GOVERNO, È IL MOMENTO DELLE PRIVATIZZAZIONI
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Roma - Nei colloqui europei in preparazione del Consiglio Europeo del 23 gennaio, il presidente del Consiglio non potrà eludere la domanda sul perché la Borsa di Milano crolla e gli spread vanno alle stelle nonostante l’Italia possa sfoggiare dati migliori di Gran Bretagna, Francia e Usa in materia di saldo d’esercizio dei conti pubblici, tasso di disoccupazione e in prospettiva rapporto tra stock di debito e Pil, indebitamento delle famiglie e delle imprese. La risposta immediata è il basso tasso di crescita in atto da tre lustri. L’esecutivo e la coalizione che lo sostiene (Pdl, Terzo Polo, Pd - pari, però, solo al 60 per cento dell’elettorato e spesso in conflitto su temi essenziali), stanno per varare un programma di crescita articolato in gran misura su liberalizzazioni.
E le privatizzazioni? Secondo stime della Fondazione Eni Enrico Mattei, gli asset pubblici da vendere non mancano: tra partecipazioni, immobili, concessioni, crediti, servizi da mettere in outsourcing e molti altri cespiti, attorno al 2005 i beni di proprietà dello Stato valevano 1340 miliardi di euro, tralasciando le oltre 7000 aziende della galassia del capitalismo municipale. E da allora, poco si è fatto per privatizzare. Le Relazioni annuali sulle privatizzazioni al Parlamento del ministero dell’Economia e delle Finanze mostrano una tendenza marcatamente decrescente: la più recente copre il periodo 2007-2010 riguarda principalmente vendite di diritti di opzione nell’ambito di operazioni di aumento di capitale (Finmeccanica, Enel, Seat), scambi di azioni tra ministero e Cassa Depositi e Prestiti, e cessioni d parte del Gruppo Fintecna per un totale di poco meno di un miliardo di euro nei quattro anni presi in considerazione – appena 12 milioni circa nel 2010 (senza contare la cessione del 30 per cento di Enel Green Power non trattata nella Relazione in quanto non riguarda una privatizzazione in senso stretto). Nel 2011, nel nostro Paese le privatizzazioni sono state insignificanti: non si sono trovati acquirenti per la Tirrenia e l’apertura al mercato del settore dei servizi pubblici locali è stata bloccato da un referendum che ha lasciato il comparto in un guazzabuglio normativo.
È un fenomeno che corrisponde al tassello italiano di una tendenza mondiale? Non proprio, il “Privatization Barometer Report 2010” pubblicato quasi simultaneamente alla Relazione del Mef al Parlamento mostrava che nell’anno in cui in Italia avvenivano solo due privatizzazioni in senso stretto per 12 milioni di euro, nel mondo se ne portavano a termine 500 per 160 miliardi di euro. È partita, secondo il “Privatization Barometer Report 2010”, una nuova grande ondata di privatizzazioni. Dopo salvataggi nel settore finanziario (e non solo), gli Stati ricominciano a fare marcia indietro, timorosi, a ragione, che la loro estensione tentacolare freni lo sviluppo ed aumenti le diseguaglianze invece di diminuirle. Nel corso del 2010, a livello globale i governi hanno incassato circa 160 miliardi di euro. Si tratta di uno dei valori più alti mai registrati nella storia, secondi solo ai 184 miliardi di euro incassati nel 2009, un valore allora comunque drogato dal riacquisto delle azioni da parte delle banche americane che da solo valeva 118 miliardi di euro. Nel mondo intero, il 2010 è comunque l’anno dei record: la cessione del 15 per cento di Petrobras, che ha fruttato al governo brasiliano 52,4 miliardi di euro, è la più grande offerta pubblica di tutti i tempi, così come l’offerta pubblica iniziale di Agricultural Bank of China per 16,5 miliardi di euro.
Il collocamento da 15 miliardi di euro di General Motors, che ritorna sul mercato dopo la nazionalizzazione del 2008, è la più grande IPO mai realizzata sulle borse americane. Se guardiamo gli aggregati, in vetta alla classifica ci sono gli Stati Uniti, con quasi 36 miliardi di privatizzazioni, ma davanti a tutti ci sono i BRICs (Brasile, Russia, India, Cina), con 80 miliardi, la metà del totale. I paesi dell’Ue hanno realizzato operazioni per 33,1 miliardi di euro, pari al 20,6 per cento del totale. La Francia dei “campioni nazionali” è il paese europeo che ha privatizzato di più: nel corso del 2010, con circa 10,5 miliardi di euro di cessioni, seguita dalla Polonia e dal Regno Unito. L’unico operazione significativa su cui può contare l’Italia è la citata cessione del 30 per cento di Enel Green Power che con un controvalore di 2,6 miliardi di euro.
È utile mettere in relazione il ritorno delle privatizzazioni nel mondo con le tendenze profonde delle economie emergenti. I governi dei Paesi emergenti approfittano delle buone condizioni di mercato e della forte crescita delle loro economie per valorizzare attraverso le privatizzazioni le loro imprese pubbliche, aprendole ulteriormente al capitale privato nazionale e internazionale, rendendole più solide finanziariamente e quindi più competitive. Le privatizzazioni dei paesi avanzati sono invece legate alla debolezza della congiuntura e alle conseguenti condizioni critiche della finanza pubblica. A fronte del rischio di insolvenza degli stati sovrani, i governi occidentali rilanciano quindi le privatizzazioni, unica politica che consente di realizzare il necessario deleveraging (riduzione dell’indebitamento) senza incidere sulla spesa pubblica e sul welfare, fondamentale per la tenuta sociale in tempi di crisi.
“Un programma coerente di privatizzazioni – scrive Privatization Barometer Report - riduce progressivamente l’ambito di discrezionalità della politica sulle imprese, aumenta la credibilità della politica economica e quindi da ultimo migliora il rating di mercato dello Stato,con ricadute positive sugli spreads”. Non a caso, l’Ue ha preteso dal governo greco un ambizioso piano di privatizzazioni per dare via libera alla nuova tranche di aiuti.
E l’Italia? Come spesso accade, l’Italia è un caso a sé stante. L’esito del cosiddetto referendum sulla privatizzazione dell’acqua, nonostante gli ottimi risultati di gestione delle acque da parte di imprese private nella vicina Francia rende più difficile la riapertura del dossier paradossalmente proprio nel momento in cui un piano aggressivo di privatizzazioni dovrebbe essere in cima alla lista per risolvere, o almeno alleviare, il nodo dello stock di debito pubblico e rimettere in moto l’economia italiana. Ci si dia una mossa! (ilVelino/AGV)
(Giuseppe Pennisi) 07 Gennaio
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