Un fondo per il «riscatto» del debito pubblico italiano
DI GIUSEPPE PENNISI
D ato come non pos¬siamo utilizzare le strade maestre per ridurre il debito pubblico – consolidamento, maxi-in-flazione, super-crescita – occorre guardare a espe¬rienze innovative di riscat¬to quali quelle attuate da alcuni Paesi dell’America Latina e dalla Germania. In America Latina non si trattava di risolvere il nodo del debito pubblico inter¬no (abbastanza contenuto a differenza di quello in¬ternazionale) ma di af¬frontare il peso di un inso¬stenibile debito previden¬ziale. In Germania, il pro¬blema era come coniuga¬re denazionalizzazioni con la riduzione del debito dei
Länder orientali. In tutti questi casi, per il riscatto sono stati istituiti fondi specifici quali il Treuhan¬denstat
( THA) tedesco e si è utilizzato parte dello stock di ricchezza pubbli¬ca e privata. Pure in Italia sono stati fat¬ti tentativi in parte in tal senso quali quelli di un mi¬gliore valorizzazione del patrimonio pubblico: ri¬cordate Patrimonio SpA e i vari Scip?. Hanno dato ri¬sultati modesti poiché troppo timidi. Negli ultimi mesi sono state proposte in questa direzione da e¬conomisti e giuristi come Giuseppe Guarino, Giorgio La Malfa, Andrea Monor¬chio, Paolo Savona, Guido Salerno ed altri. È un se¬gnale importante: persone di culture differenti stan¬no metabolizzando l’idea del riscatto, nonostante abbiamo dimestichezza con le esperienze dell’A¬merica Latina e della Ger¬mania. Numerose propo¬ste guardano solo o prin¬cipalmente alla ricchezza immobiliare privata (l’Ita¬lia ha la più alta percen¬tuale al mondo – l’80% – di residenti che abitano in case di loro proprietà). Ciò sarebbe un’imposta patri¬moniale in maschera e verrebbe letta dai mercati come l’anticamera della bancarotta.
Chiedere ai privati di «da¬re oro alla Patria» utiliz¬zando i propri gioielli di fa¬miglia è arduo, se lo Stato non è disposto a fare pas¬si analoghi. Destinare a ta¬le fine la parte meno red¬ditizia del patrimonio im¬mobiliare pubblico (come in una delle proposte del governo nella lettera d’in¬tenti all’Ue) non avrebbe esiti concreti: parte di tale patrimonio immobiliare ha costi di gestione supe¬riori agli ipotizzabili ricavi. Un fondo per «riscatto» del debito pubblico dovrebbe basarsi su tre pilastri (il suo 'sottostante' nel lessico fi¬nanziario): a) parte del pa¬trimonio immobiliare pubblico; b) parte del pa-trimonio immobiliare pri¬vato su base volontaria ed in cambio di un’esenzione permanente da eventuali imposte patrimoniali; c) parte dei veri di gioielli di famiglia (Enel, Eni, Fin¬meccanica, Poste Italiane, Sace, St-Microelectronics, Terna, Poligrafico, Sogin, Inail). Rai, Ferrovie, Fin¬cantieri ed altre imprese da denazionalizzare non verrebbero incluse poiché fardelli da rimettere in se¬sto o da liquidare.
Con un tale 'sottostante' in garanzia, il fondo po¬trebbe emettere titoli a lungo termine ed a tassi al¬lineati su quelli di riferi¬mento della Bce per ri¬scattare il debito pubblico e, in via subordinata, fi¬nanziare investimenti a lungo termine di interesse collettivo attualmente ac¬cantonati a ragione delle ristrettezze di bilancio. Il fondo sarebbe un veicolo per denazionalizzare/pri¬vatizzare le società e gli en¬ti le cui azioni sarebbero il suo 'sottostante'. Perché l’operazione funzioni il 'sottostante' dovrebbe es¬sere aggregato (con una cartolarizzazione) e non dovrebbe essere quotato in Borsa per un certo nu¬mero di anni, al fine di co¬stituire una garanzia soli¬da. Potrebbe essere collo¬cato presso fondi pensione per dare corpo ad una ef¬ficace ed efficiente previ¬denza integrativa. Ciò ri¬chiederebbe una preven¬tiva riduzione del loro nu¬mero da 700 ad una deci¬na con effettiva portabilità (ossia che gli iscritti pos¬sano votare con le gambe e migrare verso quelli me¬glio gestiti). Un passo che va comunque fatto se non si vuole che la previdenza integrativa resti una chi¬mera.
Alcune delle proposte ci¬tate sono all’attenzione del Cnel; è essenziale portare in pubblico quello che si¬no ad ora è stato un dibat¬tito tra specialisti.
la proposta
Finora i tentativi di valorizzare il patrimonio pubblico hanno avuto esiti modesti. Ora si studia un nuovo progetto Chiedere ai privati di «dare oro alla Patria» è cosa ardua, se lo Stato poi non fa lo stesso
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