Trattato Ue, il piano italiano
Ecco il documento con le modifiche proposte da Monti
DA ROMA GIUSEPPE PENNISI
U na serie di emendamenti pre¬sentati dall’Italia alla vigilia di Capodanno potranno coagulare il consenso dei governi dell’Unio¬ne in merito alla prima bozza di metà dicembre di quel nuovo accordo euro¬peo che si punta a far decollare entro marzo.
Le modifiche proposte dalla diplomazia economica e finanziaria dell’Italia (e su cui stanno convergendo non solo Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia, ma anche Danimarca, Polonia, Slove¬nia, la Repubblica Ceca e quelle baltiche) sono chiosate in rosso, con commenti al margine in neretto su fondo azzurro od amaranto (i due colori distinguono l’importanza delle osservazioni) delle 12 pagine della bozza del 17 dicembre.
L’Italia chiede esplicitamente la modi¬fica dell’articolo 4, che resta la parte centrale del documento e che, nella versione presentata alle 'Parti Contraenti' (cioè tutti gli Stati dell’Ue tranne la Gran Bretagna che resterà fuori - , così denominati con uno stratagemma per rendere più snello l’iter del nuovo Trattato e favorirne così il via libera), fissa la necessità di ridurre di un ventesimo per anno il rapporto tra stock di debito pubblico e Pil quando il primo supera il 60% (e nel caso italiano, lo ricordiamo, è il doppio). Ciò avrebbe implicato per l’Italia manovre di 35-40 miliardi di euro l’anno, a prezzi costanti, per circa vent’anni. Anche altri Paesi coinvolti nel negoziato sarebbero finiti in serie difficoltà: la convergenza di manovre restrittive avvitereb¬be l’eurozona su se stessa.
Alcuni hanno minimizzato la gravità dell’impegno, soste¬nendo che un obbligo analogo era già in vi-gore. In effetti è così, ma in base a un rego¬lamento (nel lessico comunitario, il numero 1177/2011) che, da un lato, si riferisce alla sola eurozona e non a tutti i 26, da un altro non prevede quel¬le sanzioni che sono fissate, invece, nel¬la bozza di 'accordo'. Inoltre il regola¬mento contempla una gamma di eccezioni (ciclo economico sfavorevole, calamità naturali e altri 'fattori rilevanti') e, soprattutto, ha giuridi¬camente una forza in¬feriore a quella di un 'accordo' che, una volta ratificato, è un trattato internazionale vero e proprio. La proposta italiana consiste non nel depennare l’art. 4, ma nell’ampliarlo richiamando proprio il regolamento con le sue 'clausole di salvaguardia' (ossia le eccezioni).
Non solo: nel testo emendato dall’Italia, l’art. 1 sulla disciplina di bilancio prevede che le politiche di rigore 'la¬scino spazio di manovra per tenere conto delle esigenze di investimenti pubblici'. Ancora, la valutazione dei bilanci nazionali di previsione, da parte della Commissione europea, dovrà essere 'equilibrata' e tenere conto 'di tutti gli elementi pertinenti': una frase - si nota a Bruxelles - che lascia a¬perta la possibilità di politiche sì severe, ma tali da salvaguardare strategie di 'sviluppo inclusivo' che guardino con particolare attenzione alle fasce debo¬li. Un ulteriore punto dell’emendamento italiano stabilisce che le procedure per l’esame e valutazione dei bilanci nazionali da parte della Commissione siano integrate con quelle del 'semestre europeo': questo non solo per evitare duplicazioni, ma anche per porre l’istituzione con sede a Bruxelles nel proprio ruolo 'tecnico', e non po¬litico, come precisano poi le proposte dell’Italia per riscrivere l’art.8 della 'bozza'.
Tiriamo le somme. Le modifiche pro¬poste dal governo Monti non annacquano il rigore dell’'unione fiscale' verso cui viaggeranno i 26 (se l’accor¬do verrà firmato e ratificato), ma si prefiggono di collegarla di più allo sviluppo, aspetto peraltro essenziale per ri¬solvere il problema dell’'Himalaya' del debito. Tutto al fine di rimettere l’euro sulla corretta carreggiata ed evitare quel «decennio o ventennio nero» di recessione sempre più grave che, secondo Charles Wyplosz, professore di economia internazionale all’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra, si sarebbe prospettato nell’eurozona se l’'accordo' fosse rimasto immutato rispetto alla bozza di partenza.
Si punta a togliere le sanzioni. E a maggior spazio sugli investimenti pubblici
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