giovedì 17 novembre 2011

"SEMIRAMIDE" NELL'EVOLUZIONE DEL MELODRAMMA ITALIANO in Il Velino 16 novembre

"SEMIRAMIDE" NELL'EVOLUZIONE DEL MELODRAMMA ITALIANO
Roma - L'ultima opera italiana di Rossini inaugura la stagione del San Carlo

Edizione completa
Stampa l'articolo
Roma - “Semiramide”, con cui viene inaugurata il 18 novembre la stagione del Teatro San Carlo di Napoli, è l'ultima opera di Gioacchino Rossini composta per un teatro italiano: ed è anche una delle rare opere "serie" del pesarese rimaste in repertorio nella seconda metà dell'Ottocento, nonché una delle prime a ritornare sui palcoscenici nella seconda metà del Novecento (nel 1940 al Maggio Musicale Fiorentino) e, da allora, ad essere una delle più rappresentate in Italia ed all'estero. E' pure il lavoro con il quale, alla presenza dei Reali d'Italia, venne inaugurato, il 27 novembre 1880, il Teatro Costanzi, attuale sede principale del Teatro dell'Opera di Roma. Cosa rappresenta nell'evoluzione del teatro lirico rossiniano ed italiana? La risposta sta probabilmente in quanto era avvenuto poco più di due anni prima della sua messa in scena, il 13 febbraio 1823 a La Fenice di Venezia. Il 3 dicembre 1820, al San Carlo di Napoli, "Maometto Secondo" (che il "chroniqueur" considera il capolavoro assoluto del pesarese) tonfò miseramente. Il pubblico venne letteralmente sbigottito da quella che oggi - l'opera è stata ripresa solamente nel 1983 - appare come un lavoro di inaudita modernità. "Maometto" aveva sconvolto probabilmente anche l'autore: la musica anticipava di quasi cinquanta anni il superamento degli schemi formali tradizionali e si articolava in vaste strutture collegate da un complesso procedimento di elaborazione tematica (tale quasi da precorrere Wagner, saltando di un sol colpo, il melodramma donizzettiano e verdiano ed il grand-opéra francese). Si incentrava sulla lunghissima scena chiamata "terzettone" di proprio pugno da Rossini in persona. Non solo ma il mondo musicale dei tre protagonisti non era ispirato unicamente al razionalismo laico alla Voltaire da cui era tratto il libretto: si respira trascendenza sia nelle preghiere degli assediati sia soprattutto nel sacrificio grazie al quale la protagonista salva la patria. Innovazioni importanti in un periodo in cui - si pensi al "Mosé in Egitto" - cori e preghiere avevano principalmente una funzione decorativa.

Anche se non ce ne è traccia documentaria è verosimile che il 28enne compositore si rese conto del salto in avanti che aveva fatto fare al teatro in musica e, date le reazioni sfavorevoli del pubblico, cercò nuove strade, meno avventurose. Il "Maometto Secondo" napoletano segnò, comunque, una svolta artistica profonda per Rossini: mentre prima di allora aveva sfornato quattro-cinque opere l'anno, dal 1820 ne compose solo una l'anno; il contratto con l'Accadémie Royale de Musique parigino ne contemplava appena una ogni due anni e, per di più, il nostro lo onorò riciclando, in parte, musica non nuova ma probabilmente non conosciuta in Francia. Come è noto, nel 1829, a soli 37 anni, si mise in pensione dal teatro in musica; per i quattro decenni successivi compose unicamente (poca) musica sacra e i "petits riens" per pianoforte.

La "rivoluzione musicale" compiuta con il "Maometto" del 1820 era, quindi, così profonda che Rossini ebbe paura di proseguirla. Adattò il "Maometto" napoletano alla scene veneziane dove venne rappresentato il Santo Stefano del 1822 (senza avere successo anche a ragione delle poche prove e delle cattive condizioni di salute della protagonista, Isabella Colbran). Nell'adattamento non solo osservò le prassi veneziane ma guardò a ritroso, addirittura alla scrittura del teatro barocco. Quindi, oltre alla consueta sinfonia ed al consueto lieto fine (con grande rondò per la prima donna), ma anche una vocalità più scura per i ruoli femminili, l'utilizzazione di un sopranista - castrato, un tenore da coloratura ed un basso d'agilità.

Successivamente andò verso altre strade: la tragédie lyrique ("Semiramide", "Le Siège de Corinthe"), il grand-opéra ("Moise et Pharaon" e soprattutto "Guillaume Tell") o l'opéra erotique ("Le Comte Ory"). In questo contesto, "Semiramide" appare una grandiosa, anzi smisurata, "tragédie lyrique" articolata su un libretto altamente improbabile dove c'è di tutto (uxuricidio, incesto, agnizioni, complotti di corte e di tempio, avvertimenti dall'oltretomba); la sua esecuzione integrale richiederebbe circa cinque ore di musica (la versione in scena al Teatro dell'Opera ne dura tre e mezzo in quanto incorpora gran parte dei "tagli di tradizione") . Il materiale drammatico, però, conta relativamente: "Semiramide" è l'esaltazione della musica pura - precorre il "bel canto" belliniano - specialmente "Norma"- nonché il ponte essenziale verso il melodramma donizzettiano e verdiano. Questo è indubbiamente uno dei motivi del suo successo nei lunghi anni in cui del Rossini "serio" si rappresentava solo (spesso pesantemente scorciato) "Guillaume Tell". Inoltre, "Semiramide" era stata composta su misura per Isabella Colbran, di sette anni più anziana di Rossini ma diventata sua moglie dopo essere stata, a lungo, amante, in parallelo, sia dell'allora giovanissimo pesarese sia del loro impresario napoletano, Barbaja. Era il momento del massimo innamoramento tra i due: l'opera è stata definita "l'apogeo dello stile Colbran" - perfetta per primedonne del melodramma romantico con registri e tessitura analoghi, per intenderci, a quelli della Callas - in grado, quindi, di arrivare sia a superacuti sia a tonalità scure.

Diventò opera preferita di Maria Malibran, Gulia Grisi, Giuditta Pasta, Adelina Patti. Altra caratteristica: un ruolo "en travesti" (quello di Arsace, amante di Semiramide, senza sapere di esserne il figlio) che consentiva ai mezzo-soprani e soprattutto ai contralti di dare sfoggio alle loro qualità molto di più di quanto non facesse il melodaramma donizzettiano e verdiano (che spesso li relegava in ruoli secondari). Quindi, opera preferita di quella Teresa Stolz che tanto contò nella vita di Verdi. Alla metà dell'Ottocento, "Semiramide" diventò il cavallo di battaglia delle due sorelle Marchisio (soprano e contralto) che ne fecero l'opera più amata da Napoleone Terzo. Una grande incisione, in studio, del 1966 pone Joan Sutherland accanto a Marilyn Horne. Se non è "bel canto"!. Lontana dalla scena napoletana da oltre venticinque anni, il nuovo allestimento è firmato da Luca Ronconi per una mise en scène essenziale che pone l'accento sui temi del potere e dell'incesto e che non rinuncia alla spettacolarità, con i costumi di Emanuel Ungaro rimandano a corpi nudi, e una imponente scena -unica e fissa- di Tiziano Santi impreziosita dal disegno luci di A.J. Weissbard. Sul podio del San Carlo torna Gabriele Ferro per dirigere Orchestra e Coro stabili, quest'ultimo diretto da Salvatore Caputo e posizionato in buca secondo i dettami di Ronconi. Il ruolo di "Semiramide" è affidato al soprano Laura Aikin. Il cast si completa con Silvia Tro Santafè, Simone Alberghini, Annika Kaschenz, Gregory Kunde e Federico Sacchi. (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 16 Novembre 2011 18:44

Nessun commento: