La polemica di novembre 2011
Potremo ancora permetterci il «lusso» di andare all'opera?
Al momento di commissariare il Teatro Verdi di Trieste, il Ministro Giancarlo Galan si è chiesto se possiamo ancora permetterci il «lusso» di andare all'opera, citando le difficoltà in cui versano i teatri di Bologna, Firenze, Genova e Napoli. Per un ammalato di lirica dall'età di dodici anni (il vostro polemista), questa è una triste notizia. Occorre tuttavia porla nel contesto di un'Italia che si è impegnata, in sostanza, di fare manovre di cinquanta miliardi di euro l'anno per i prossimi 15- 20 anni al fine di portare il debito pubblico al 60% del Pil, e tener conto anche della bassa produttività e degli alti costi delle fondazioni e della scarsa capacità di molti teatri di tradizione di «fare sistema». Dal 2001 al 2009 i teatri lirici italiani hanno accumulato perdite per oltre 216 milioni di euro; i debiti hanno raggiunto i 282 milioni di euro. Nello stesso periodo il totale dei contributi pubblici (FUS più enti territoriali) è passato da 332 a 344,7 milioni di euro; i privati hanno contribuito con una media di 42,5 milioni di euro l'anno; gli incassi da botteghino hanno raggiunto gli 84,5 milioni di euro (rispetto ai 72,2 milioni di euro nel 2001). I costi totali di produzione sono arrivati a 528.4 milioni di euro; quelli per il personale sono passati da 280,5 a 316,6 milioni di euro. Una rappresentazione lirica in Italia costa il 140% della media dell'eurozona, il 250% della media dell'Unione Europeo. Nel 2009 i nostri teatri hanno messo in scena in media settantasette recite d'opera ciascuno (dalle centoventicinque della Scala alle venticinque del San Carlo) contro le duecentoventisei recite della Staatsoper di Vienna, le duecentotre dell'Opernhaus di Zurigo, le centottantaquattro dell'Opéra di Parigi, le centosettantasette della Bayerische Staatsoper di Monaco o le centosessantuno della Royal Opera House di Londra.
Per poter continuare ad andare all'opera, occorre che non sia un lusso: ossia che si riducano i costi e si aumenti la produttività. Gli strumenti ci sono. In primo luogo, dare una prospettiva ai giovani delle numerose scuole create in questi ultimi anni, formando compagnie stabili con contratti triennali o quinquennali e riservando le scritture ad artisti ospiti (italiani e stranieri) di prestigio internazionale. In secondo luogo, ridurre il personale in eccesso. In terzo luogo, chiedere che almeno il settanta percento degli spettacoli sia in co-produzione (creando un cartellone nazionale e andando, per le fondazioni, verso il teatro di repertorio), che i teatri virtuosi vengano premiati con stanziamenti aggiuntivi nell'esercizio successivo, e che gli amministratori di quelli che chiudano il bilancio in rosso cambino mestiere (e siano passibili di azione di responsabilità). L'opera si salva con azione concrete. Non con piagnistei.
Giuseppe Pennisi
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