CONTRATTI RAI/ Canone e
stipendi "affondano" il referendum di Renzi
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mercoledì 27 luglio 2016
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Per il
Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il 25 luglio 2016 deve essere
considerato come un giorno infausto. Non perché il Gran Consiglio del Pd (sigla
per indicare Partito Diviso) o qualche altro organo lo abbiano defenestrato, ma
poiché nei sondaggi si è verificato lo switchinh value: i No al
referendum (ancora non proclamato) hanno superato i Sì. Qual è la goccia che ha
fatto traboccare il vaso? Proprio nel giorno della scadenza perentoria del 730
(e quindi quantomeno di pagamenti di "anticipi" per l'imposizione
tributaria del prossimo anno), si approssima il versamento dell'imposta più
odiata dagli italiani: il canone Rai. E al danno si aggiunge la beffa: la
pubblicazione dei maxi-stipendi Rai anche di volti una volta di punta (non si
sa perché), ma da anni senza incarico.
È normale -
dicono gli psicologi e gli studiosi dell'economia comportamentale - che gli
elettori considerino tutto ciò insulto che si aggiunge al danno (di pagare sia
come contribuenti in generale, sia tramite l'imposta di scopo) e, quindi, a
torto o a ragione, se la prendano con chi è al Governo, quale che sia la sua
parte politica, anche se in questo caso è semplicemente erede di una "mela
avvelenata" servitagli in passato.
Come cantava
Rita Pavone in Giamburrasca nella televisione ai tempi della Rai diretta
da Ettore Bernabei, un popolo affamato / fa la rivoluzion. E in un Paese
che ristagna e nelle classifiche europee è penultimo (prima solo della
malridotta Grecia), per gran parte degli italiani fare la rivoluzion vuol
dire, a ragione o a torto, mandare a casa gli inquilini di palazzo Chigi.
Soprattutto se si sono impegnati a cercare un lavoro distinto e distante dalla
politica. Chi viaggia verso il No, aggiunge un lavoro "da comune
mortale". Il "caso Rai" sta avendo un effetto tale nei sondaggi
non solo perché le retribuzioni superano mediamente del 40% quelle in
organizzazioni simili del resto d'Europa, ma per i casi di dipendenti che,
accantonati da tempo, fruiscono, pur nella posizione "senza
incarico", di stipendi che i "comuni mortali" considerano, a
ragione o a torto, da sogno.
A palazzo
Chigi si sta correndo ai ripari con un decreto che fissi un tetto analogo a
quello dei compensi dei dirigenti pubblici e delle autorità di garanzia. In
effetti, tale tetto esisteva, ma è stato rimosso quando la Rai ha emesso
obbligazioni per 350 milioni di euro. Basta emettere obbligazioni per uscire
dal "perimetro pubblico"? Tanto più che la Rai è una Società per
azioni a totale partecipazione pubblica che non solamente si finanzia in parte
con un'imposta di scopo, ma con la quale lo Stato, tramite il ministero dello
Sviluppo economico, stabilisce un contratto di servizio per stabilire le
attività di servizio pubblico nel territorio della Repubblica. E inoltre è
controllata da una Commissione Parlamentare, il suo Consiglio d'Amministrazione
è di nomina pubblica e uno dei componenti è indicato direttamente dal ministro
dell'Economia e delle Finanze.
Matteo Renzi
e il Governo dovrebbero ripetere il blitz fatto lo scorso novembre con la
Scuola nazionale dell'amministrazione, la cui giungla retributiva assomigliava
a quelle dei romanzi di Salgari. Basta prendere il Dpcm del 25 novembre 2015,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 dicembre 2015, e adattarlo alla Rai.
Ai suoi dipendenti si applicherebbero la normativa e le retribuzioni del
pubblico impiego con un tetto identico per i vertici e una soluzione per i
"senza incarico". Facendo salvi coloro che i tribunali del lavoro
giudicheranno soggetti amobbing, ai "senza incarico"
verrebbero offerti tre incarichi (non necessariamente al livello stipendiale in
atto); al terzo rifiuto, verrebbero inviati a fare valere la loro
professionalità su quel mercato a cui "Mamma Rai" dice di ispirarsi.
Ciò potrebbe minimizzare il "rischio Rai" per Renzi. Tanto più che
"il partito Rai" fa solo finta di volergli bene e, se i sondaggi non
sono per lui incoraggianti, non aspetta altro che scaricarlo.
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