può sembrare un dettaglio irrilevante e di poco conto. Invece,
spiega GIUSEPPE PENNISI, non è così. E la finanza pubblica italiana vacilla
17 aprile
2017 Giuseppe Pennisi
Lapresse
Non è
affatto una cattiva idea - anche se molti autorevoli colleghi economisti
l’hanno criticata - presentare, come ha fatto il Governo Gentiloni-Padoan, i
due documenti programmatici Def e Pnr non solo insieme tra di loro (come
previsto sia dalla normativa italiana sia dal Fiscal compact europeo),
ma anche congiuntamente al decreto legge per mettere i conti della finanza
pubblica in linea con le richieste delle autorità europee e, quel che è più
importante, dei mercati finanziari (lo spread si sta ampliando). In tal
modo si può avere una visione unica di come, e di dove, il Governo percepisce
stia andando l’economia e la finanza pubblica.
Il decreto
legge sui conti pubblici si riferisce al brevissimo termine; a come fare sì che
i conti dell’anno in corso quadrino. Il Def al medio termine, dato che in
genere i modelli econometrici su cui si basano le proposte di politica
economica hanno uno span di 24-36 mesi. Il Pnr deve invece guardare al
lungo periodo poiché tratta di “riforme strutturali” (ossia alle strutture
dell’economia, non delle istituzioni o delle forme di governo e di governance).
Analizzare i tre documenti simultaneamente ha molti vantaggi, in primo luogo
quello di formulare un giudizio informato sulla loro coerenza e compattezza.
Qui viene
quello che potrebbe sembrare il primo problema. Da un canto, Def e Pnr
ipotizzano una crescita basata su riduzione di tasse e imposte in modo da
stimolare consumi e investimenti, ma non specificano quanto e quando (anche se
si promette per il prossimo esercizio una riduzione del cuneo
fiscale-contributivo). Dall’altro, l’aggiustamento per il 2017 in corso prevede
vari ritocchi all’insù, quindi un aumento di tassazione e imposizione. La
“teoria economica dell’informazione” insegna che gli “agenti economici”
(individui, imprese, pubbliche amministrazioni) guardano più ai comportamenti
di oggi che alle promesse per domani. Quindi, la riduzione del carico
tributario e contributivo difetta di credibilità. Non ne soffrirebbe se fosse
inserita in un quadro di crescita sostenuta.
Purtroppo
non lo è. Già dall’anno in corso. Per ammissione dello stesso Governo, la
quadratura dei conti per l’esercizio in corso è stata effettuata applicando
quello che gli statistici chiamano il “metodo Haile Selassie”, dal nome
dell’Impero d’Etiopia, che era dotato di intuito politico e militare, ma non
era stato allievo di Corrado Gini (il maggior statistico dell’epoca). In breve,
alla fine degli anni Sessanta, l’Impero Etiope decise di fare il primo
censimento della popolazione. Il compito venne affidato alla Us Mapping Mission
(affiancata da giovani statistici). Data la mancanza di strade in un Paese
vasto e montagnoso, il censimento venne effettuato per elicottero, contando le capanne
e attribuendo a ciascuna un quoziente di popolazione, stimato, per
campionamento, per ciascuna Provincia dell’Impero. Quando i risultati vennero
portati al Gepi, Palazzo Imperiale, il Re dei Re ebbe uno scatto d’ira: era
convinto che i suoi sudditi fossero molto più numerosi di quanto stimato da
quei “ragazzacci americani”. Fattisi spiegare il metodo, ordinò che venissero
raddoppiati i coefficienti.
Il duo
Gentiloni-Padoan sono più raffinati del Re dei Re etiope e non hanno il potere
di ordinare di cambiare i dati. Tuttavia, i documenti spiegano che la manovra a
breve si regge su un “aggiornamento” della crescita del Pil per il 2017 in
corso e a un ulteriore aumento del prodotto interno negli anni immediatamente
successivi, il 2018 e il 2019. Attenzione, data l’interconnessione dei
documenti, se si sbaglia nella relazione tecnica per il decreto legge sui conti
pubblici 2017, l’errore si amplifica negli anni successivi. Analogamente a
quanto fatto fare da Haile Selassie hanno portato la crescita del Pil 2017
dall’1% (stima-obiettivo Istat) all’1,1%. Un modesto 0,1%. È sempre, però, la
goccia che fa traboccare il vaso.
Non è dato
sapere quale strumentazione econometrica sia stata utilizzata: palazzo Chigi
non ne ha una, via Venti Settembre ha quella della Ragioneria Generale dello
Stato che solo tocca la macro-economia. Il Cnel che ogni anno sino al 2014
presentava un rapporto elaborato con Prometeia, Irs e Nomisma è stato privato
di risorse dal primo gennaio 2015. Non è chiaro se sia stato fatto un confronto
con le previsioni quantitative dei 20 istituti del consensus (tutti
privati, nessuno italiano) e se qualcuno a palazzo Chigi o a via Venti
Settembre sia - come il vostro “chroniqueur” - abbonato ai loro servizi. In
effetti, le stime del consensus per la crescita del Pil italiano nel
2017 variano tra lo 0,6% e l’1,1%, l’analisi di rischio da una bassa
probabilità al raggiungimento anche dell’1%, la media si pone allo 0,9%, la
mediana allo 0,8%. Per il 2018 il consensus vede un rallentamento in
linea con il resto dell’area dell’euro, del quadro geopolitico internazionale e
dell’avanzare del protezionismo.
Lo 0,1% è
poca cosa (“roba da ridere” si direbbe in Emilia), ma in questo contesto vale
molto. È lecito che si chieda una spiegazione. E aspettarsi che la si dia, se
il Parlamento la domanda.
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