Cosa (non) c’è nel Def e nel
Pnr
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Ieri il
Consiglio dei ministri ha iniziato la sua ventitreesima sessione (da quando è
in carica il governo Gentiloni) con due argomenti all’ordine del giorno; a) Il
Documento di Economia e Finanza (Def) 2017 e b) un decreto legge che – si
presume – incorpora la manovra di aggiustamento richiesta dall’Unione Europea
(UE). Di Programma Nazionale di Riforma (Pnr) che in base alla legge 31
dicembre 2009, n. 196 dovrebbe essere varato simultaneamente al Def, l’ordine
del giorno non parla. È da presumere che sarà un allegato al Def oppure
incorporato nel Def.
L’attenzione
è quasi interamente sulla manovra di aggiustamento, in particolare sul nuovo
carico fiscale che – di riffa, di raffa o di baracca – tale manovra
comporterà soprattutto sul consumatore, mentre insiste che il suo obiettivo è
quello di ridurre le tasse e promuovere la domanda aggregata, e, quindi, i
consumi.
In effetti,
dei contenuti del Def si parla poco (si annuncia, peraltro, una politica per
promuove la ripresa, ancora molto fragile). Di Pnr ancora meno ed in modo molto
generico (privatizzazioni, liberalizzazioni, impulso agli investimenti).
L’impressione che si ricava è che, accontentandosi di aver fatto, in larga
misura, quadrare i conti per l’aggiustamento, le vere partite verranno giocate
in settembre: a) una tra Italia (ed altri Paesi dell’Europa del Sud) su come
calcolare l’output gap e, quindi, il deficit strutturale ed il debito
pubblico ammissibile ai sensi degli accordi europei; b) l’altra puramente
interna su come ridurre debito e deficit (alla luce dei risultati di a) senza
fare scattare la clausola di salvaguardia dell’aumento dell’Iva.
Se le vere
partite si giocano in autunno, tutto il sistema Def-Pnr perde mordente. Era
stato concepito in modo lineare e razionale. Allineata la tempistica di quasi
tutti gli Stati UE, sono stati definiti anche i principali documenti in modo
che si possa farne un esame collegiale. In questa ottica, i primaverili Def e
Pnr hanno compiti simili ma ben distinti. Il primo presenta il quadro economico
(e di finanza pubblica a medio termine- 24-36 mesi perché la modellistica
econometrica non consente di fare di più con la sufficiente accuratezza e
l’adeguato dettaglio). Il secondo indica le riforme “strutturali” (nel senso di
‘strutture economiche’, non di istituzioni) che ci si impegna a fare per
realizzare la strategia e raggiungere gli obiettivi del Def. Non mancano altri
documenti per preparare Legge di Bilancio, che si deve presentare a metà
settembre, come ad esempio il “Rapporto sul Mercato del Lavoro” che pubblica il
Cnel in luglio.
Questi
documenti, non loro insieme, forniscono la logica per la ‘Legge di Bilancio’,
quindi, per darle rigore e compattezza. Ridurli a mero supporto di una ‘manovra
di aggiornamento’, come traspare dai resoconti di stampa, non solo li svilisce
ma dà la forte impressione che la ‘manovra di aggiustamento’ oggi e la ‘Legge
di Bilancio ’ tra qualche mese nascano altrove, siano il frutto di micro-
negoziazioni, non il risultato di dove deve e può andare l’economia italiana
nei prossimi anni, quali correzioni di rotta debbano essere fatte e quali
‘riforme strutturali’ debbano essere attuate per sostenere la crescita di lungo
periodo, tornare ad un livello soddisfacente di produttività e soprattutto
riattivare quell’ascensore sociale che sembra essersi fermato ai piani bassi.
C’è ancora
modo di mettersi sulla corretta strada. Emanato il decreto legge sulla
“manovrina”, riattivare la riflessione e la discussione su Def e Pnr e varare
una ‘nota aggiuntiva’ ben prima dell’estate per dare nerbo alla Legge di
Bilancio. Si avrà il coraggio di farlo?
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