Riccardo
Muti, tutte le baruffe in scena nei Grandi Teatri (non solo a Roma)
Ricognizione informata e ragionata
Che Riccardo Muti volesse lasciare l’incarico
al Teatro dell’Opera di Roma Capitale non è una novità. I bene informati lo
sapevano dall’estate scorsa: le minacce di sciopero alla prima di Manon
Lescaut e durante la tournée in Giappone avevano convinto il Maestro
che non basta dare una ritoccata agli infissi ma occorre cambiare aria per
evitare che dal raffreddore si finisca con la polmonite.
Gli scioperi selvaggi estivi alla Terme di Caracalla
hanno complicato ulteriormente la situazione. Il colpo finale è stato il
referendum tra i lavori sul “piano industriale” per rimettere in sesto la
fondazione di cui il teatro è parte. All’apparenza un successo: su 318 votanti
(534 avevano diritto al voto ma il 40% circa ha deciso di non partecipare), 305
si sono espressi favorevolmente riguardo al piano industriale (e al programma
di risanamento della finanza aziendale) presentato dal Sovrintendente Carlo
Fuortes, sei i contrari, quattro le schede bianche e tre quelle nulle. L’alto
livello d’assenteismo, però, è indice di guerriglia strisciante. Gli assenti al
referendum erano parte importante di coro ed orchestra.
La guerriglia è in preparazione per farla scoppiare
durante le prove dell’opera inaugurale Aida; data la situazione del
teatro, al regista e scenografo Pier Allì è stata raccomandata l’estrema
economia. Non certo gradita da Muti che avrebbe dovuto sfidare, con un’Aida con
proiezioni economiche e coro ed orchestra dimezzata, l’Aida in
forma di concerto diretta da Pappano all’Accademia di Santa Cecilia e
soprattutto la ripresa del grande allestimento di Zeffirelli alla Scala,
in occasione dell’Expo.
Difficile vedere quale sarà il futuro. Su Formiche.net del
26 luglio si è tratteggiato il quadro dei
particolarismi che travagliano da decenni il Teatro dell’Opera. In questi decenni si è pensato di
curarli con cambi di Sovrintendente, di Direttore Artistico, di Maestro
Concertato Principale, di Direttore del Corpo di Ballo. Si sono tutti
dimostrati palliativi: il Sindaco (ed il Ministro) devono prendere le misure
per la liquidazione della fondazione per farla rinascere con forze nuove.
Attenti, l’opera non soffre solo a Roma. Tranne La
Fenice, tutti i ‘grandi teatri’ sembrano in serie ambasce. A Genova è in corso
uno scontro all’arma bianca tra il sindaco Marco Doria e
l’ex-sovrintendente (licenziato dal CdA l’8 settembre) Giovanni Pacor,
sostituto (solo per pochi mesi) da Maurizio Roi, presidente
dell’Ater (il circuito teatrale dell’Emilia Romagna). All’origine dello scontro
– che ha avuto episodi che hanno eccitato la cronache: un vigile urbano ha
bloccato Pacor dall’entrare nel proprio ufficio al Carlo Felice – una zavorra
di interessi alla Banca Carige. Volano accuse pesantissime, su cui non sta a
noi fare illazioni, dato che ormai siamo ad avvocati e magistrati.
La fondazione lirica di Genova, malmessa da lustri,
interessa poco la stampa, ed ancor meno il pubblico. Invece, la tempesta al
Teatro Regio di Torino (per anni considerato uno dei meglio gestiti in Italia)
è finita pure sul New York Times, Il direttore musicale del
teatro, Gianandrea Noseda, ha dato le dimissioni a ragione del
profondo dissidio con il sovrintendente Walter Vergnano sui
criteri di nomina del direttore artistico. Secondo insistenti voci, Noseda
starebbe veleggiando verso Bologna, il sovrintendente del cui Teatro
Comunale, Francesco Ernani, è in scadenza, e con lui tutti gli
altri incarichi. Noseda scalzerebbe Michele Mariotti, che è
cresciuto nella città felsinea ed è ormai una star internazionale.
Acque non molto più tranquille al Regio di Parma,
dov’è stato appena lanciato un avviso per invitare “manifestazioni d’interesse”
alla carica di direttore generale. Il Festival Verdi –
l’impegno maggiore del Regio, tecnicamente un “teatro di tradizione” e non una
fondazione lirica – inizia il 10 ottobre, ma tanto l’amministrativo
esecutivo Carlo Fontana (ex-La Scala, ex-Senato della
Repubblica) quanto il direttore artistico Paolo Arcà sono
dimissionari, in quanto la situazione finanziaria sarebbe stata sostanzialmente
risanata, e resteranno ai loro posti sino al 31 dicembre.
Alla Scala dove, dopo numerose polemiche, Alexander
Pereira ha assunto l’incarico di sovrintendente e direttore artistico il
primo settembre ed ha avuto un fattivo incontro con i sindacati il 15
settembre. Tuttavia, il tenore Roberto Alagna (che aveva
lasciato bruscamente il teatro in seguito a un episodio ancora non spiegato nel
2006) non rimetterà piedi nella Sala del Piermarini in quanto avrebbe assistito
a quindici rappresentazioni in cui il pubblico avrebbe, senza motivo, fischiato
gli artisti.
Uno strascico delle polemiche anti-Pereira? Una vendetta
indiretta nei confronti del neo-sovrintendente e direttore artistico? Occorre
riconoscerlo: una parte della Milano scaligera non ha digerito che due
incarichi (ciascuno dei quali molto appetibili) siano stati dati a un austriaco
(pur se per il momento soltanto per l’anno di Expo) dopo che sono stati retti,
per due lustri, da un francese.
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