FIDUCIA MONTI/ Il Poker del Professore convincerà i mercati?
Giuseppe Pennisi
giovedì 17 novembre 2011
Mario Monti nel suo discorso al Senato (Foto Ansa)
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Per decifrare il discorso con cui Mario Monti ha illustrato in modo sintetico il programma del “Governo di impegno nazionale” che si accinge a guidare occorre conoscere la “teoria dei giochi” a più livelli in condizioni di asimmetrie informative. Ossia tutti i giocatori - il Governo “tecnico”, i partiti in Parlamento - giocano su più tavoli in partite dove le poste sono differenti: su un tavolo, ad esempio, giocano la propria “reputazione” con il resto dell’eurozona (ove non del mondo), su altro la propria “popolarità” (con il loro bacino di potenziali votanti). Nessuno conosce o riesce a prevedere le mosse dell’avversario; quindi, tutti prendono rischi calcolati (per evitare che i banchi saltino). Tutti sanno che ci sono almeno due “convitati di pietra”: il primo è i Mercati (con la maiuscola in quanto supergiocatore), il secondo “le elezioni”. I Mercati sono un po’ come la gggente!!! di Tina Pica; tutti sanno che esistono e che fanno paura, ma nessuno sa ben individuarli e pochissimi si rendono conto che sono composti da venticinquenni in carne e ossa che comprano e vendono titoli cercando di fare guadagnare le finanziarie per cui lavorano (dato che da questi guadagni dipendono i loro compensi). Le “elezioni” sono ben note, principalmente, ai giocatori che stanno in Parlamento: a molti danno timore perché equivalgono alla perdita di una posizione agognata e le campagne elettorali (anche in un sistema a liste bloccate) sono costose.
Molti giocatori (soprattutto coloro che siedono nei banchi del Governo) sono alle prese con quello che in una nota commedia di George Bernard Shaw viene chiamato “Il Dilemma del Dottore”, titolo del “play”. Nel lavoro, il protagonista, un medico, è posto di fronte a una difficile scelta: se salvare la vita al marito della propria amante o far sì, con mera inazione, che quest’ultima diventi vedova per convogliare con lei a nozze. Il “dilemma” dei nostri consiste in cosa dire e cosa fare intendere con la preoccupazione che una parola sbagliata possa indurre gli altri a un gioco pesante su uno dei vari tavoli.
In particolare, con attori così differenti e diversificati si può sperare unicamente in un “equilibrio dinamico” alla John Nash (chi ricorda il film “A Beautiful Mind” di una dozzina di anni fa?) tra “reputazione” e “popolarità” su tutti i tavoli simultaneamente. Un equilibrio necessariamente instabile. Per questo motivo, il programma di “equità” nei “sacrifici”, non menziona lo spettro dell’imposta patrimoniale, accenna appena alla rinascita dell’Ici (sotto altro nome) ed è vago sulle pensioni e sul mercato del lavoro. Anche i partiti (e, per quelli che ne hanno, le loro correnti) stanno in un equilibrio alla Nash, ma hanno, rispetto al banco del Governo, il vantaggio di sapere cos’è “popolare” con il loro elettorato - il quale non esita a dirglielo o tramite i social networks oppure scendendo in piazza.
Per mantenere questo equilibrio le dichiarazioni di voto non possono non essere (per le forze politiche che sostengono, più o meno con riserva, lo sforzo del Sen. Prof. Monti e dei suoi colleghi) parimenti vaghe: da un lato, devono sembrare ottimiste (se non altro per evitare, come si dice a Oxford, di “restare con il cerino” in mano); da un altro, devono far intendere quali sono i paletti che pongono (se non altro per non essere bastonati dagli elettori, specialmente da quelli “duri” e “puri”).
Il pirandelliano “Gioco delle Parti”, però, questa volta non è in tre atti con due intervalli. Ci sono i Mercati a far sì che sia breve. Un po’ come gli gnomi di Zurigo di nixoniana memoria. I Mercati votano non ogni giorno, ma ogni minuto, anzi ogni secondo con il mero legittimo obiettivo di guadagnare invece che perdere. Sino a quando durano gli “equilibri dinamici” alla Nash non possono non impensierirsi: vogliono sapere, in modo nudo e crudo, quali sono le misure specifiche che il Governo proporrà e quali le reazioni delle forze politiche. Sono sempre pronti ad allearsi con “le elezioni” in un “gioco ad ultimatum”, come quello tra Don Giovanni e il Commendatori in cui chi perde va all’Inferno.
Quindi, si mostrino al più presto le carte: inutile dare l’illusione che si ha scala reale se anche prendendo dal mazzo si può sperare al massimo in un tris di picche - sì proprio quello tanti che danni causò a un tale Hermann in un romanzo di Puskin.
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