I SEGNALI DA DAVOS (2)
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Roma - È su questo punto che è utile soffermarsi alla vigilia di un importante vertice europeo che potrebbe dare una svolta positiva al negoziato sull’“unione fiscale”, un anglicismo quanto mai improprio in italiano dove dovrebbe parlarsi di “unione delle politiche di bilancio”. Un passo ulteriore, quindi, rispetto al “coordinamento delle politiche di bilancio” previsto dal Trattato di Maastricht e dai suoi successivi aggiornamenti. Il cancelliere ha ammesso che tale “unione” può reggersi unicamente sulla crescita economica. Non poteva andare oltre e avventurarsi a parlare di ampliamento del fondo salva Stati oppure di ‘eurobonds’. Il Parlamento, e gli elettori tedeschi, non accetterebbero mai un’“unione di trasferimenti di risorse” (dalle formiche alle cicale per salvare quest’ultime dopo i loro stravizi). Per la prima volta, però, la Germania riconosce che ove venga raggiunta la stabilità finanziaria (specialmente in Grecia, Italia, Portogallo e Spagna) sarebbe impossibile mantenerla senza adeguati tassi di crescita. Merkel ha letto il libro di Anke Hassel, una delle maggiori economiste europee della giovane generazione (“The Paradox of Liberalization-Understanding Dualism and the Recovery of the German Political Economy"): lo studio illustra le trasformazioni realizzate oltre Reno per rispondere al nuovo contesto mondiale e dimostra come sono state guidate da una coalizione di leader industriali e sindacali riformisti e illuminati (specialmente di imprese orientate all’esportazione) che hanno metabolizzato il significato dell’integrazione economica internazionale. Si augura che alleanze analoghe si formino in Paesi oggi in seria difficoltà
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Ha detto bene il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick: “Per 60 anni la Germania ha avuto un ruolo di leadership nella modernizzazione dell’Europa; oggi la sua responsabilità consiste nel salvare l’Europa. Il cancelliere Merkel sa che i tedeschi non vogliono sprecare risorse ma sono profondamente impegnati nella difesa e nella valorizzazione della loro identità europea, nonché a fornire il supporto necessario se presentati con un programma realistico che coniughi stabilità finanziaria, riforme strutturali e crescita”. È alla luce di questi criteri che viene giudicata ogni giorno, ogni ora, ogni minuto l’Italia e chi ha la responsabilità di governarla.
Da questo Forum annuale di Davos dei “best & brightest” (e wealthiest) arrivano segnali più discordanti del solito. Da un lato, le analisi quantitative del recente passato mostrano un preoccupante aumento del divario tra “chi ha” e “chi non ha” (fatta eccezione dell’uscita dalla povertà assoluta di oltre mezzo miliardo di uomini e donne soprattutto in Asia). Da un altro, le previsioni sul futuro dell’economia mondiale sono, a dir poco, inquietanti: prevalgono alla lunga i catastrofisti (che vedono una lunga recessione, lo scollamento dell’integrazione economica internazionale, il “de profundis” per l’unione economica e monetaria europea, e pure la trasformazione di conflitti economici in guerre guerreggiate). Da un altro ancora, proprio sul terreno più difficile (la crisi del debito sovrano europeo), ci sono stati presagi positivi da cogliere nelle finezze, anche linguistiche, del discorso del cancelliere Angela Merkel (nonché nell’intervista apparsa il 26 gennaio su sette quotidiani dell’Ue). (ilVelino/AGV)
(Giuseppe Pennisi) 27 Gennaio 2012 14:45
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