giovedì 19 gennaio 2012
Al Teatro Massimo dal 22 al 29 gennaio 2012
Palemo: Faust va all’inferno
Giuseppe Pennisi
La conferenza stampa per la presentazione dell’opera che inaugurerà la stagione lirica del Teatro Massimo di Palermo, “La Damnation de Faust” di Hector Berlioz, è convocata in una sede quanto mai insolita: il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. La ragione è che la regia dell’opera è affidata a Terry Gilliam, un mito del cinema, geniale innovatore del linguaggio televisivo, cinematografico e teatrale postmoderno, per la prima volta impegnato in un’opera lirica, un lavoro, in aggiunta, del tutto inusuale. L’allestimento è stato già visto a Londra, dove la Eno (English National Opera) lo coproduce con il Massimo di Palermo e la Vlaamse Opera di Anversa e Gent, e che vanta la firma di una celebrità come Terry Gilliam.
"La Damnation de Faust" di Hector Berlioz è tratta dalla prima parte del lavoro di Goethe che Berlioz rielabora e sfoltisce utilizzando il testo di Gérard di Nerval, riadatto da Almire Gandonnière e da lui stesso. Non un’opera per la scena in senso stretto. Chiamata dall’autore “leggenda drammatica in quattro parti e dieci quadri”, è stata concepita inizialmente come una “opera da concerto”.
Dopo due rappresentazioni disastrose alla Salle Favart di Parigi nel 1846 (grandi lodi dalla stampa, ma poco pubblico), il successo le arrise solo trent’anni più tardi, dopo il 1870 o giù di lì; da allora è entrata gradualmente nei programmi di complessi sinfonici e di teatri, diventando uno dei lavori più eseguiti (spesso in forma semplificata) di Berlioz.
La versione integrale viene eseguita raramente a ragione dell’imponente organico orchestrale e del doppio coro (di cui uno di voci bianche). Richiede anche difficoltà vocali ai tre protagonisti. Berlioz in pratica rinunciò a vederla eseguita tanto in scena quanto in forma di concerto. Nel 1983, fece scalpore una versione scenica di Giancarlo Cobelli come spettacolo inaugurale del Teatro Comunale di Bologna.
In questi ultimi anni si è vista sia in forma di concerto a Roma (da dove mancava da dieci anni) nell’autunno 2006 sia in una versione scenica che nel gennaio 2007 è salpata da Parma per andare verso altri teatri. Differisce da gran parte dei numerosi lavori musicali ispirati a Goethe per vari motivi. In primo luogo, Faust non viene redento (ed assolto) ma il patto con il diavolo lo porta diritto all’inferno. In secondo luogo, il patto viene concluso non a ragione delle pulsioni contrastanti nell’animo del protagonista (la tensione verso il futuro e le radici nel presente e nel passato) ma a ragione della noia proto-esistenziale, dell’ennui, che lo porta a sedurre Margherita e a fare di lei un’assassina.
Evidenti i riferimenti ad un altro lavoro di Berlioz: Lélio ou le retour à la vie, un melologo proto-esistenzialista sull’ennui de vivre, composto come seguito della Symphonie Fantastisque. Non segue, poi, una vicenda lineare ma, ipotizzando che l’ascoltatore già conosca la trama, propone un vasto numero di scene musicali (non dieci come i quadri indicati nel libretto ma una ventina) in una vasta sinfonia quadripartita. È significativamente più breve delle maggiori opere di Berlioz per il teatro.
Terry Gilliam interpreta la “leggenda drammatica” come un’allegoria del declino spirituale e culturale della Germania dagli Anni Venti, al nazismo, ai campi di concentramento. Non mancano, nella regia, riferimenti a Thomas Mann oltre che a Marlowe e a Goethe in una fantasmagoria visiva in cui riferimenti alla pittura del romanticismo tedesco si fondono con nazionalismo militaresco, la prima guerra mondiale e filmati d’epoca sino alla catastrofe finale. In tale contesto, emerge la duplicità sia di Faust sia di Mefistofele.
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