CONSIGLI A
RENZI/ Ora scelga se tagliare i "suoi" sindaci o i precari
Pubblicazione: lunedì 8 settembre 2014
Il ministero dell'Istruzione (Infophoto)
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In inglese si dice red herring. In italiano
specchietto per le allodole. Questi paiono essere i lineamenti di riforma della
scuola presentati al fine di un doveroso, prima che meritorio, débat
publique dal governo Renzi. In primo luogo, tutti pensiamo di intenderci di
scuola perché o come studenti, o come insegnanti, o come genitori abbiamo
esperienza almeno della scuola d'obbligo. Quindi, un débat non può non
essere acceso. E celare le difficoltà di predisporre una legge di stabilità che
non vuole scontentare parte dell'elettorato tradizionale di un governo in gran
misura composto da ex-sindaci (ad esempio, utilizzando la scure nei confronti
del capitalismo municipale), ricorrendo a tagli lineari di profumo
tremontiano ed al blocco dei salari del pubblico impiego. Un acceso - anche
meglio se infuocato - dibattito sulla scuola può distrarre da questi difficili
temi. In secondo luogo, i lineamenti di riforma sono tali da suscitare seri
dubbi. Ho trattato di questa materia per diversi anni dirigendo una divisione
specifica in Banca mondiale e collaborando con il rapporto mondiale dell'Unesco
sull'istruzione (nonché scrivendo un paio di libri in materia); penso, quindi,
di avere titolo di entrare nel merito.
I due problemi sono simmetrici. Vediamo, prima, perché
il governo può ancora ricorrere (il disegno di legge di stabilità è atteso tra
più di un mese) a una strumentazione migliore dei tagli lineari e del blocco agli
stipendi e, poi, le insufficienze dei lineamenti sulla buona scuola.
Sotto il primo profilo, il governo dispone di un
documento (purtroppo è stato deciso di non renderlo pubblico) di un Commissario
alla revisione della spesa (Carlo Cottarelli, ndr) che ha individuato
puntualmente 15-20 miliardi di spese non necessarie specialmente nel
"socialismo regionale, provinciale e municipale" e negli enti
(strumentali e di ricerca) dei ministeri. E' un ampio campo su cui operare,
sulla base di cifre certe e di valutazioni precise, ed è questo il campo dove
trovare le risorse per far quadrare i conti della spesa di parte corrente ed
avere spazi per rilanciare gli investimenti. Ove ciò non bastasse, nuove
metodologie di valutazione della spesa sono state varate dal Cnel nel 2012 ed
hanno avuto il consenso dei maggiori ministeri nonché delle istituzioni
finanziarie internazionali.
Purtroppo esponenti della Cgil al Cnel hanno chiesto
che il lavoro non venisse proseguito; sta alla segreteria della Cgil chiedere
ai suoi nominati spiegazioni in proposito, anche in quanto l'opposizione della
Cgil al lavoro sulla qualità della spesa pone la confederazione in una
situazione almeno imbarazzante nelle discussioni sulla legge di stabilità.
Sulla base del lavoro Cnel ed in collaborazione con gli enti di ricerca di
alcune regioni, l'Uval (Unità di Valutazione), ora operante nell'agenzia per la
coesione territoriale (quindi in seno alla stessa presidenza del Consiglio) ha
completato in luglio un aggiornato buon manuale della valutazione della spesa
per ora disponibile (anche al presidente del Consiglio) su supporto telematico
(è in corso l'approntamento dell'edizione a stampa).
Quindi, esiste la strumentazione per affrontare la
riduzione della spesa distinguendo tra quella "socialmente
produttiva" (nel lessico dell'economia del benessere) a quella
"socialmente improduttiva", senza ricorrere a tagli e blocchi lineari,
a red herring e a specchietti per le allodole come
paiono essere i lineamenti per labuona scuola.
Veniamo ai punti principali, riservandoci di esaminare
gli altri man mano che il débat proseguirà.
a) Stabilizzazione dei precari. Le
statistiche Ocse ed Unesco dimostrano che, in rapporto agli allievi, abbiamo il
numero di insegnanti maggiore al mondo. Per arrivare alla media europea si
potrebbe fare a meno di circa 50mila precari. Ciò che conta, soprattutto, è la
qualità degli insegnanti. Occorre non ripetere l'errore del decreto Misasi del
1972 che stabilizzò ope legis tutti gli assistenti ed i
docenti incaricati nelle università della Repubblica, dando un colpo mortale
agli atenei pubblici italiani, quasi tutti al di fuori della statistiche sulle
150 migliori università mondiali, ed incoraggiando la nascita di quelle
private. Quindi, per il bene dei nostri figli e nipoti occorre coniugare
"stabilizzazione" con "selezione". Ciò comporta procedure
(concorsi) e tempi lunghi. Ciò implica anche tenere adeguante conto
dell'apporto che possono dare le scuole paritarie, ignorate o quasi nei
lineamenti per la buona scuola.
b) Modernizzazione dei programmi. Non
si può non essere d'accordo con la modernizzazione dei programmi per le scuole
"generaliste" e con un sistema duale di alternanza
con il lavoro per l'istruzione tecnica, commerciale, industriale, agraria,
turistica e via discorrendo. Ciò comporta però, per ragioni d'efficienza e
economicità, istituti scolastici di almeno 400 allievi od un sistema di
rotazione dei docenti in varie scuole. Inoltre, sono essenziali aule
specializzate ed un sistema (consueto in molti Paesi ma raro in Italia) in cui
gli studenti si spostano da aula ad aula a seconda della materia, mettendo fine
al nesso tra classe (gruppo di studenti) ed aula. A sua volta, ciò richiede
presidi o direttori addestrati in questo campo. Ciò comporta forte spesa
pubblica in edilizia scolastica e formazione. I lineamenti non ne fanno alcun
cenno.
c) Rendimenti dei livelli e tipologia di
istruzione. Sono anni che non vengono effettuati studi sui rendimenti
dei vari livelli e delle varie tipologie d'istruzione (ne feci uno con George
Pscharopoulos nel lontano 1984 ma ora non presenta più alcuna utilità). Sono
necessari per orientare studenti a scegliere in funzione delle opportunità del
mercato del lavoro. Ma in questa materia, i lineamenti sono muti e silenti.
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