martedì 1 novembre 2011

W. SCOTT IN MUSICA: ALLA SCALA ROSSINI RIMANE SENZA LAGO. Il Riformista 1 novembre

W. SCOTT IN MUSICA: ALLA SCALA ROSSINI RIMANE SENZA LAGO
Beckmesser
All’apertura del sipario, i ruvidi ribelli scozzesi cantano un inno di guerra in frac e con le loro donne in abiti lunghi stile Anni Trenta, mentre sorseggiano champagne. Non c’è nessun lago (nel meraviglioso duetto “barcarole” Juan Diego Flórez – Giacomo- e Joyce DiDonato – Elena- passeggiano sul palcoscenico mentre da una botola esce una stele con segni acquatici di stampo egiziano). Mancano le rupi, i ruscelli e le cascate così vividamente dipinti dalla musica di Rossini. Mentre. pure nelle scene di battaglia, il coro si muove come in un tabarin inizio Novecento, i protagonisti (oltre a Flórez e DiDonato , Daniela Barcellona- Malcom- Michael Syres/John Osborn- Rodrigo – Balint Szabo – Duglas) sono in ricchi costumi di cavalieri e dame medioevali quali raffigurati un tempo nel “Corriere dei Piccoli”. Una scena unica: un teatro neoclassico in rovina. Buona educazione suggeriscono di non aggettivare la regia di Lluís Pasqual, le scene di Ezio Frigerio e i costumi di Franca Squarciapino. Meglio chiudere gli occhi. Ed ascoltare.
La Donna del Lago è una delle opere più importanti e meno rappresentate di Gioacchino Rossini. Composta in poche settimane perché Gaspare Spontini aveva, all’ultimo momento, dato una solenne “buca” al San Carlo, il ventisettenne pesarese creò, dalla novella in versi di Walter Scott, un lavoro pieno di presagi di dover sarebbe approdato se non avesse optato per una lauta “pensione di anzianità” a trentasette anni: un romanticismo distante dal melodramma italiano ma prossimo a quello tedesco (ad esempio, Weber e Marschner) con personaggi dalle psicologie complesse, attenzione al paesaggio ed alla natura e quell’eros che con Verdi sarebbe sparito per mezzo secolo dalle scene italiane. E’ poco rappresentata in quanto richiede un soprano “anfibio” (tale da svettare in coloratura lirica ma anche di scendere a tonalità gravi), un contralto di agilità, un tenore di coloratura dal registro acuto, un bari-tenore in grado di arrivare al re acuto ed un basso anche lui di agilità. La produzione alla Scala sino al 18 novembre (joint venture con l’Opéra di Parigi ed il Covent Garden di Londra) è una rara occasione di ascoltare questa schiera di voci- unici precedenti che ricordo le edizioni della Scala e de La Monnaie e di Amsterdam del 1992 mentre anche i tre allestimenti del Rossini Opera Festival hanno dovuto fare compromessi sul piano delle voci, segnatamente quella della protagonista. A differenza di Muti (La Scala, 1992) che dava risalto allo smalto della scrittura orchestrale, Roberto Abbado e l’orchestra vedono il proprio ruolo essenzialmente nel supportare i solisti (anche quelli minori non ricordati in questa nota per ragioni di spazio) ed il coro, altro vero protagonista del lavoro (di livello nonostante l’improbabile guisa). Di grande suggestione e spessore, oltre alle arie ed al duetto del primo atto, ed finale primo e il terzettone del secondo atto e la scena conclusiva coronata da uno dei più bei rondò composti da Rossini. Merita un CD, non un DvD.

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