Lirica.
“King Arthur” di Purcell ridotto a un’opera senza religione
“King Arthur” di Purcell ridotto a un’opera senza religione
GIUSEPPE PENNISI
JESI (ANCONA)
King Arthur, “semi-opera” di Henry Purcell su testo di John Dryden, arriva in Italia dopo circa 325 anni dalla prima londinese nel giugno 1691 che venne seguita da ben cento repliche. La “prima” è stata a Rimini l’altra sera nell’ambito della Sagra Malatestiana. Dopo una tappa al Teatro Rossini di Pesaro, sarà al Teatro Argentina di Roma dal 18 ottobre. È un evento importante per il suo significato musicale e religiosofilosofico. È una “semi-opera” in quanto i personaggi principali recitano, in versi, mentre le forze sovrannaturali cantano; inoltre la stesura originaria prevede importanti balletti. Il lavoro ebbe grande successo anche in quanto rispecchiava i conflitti politici e religiosi dell’epoca: era diventato re il cattolico James II (e Dryden si era convertito alla fede di Roma), ma ne conseguì una lotta senza quartiere con il protestante Guglielmo d’Orange. Nella “semi- opera” il Re Arturo rappresenta i cristiani, protetto dalla mitologia classica, mentre il suo avversario Oswald è la Casa di Orange, aiutata dalle divinità della mitologia germanica. La rappresentazione integrale del lavoro dura circa cinque ore e mezza. In tempi moderni, si ricorda un’esecuzione integrale molto spettacolare curata da Graham Vick a Parigi un quarto di secolo fa; è, però, messa in scena, oltre che in Gran Bretagna, in università americane.
L’allestimento è affidato ad un gruppo di avanguardia, il Motus creato ed animato da Daniela Nicolò. L’intero spettacolo è ridotto a circa un’ora a mezza. Viene eliminato il contesto storico-politicoreligioso e trattato l’amore per giovane Re Artù per la principessa cieca Emmeline, sullo sfondo del rumore assordante di una guerra. Circa due terzi della musica di Purcell viene eseguita, con perizia, dall’Ensemble Sezione Aurea: ottimo il controtenore Carlo Vistoli e di buon livello i soprani Luca Catrani e Yuliya Poleshshuk. Dei versi di Dryden ne resta il dieci per cento ed i quaranta personaggi sono ridotti a due: Glen Çaçi (Re Artù) e Silvia Calderoni (Emmeline) La drammaturgia (Luca Scalini), i video (Aqua Micans Group) e la regia (Enrico Casagrande e Daniela Nicolà) rendono efficacemente il clima selvaggio in cui si evolve il lavoro.
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A Rimini con i Motus scompare la lotta tra paganesimo e cristianesimo
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