mercoledì 16 febbraio 2011

LA CRISI DELL’INTELLETTUALE MITTLEUROPEO NELLE NOTE DI GUSTAV MAHLER in Charta Minuta gen-feb

LA CRISI DELL’INTELLETTUALE MITTLEUROPEO NELLE NOTE DI GUSTAV MAHLER
Giuseppe Pennisi


In tutto il mondo si celebra un doppio centenario: quello di Gustav Mahler, nato a Kalischt in Boemia il 7 luglio del 1860 e morto a Vienna, ancora capitale della Duplice Monarchia austro-ungarica, il 18 maggio 1911. In numerose città del mondo di cultura tedesca ed anglosassone, viene eseguita, per l’occasione. l’opera del compositore integralmente. In Italia, non mancano complessi sinfonici che, nella duplice ricorrenza, affrontano lavori importanti di Mahler, ma unicamente Roma è dotata di due grandi orchestre che si sono poste ambedue l’obiettivo di eseguire “tutto” o “quasi tutto” Mahler: l’orchestra sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (che Mahler diresse quando la sede del complesso era all’Auditorium Augusteo) e la più giovane Orchestra Sinfonica di Roma. Non è una sfida vera e propria: l’Orchestra Sinfonica di Roma (una realtà che ha meno di dieci anni, orchestrali mediamente trentenni, non riceve alcun sussidio dal settore pubblico ed ha un budget di meno di cinque milioni di euro l’anno) non può gareggiare con una delle più antiche e meglio dotate (un budget di cinquanta milioni di euro l’anno) formazioni sinfoniche europee. In effetti, nell’auditorium di Via della Conciliazione (sede dell’Orchestra Sinfonica di Roma) non si ascolterà l’Ottava Sinfonia (che richiede almeno 500 esecutori – è chiamata “la sinfonia dei mille”) , ma il più struggente dei lieder che, in questo arco di tempo, non si ascolteranno alla Sala Santa Cecilia. Di converso, nella Sala Santa Cecilia, l’unico tempo completato della decima sinfonia si ascolterà - leggermente al di fuori del ciclo- l’11 dicembre 2011 ad opera dei complessi del Teatro Marinskiy di San Pietroburgo guidati da Valery Gergiev.

Per tener conto dello sforzo richiesto dall’esecuzione dell’integrale di Mahler occorre tener presente che l’Accademia di Santa Cecilia ha realizzato un progetto analogo quando il direttore musicale era Myung-Whun Chung , grazie all’immaginazione ed ella tenacia del coordinatore artistico Gastón Fournier- Facio (ora alla Scala di Milano). Allora il progetto venne articolato dall’ottobre 1997 (il concerto inaugurale delle stagioni guidate da Chung) al maggio 2005 (quando sempre Chung ha condotto la Nona sinfonia prima di cedere il podio all’attuale direttore musicale, Antonio Pappano). Chung ha avuto la responsabilità di guidare i complessi dell’Accademia nell’integrale; in quell’arco di tempo vari concerti mahleriani sono stati diretti, a Santa Cecilia, da Yuri Temirkanov, James Colon, Daniele Gatti, Kent Nagano, Roberto Abbato, Leonard Slatkin, Lorin Maazel, Zubin Metha, Gary Bertini, Michael Tilson Thomas, Paavo Järvi, e Claudio Abbado (in ordine rigorosamente cronologico). Manca all’appello uno dei più grandi interpreti di Mahler, Giuseppe Sinopoli: avrebbe dovuto dirigere la “Nona” nel novembre 2002 ma se ne è andato poco più di un anno prima, mentre dirigeva “Aida” a Berlino.

L’integrale è uno dei risultati del poter disporre di un auditorium appropriato – le sinfonie di Mahler richiedono organici orchestrali enormi , cantanti , cori e doppi cori nonché cori di voci bianche – ed del ricordo della direzione da parte dello stesso Mahler dei complessi dell’Accademia all’Augusteo il 28 aprile del 1910, un anno prima di morire ? Oppure c’è un nesso meno visibile ma più profondo? Tale da trascendere gli aspetti più spiccatamente musicali dell’evento? E di riguardare anche quelli storico-politici ed economico-culturali?

Ho cercato di rispondere a questi interrogativi in un breve saggio pubblicato dalla rivista Ideazione nel primo scorcio del 2005. Torno sull’argomento, a sei anni di distanza, non solamente a ragione della passione per Mahler ravvivata dal duplice anniversario o perché i progetti di oggi tanto dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia quanto dell’allora nascente Orchestra Sinfonica di Roma, sono differenti di quelli del 1997-2005 ma perché il contesto storico-politico ed economico-culturale è profondamente cambiato nell’arco di questi sei anni (quando la crisi economica e finanziaria esplosa nel luglio 2007 era lontana e ci si compiaceva delle prospettive della “new economy”).

Nato in Boemia nella seconda metà dell’Ottocento; costruitasi una prima carriera a cavallo tra l’Impero tedesco (sempre più dominato dalla Prussia) e la Monarchia austro-ungarica; stabilitosi a Vienna proprio mentre un secolo stava per terminare l’altro per iniziare; esiliatosi, poi, a New York per fuggire dagli intrighi di una società già sul punto di correre al suicidio; rientrato a Vienna quasi solo in tempo per morirvi; Mahler esprime la crisi della cultura dell’Europa occidentale a cavallo tra due epoche.

Mahler è stato direttore d’orchestra acclamato ed innovativo in quanto volto alla rigorosa interpretazione della partitura senza abbellimenti da parte degli interpreti. In effetti, in vita, venne apprezzato più come concertatore che come compositore in quanto troppo netta era la rottura sia nella sinfonia (dove venivano introdotti elementi folkoristici e popolari, oltre alla voce umana e non si applicavano i quattro movimenti della sintassi in atto sin da quando era stata formalizzata da Haydn) sia nel lieder (dove il canto veniva giustapposto non ad uno o due strumenti oppure al grande organico); l’Olanda diventò la roccaforte degli stimatori delle sue composizioni, mentre perplessità la accoglievano nel mondo germanico e (nonostante certe affinità con Respighi) in Italia i rari concerti ad essa dedicati suscitarono curiosità più che entusiasmo. La sua musica, messa al bando, in Germania nel 1933 (Mahler era ebreo, anche se agnostico e convertitosi in gran pompa al Cattolicesimo per puri motivi di convenienza), è tornata ad essere eseguita con frequenza soltanto dalla fine degli Anni Cinquanta, non solo grazie ai suoi allievi (Walter, Kemplerer) ed alla nidiata di (allora) giovani concertatori (Kubelik, Bernstein, Solti, Haitink) ma pure a ragione della stereofonia che ha reso possibile la realizzazione del concetto mahleriano di suono spaziale, un concetto davvero moderno che oggi plasma le esperienze musicali più avanzate – dalla stereofonia della musica elettronica e cinematografica all’estremismo delle composizioni di John Luther Adams che possono essere eseguite ed ascoltate unicamente in The Place You Go to Listen, la casa speciale costruitasi in uno dei luoghi più isolati dell’Alaska.

Lo stesso Mahler , a fronte del relativo disinteresse di parte del pubblico per le sue enormi sinfonie, amava ripetere che sarebbero state comprese ed applaudite solamente 20-30 anni dopo la sua morte. Erano considerate, dai critici e dal pubblico dell’epoca, come espressione tardo-romantica e post-wagneriana di un epigone. Una lettera di Anton Webern a Alban Berg, scritta poco dopo la morte del loro amico comune illustra come l’avanguardia stessa della “scuola viennese” lo considerassero, invece, un anticipatore di quello che sarebbe diventato, nel lessico musicale di oggi, il “Novecento Storico”.

Mahler è stato partecipe attivo dei movimenti culturali al tempo stesso più nuovi e più tormentati del suo periodo (in primo luogo la “secessione” in architettura e nelle arti figurative): ben lo raffigurano le riproduzioni di Klimt nel cofanetto fine Anni Sessanta dei 14 long-playing delle sinfonie dirette da Kubelik alla guida dall’orchestra della radio della Baviera. Avido lettore di Dostojevsky, di Nietzche e (ovviamente) di Goethe, nonché accompagnato da una vita interiore complessa (da una conversione di maniera al cattolicesimo, passo essenziale per diventare Direttore Generale dell’Opera di Stato di Vienna, al complicato rapporto con la giovane e bellissima – ma non fedelissima - moglie Alma Schindler), Mahler rappresenta più di altri compositori di quel periodo le difficoltà del percorso dell’intellettuale mittle-europeo agganciato ad un passato sul punto di scomparire e rivolto verso un futuro da contenuti e contorni ancora non definiti.

A titolo di raffronto, Richard Strauss è stato anche lui espressione di una crisi di transizione, almeno sino ad “Elektra”; già con il “Rosenkavalier” mostrò di avere meravigliosamente metabolizzato il passaggio del tempo dalla fine dell’Ottocento ad un Novecento denso di tormenti ma anche di progresso tecnologico, economico ed anche musicale; con “Ariadne auf Naxos” e “Die Frau ohne Schatten” (ambedue concepite durante la Prima Guerra Mondiale ma rispettivamente, trionfo dell’eros sulla morte e inno alla paternità ed alla maternità) provò di aver superato ogni tremore e di essere tra gli intellettuali del ventesimo secolo che guardavano con una punta di ironica melanconia al diciannovesimo.

Circa sei anni fa mi chiedevo se le passeggiate nel romano “Parco della Musica” od in Via della Conciliazione di Roma in compagnia della musica di Mahler (analoghe a quelle che faceva, in compagnia di musicisti, scrittori, pittori e scrittori, nello Stadtpark e nel Volksgarten di Vienna od al Central Park di New York), non abbiano assonanze con la crisi dell’intellettuale europeo in questi anni di transizione tra il Novecento al segno dell’industrializzazione ed il Duemila al segno invece della net economy e della high tech. Oggi mi chiedo se non assomigliano di più alla fine della prima fase di globalizzazione dei tempi moderni – posta da storici dell’economia come Kevin O’ Rourke e Jeffrey Williamson tra il 1870 ed il 1910)- in cui l’Europa fu al centro del fenomeno. Quella fase della globalizzazione terminò con due colpi di pistola a Sarajevo e una lunga guerra inter-europea , dal 1914 al 1945 interrotta da un armistizio di vent’anni. L’Europa non è stata al centro dell’integrazione economica internazionale in corso dalla metà degli Anni Ottanta, e che ora è sull’orlo di arrestarsi od effettuare anche passi indietro. Ha anche perso la centralità innovativa e culturale, pure nel campo musicale, come dimostrato, ad esempio, dall’irresistibile ascesa dell’opera lirica americana (in febbraio a Roma vedremo “A view from the bridge” di William Bolcom ed appiano appena visto “Powder your nose” di Thomas Aldès a Bologna e “For You” di Iam McEwan e Micheal Berkeley in tournée in diverse città italiane) e dalla stessa musica elettronica (i cinesi ed i giapponesi, non più i tedeschi i francesi e gli italiani, hanno trionfato al recente Emufest romano).

Non solo ma il sistema monetario internazionale si sta spappolando (come avvenne attorno al 1910), la stessa unione monetaria europea va avanti a pezze e rattoppi (come avveniva, negli ultimi anni della vita di Mahler, a quell’unione monetaria latina definitivamente sciolta nel 1927), torna il protezionismo (in Italia da quello “imperfetto” del 1878 , ossia la tariffa doganale associata al nome del Ministro delle Finanze Luigi Luzzati, si andava, ai tempi di Mahler, a contingenti duri in occasione della guerra di Libia ed ora ad intese bilaterali), si profila la frammentazione del commercio e dell’economia mondiale in aree di libero scambio, accordi regionali e bilaterali preferenziali. E soprattutto non è la bella addormentata Europa, ma la formica asiatica, la cicala nord-americana e le tigri dell’America Latina (Brasile in primo luogo) ad essere i protagonisti di partite in cui il Vecchio Continente ha tanti seggi (al Fondo Monetario, in Banca Mondiale) ma da l’impressione di costituire un coretto (non sempre all’unisono) di comprimari.

All’epoca di Mahler, era in atto il crepuscolo degli Stati Nazione e degli Imperi multinazionali; il centro della politica, dell’economia e dell’intellighentsia cominciava a spostarsi dall’Europa all’altra sponda dell’Atlantico. Oggi, l’integrazione economica internazionale e la “morte della distanza” derivante dalla telematica, non solo rendono più tenue il ruolo dell’intellettuale europeo, rispetto al suo omologo americano, ma quest’ultimo guarda con maggiore attenzione al Bacino del Pacifico (ed alle sue controparti in quell’area) che al Vecchio Continente, nella cui demografia e struttura produttiva si avvertono segni di senilità. E la senilità – ce lo ha ammonito Italo Svevo- non si condona a nessuno.

Nell’immaginario del pubblico meno accorto, Mahler condivide, con Wagner, una leggenda: quella di essere stato un compositore fluviale. Invece, al pari di Wagner, Mahler compose relativamente poche ore di musica. Wagner rivoluzionò il teatro in musica, ove non la musica occidentale in tutti i suoi canoni, con 13 drammi (e pochissime composizioni orchestrali per un totale di 40 ore di ascolto- 50 se si includono le tre opere giovanili da lui stesso, a mio avviso ingenerosamente ed ingiustamente, ripudiate). Mahler ci ha lasciato appena dieci sinfonie (di cui l’ultima incompiuta) e 43 lieder (uno di meno di quelli contenuti nel solo ciclo del “libro dei lieder spagnoli” di Hugo Wolf), un numero modesto rispetto a quelli di Schubert, Schumann e Brahms). Mahler, tuttavia, rivoluzionò la sinfonia togliendola dalle strutture formali rimaste sostanzialmente immutate da Haydn a Beethoven, aggiungendovi voci e cori e fondendola con il lied (si pensi al quarto tempo della seconda, della terza e della quarta sinfonia, nonché al quinto della terza). Una concezione nuovissima: il musicologo Luigi Rognoni ha scritto efficacemente che così come Wagner introdusse la sinfonia nell’opera, Mahler introdusse l’opera nella sinfonia. Nella specifica forma del lied, poi, innovò la struttura mettendo la voce a confronto dell’enorme organico orchestrale post-wagneriano. Inoltre, nelle prime quattro sinfonie è presente quella “musica a programma” (i “poemi sinfonici” nel lessico italiano) che Mahler affermava di respingere in toto.

Veniamo, al cartellone, offerto per la doppia ricorrenza, dall’Accademia di Santa Cecilia e dall’Orchestra Sinfonica di Roma: i due programmi dettagliati possono essere letti sui siti www.santacecilia.it e www.orchestrasinfonicadiroma.it, oltre che su pubblicazioni delle due organizzazioni. In primo luogo, mentre nel 1997-2005 , l’intrapresa richiese 8 anni e una dozzina di direttori d’orchestra (ma diverse sinfonie e lieder vennero eseguite, con bacchette e voci differenti, anche più volte), ora i programmi sono più compatti. Quello dell’Orchestra Sinfonica di Roma è contenuto in un’unica stagione (in cui, in parallelo, si presentano le integrali delle sinfonie di Schumann e di Brahms) – quindi nell’arco di nove mesi. Quello dell’Accademia di Santa Cecilia si estende su tre stagioni, ma in pratica su poco più di un anno e mezzo in quanto spazia dall’ultima parte della stagione 2009-2010 all’inizio di quella 2011-2012. L’ascoltatore ha, quindi, la possibilità di meglio afferrare il significato dell’opera di Mahler (anche se, per motivi organizzativi, nessuna delle due istituzioni la offre in ordine cronologico). La compattezza deriva anche dai maestri concertatori: si possono contare quasi sulle dita di una mano. Nella Sala Santa Cecilia, cinque sinfonie sono affidate a Antonio Pappano, due a Valery Gergiev e la altre a Mikko Franck e Andris Nelsons – tutti direttori di grande fama internazionale. All’Auditorium di Via della Conciliazione , sede dell’Orchestra Sinfonica di Roma, Francesco La Vecchia si prende carico dell’intero ciclo.

Siamo all’inizio del percorso – al momento in cui viene scritto questo articolo sono state eseguite tre sinfonie a Santa Cecilia ed una a Via della Conciliazione, quando uscirà ne sarà stata eseguita un’altra - ma già da ora è chiaro che le due “integrali” sono marcatamente differenti, non solamente perché Santa Cecilia ha cento anni e dispone di molti più mezzi della Sinfonica Romana e la prima è avvezza a Mahler molto più della seconda ma soprattutto in quanto – come si è avvertito sin dall’esecuzione della seconda sinfonia in maggio- Pappano proviene dal teatro d’opera e, quindi, enfatizza i colori più spiccatamente drammatici della partitura, accentuando il ruolo dei solisti vocali e il coro; al grande tema della morte e della “resurrezione panteistica (argomento della sinfonia) si avvertiva quasi la presenza di un apparato scenico. Valery Gergiev, dal canto suo, ama i chiaro-scuri e pone l’accento su una tinta orchestrale forte (come si è notato nell’esecuzione della quinta in cui si prende l’avvio dal profondo dolore della marcia funebre per giungere all’estasi eroica del rondò). Francesco La Vecchia , invece, segue il dettame dello stesso Mahler: eseguire puntualmente quanto composto dall’autore senza abbellimenti personali e, sin dalla lettura della prima sinfonia, Il Titano, dà, rilievo al sinfonismo continuo mahleriano.

Un ultima notazione: l’estremo “Canto della terra”, che verrà eseguito dalla Sinfonica di Roma, il 18 maggio (giorno, lo ricordiamo ancora, della morte di Mahler). Il compositore sapeva di essere malato quando si accinse a comporlo sulla base di una raccolta di liriche cinese. La morte è vista come liberazione, è il tema fondante delle sei parti specialmente dell’ultimo, straziante, lied “L’addio”. Una visione “zen” più che cattolica o ebrea della fine dell’avventura umana. Ed un messaggio lanciato all’Europa di cento anni dopo- quella di oggi.



Per saperne di più

Fournier-Facio G. Gustav Mahler: il mio tempo verrà Milano, Il Saggiatore 2010

Mahler A. Gustav Mahler Ricordi e Lettere. Milano, Il Saggiatore 2010

Mahler G-Walter B. Carteggio Pordenone, Edizione Studio Tesi 1995

Principe Q. Mahler. La Musica tra Eros e Tanatos Milano, Bompiani 2002

Per chi si avvicina a Mahler è molto utile il cofanetto “Gustav Mahler- Complete Edition” edito nel 2010 dalla Deutche Grammophon



Giuseppe Pennisi, Consigliere del Cnel e docente di economia all’Università Europea di Roma ed alla Università di Malta a Roma, è un musicofilo collabora in materia di musica a varie testate italiane e straniere (il Foglio, Milano Finanza, Il Velino, Music & Vision).

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