lunedì 14 febbraio 2011

PER CRESCERE SERVE PIU’ FAMIGLIA Avvenire 8 febbraio

Giuseppe Pennisi
Da 15 anni, l’Italia è piatta: il tasso di crescita del Pil è rasoterra; siamo l’unico Paese del G7 in cui dal 2001 al 2010 il reddito procapite ha segnato una riduzione dello 0,4% rispetto (rispetto ad aumenti dell’1% in quasi tutti gli altri). Le prospettive per l’avvenire non sono incoraggianti. Il 4 febbraio, 20 istituti econometrici internazionali hanno stimato una crescita media attorno all’1,5% per l’eurozona nei prossimi 24 mesi, ma attorno all’1% per l’Italia. Il Piano Nazionale di Riforme (PNR) varato dal Governo a fine 2010 (ed all’esame dell’UE in aprile) propone un programma di liberalizzazioni per portarlo al 2% il tasso di crescita entro 2013 ; anche se i primi passi non sono stati nella direzione indicata nel PNR – le concessioni all’oligopolio collusivo dei taxi - la decisione di imprimere un’accelerata alla crescita porti a riforme, anche costituzionali, che rendano fattibili liberalizzazioni (e vantaggi per i consumatori) là dove più sono necessarie – al livello degli enti locali.
Ci si illuderebbe pensando che i “lacci ed i laccioli” sono il vincolo principale alla crescita. Le diagnosi dell’appiattimento e del declino tengono conto di determinanti importanti – le restrizioni finanziarie per entrare nell’euro, la recessione internazionale- ma non della principale: la mancanza di una politica per la famiglia che ha portato a riduzione della natalità, invecchiamento delle popolazione, contenimento dei consumi famigliari, scelte d’investimento molto prudenziali. Oggi con il 14% degli italiani in età scolastica, ed il 20% ultra-65enne , solo due terzi della popolazione è in età da lavoro e l’età media del lavoratore italiano supera i 45 anni. Se le tendenze in atto non mutano – in demografia il cambiamento richiede tempi lunghi - , nel 2050 meno del 14% sarà in età scolastica ed il 34% circa avrà più di 65 anni. Nel periodo del “miracolo economico”, il 24% degli italiani era in età scolastica appena il 9% aveva solcato i 65 anni. Due studiosi – uno americano di scuola liberal-liberista, Charles Kindleberger, ed uno ungherese, rigorosamente marxista, Ferenc Jannossy – studiate (senza conoscersi) le determinanti del miracolo economico italiano giunsero (negli Anni Settanta) alla medesima conclusione: una forza lavoro giovane e ben preparata ed una famiglia coesa e forte non solo come rete di sicurezza ma come nucleo in cui si sviluppa l’etica del lavoro (e l’etica più in generale). Sia Kindleberger sia Janossy arrivarono a risultati analoghi per un altro “miracolo economico” – quello di un Paese da 15 anni in ristagno a ragione dell’invecchiamento , il Giappone. Tanto in Italia quanto in Giappone – aggiungevano- la famiglia era pure il principale elemento di controllo sociale su scuola ed università.
Dalla fine degli Anni Sessanta, quel poco che c’era, in Italia, di politica per la famiglia è stato via via sbriciolato (svuotando perfino le poste di bilancio per gli assegni familiari al fine di finanziare pensioni di anzianità). La famiglia è stata indebolita, diventando “multipla”, “composita”, e chi più ne ha più ne metta. Ha perso il ruolo che aveva in molti comparti. Primo tra tutti la scuola, grimaldello della buona preparazione della giovane forza lavora italiana , il motore della crescita, anzi del miracolo. Nonostante i miglioramenti nell’ultimo lustro, gli studenti italiani di 15 anni d’età, nel 2009 erano ventiquattresimi in classifica (su 30 Paesi Ocse) nell’indice aggregato del test PISA di comprensione di lettura, di scienze e di matematica. L’analisi OCSE precisa che una delle cause è da attribuirsi al diminuito ruolo della famiglia.
Nel mettere a punto una strategia di crescita, attenzione a non soffermarsi sulle determinanti secondarie e non sulla principale.



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