martedì 1 febbraio 2011

OPERA: RITORNO AL FUTURO in Formiche febbraio

OPERA: RITORNO AL FUTURO
Giuseppe Pennisi
Basta dare un’occhiata veloce ai calendari delle stagioni dei principali teatri d’opera europei per accorgersi che alcuni dei maggiori teatri stranieri hanno inaugurato con “prime” mondiali od europee di autori contemporanei oppure le hanno nei loro cartelloni.
Hanno successo specialmente lavori tratti da romanzi od anche film di successo come “The bitter tears of Petra von Kant” (“Le lacrime amare di Petra von Kant”) di Gerald Barry, “Thyeste” di Jan van Vljimen , “Pan” di Marc Monnet, “Un Retour” di Oscar Strasnoy , “Sophie’s Choice” (“La scelta di Sofia”) di Nicholas Maw, “Seven attempted escapes from silence” (“Sette tentativi di fuga dal silenzio”), un libretto di Jonathan Safran Foer messo in musica da sette giovani compositori di Paesi e scuole musicali differenti. Lavori che, in Italia, dove il teatro in musica è nato oltre 400 anni fa, non si vedranno mai tranne che in pochi coraggiosi teatri. In effetti, nel nostro Paese, mentre sino ad una trentina di anni fa, ciascun maggior teatro presentava ogni anno una prima mondiale, quasi sempre di autore italiano, adesso tra le fondazioni liriche unicamente La Scala di Milano, il Massimo di Palermo, la Fenice di Venezia ed il Teatro dell’Opera di Roma si avventurano su questo terreno, spesso, però, in produzioni in scena unicamente per poche sere (prima che il “passa parola” attiri pubblico) ed anche relegando il “contemporaneo” in quelle che vengono considerate “sale minori” (come il “Nazionale” a Roma o il “Malibran” a Venezia). Naturalmente, si possono ascoltare e vedere opere nuove, quasi sempre atti unici, in produzioni sperimentali.
Specialmente nel mondo anglosassone, ha successo di pubblico il teatro in musica tratto da drammi, romanzi o anche film di successo (alla stregua della “literaturoper” a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento). Il primo è rivolto al grande pubblico: vicende note, musica accattivante, spesso diatonica, enfasi sul ritmo, Attenzione, non si è alle prese con dei musical alla Broadway ma con opere liriche vere e proprie (che seguono tutte le “convenzioni” dell’opera lirica: grande organico orchestrale, arie, duetti, concertati, voci assolutamente non microforate e nella tassonomia abituale (soprano, mezzo, contralto, tenore, baritone, basso, con la riapparizione dei controtenori di epoca barocca). In Italia se ne è avuto un assaggio con “A streetcar named destre” di André Previn (dal dramma di Tennessee Williams) messo in scena circa alcuni anni fa al Teatro Regio di Torino, nonché con “The death of Kinglofer” di John Adams (sulla vicenda dell’Achille Lauro) allestito a Ferrara ed a Reggio Emilia dove più di recente è stata presentata l’opera di Nicola Sani “Il tempo sospeso nel volo” sull’ultimo viaggio di Giovanni Falcone.
Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia rappresentano un’occasione che alcuni teatri hanno saputo cogliere per presentare non i consueti melodrammi verdiani associati, a ragione o (più spesso) a torto, al Risorgimento ma per commissionare nuovi lavori.
Due sono particolarmente importanti: “Senso” di Marco Tutino, su libretto di Giuseppe Di Leva, tratto dal racconto di Camillo Boito (da cui Luchino Visconti ha tratto un notissimo film) e “Risorgimento” di Lorenzo Ferrero su libretto di Dario Olivieri. Il primo, commissionato dal Massimo di Palermo e co-prodotto con il Teatro Nazionale dell’Opera di Varsavia (ma si parla già d’interesse da parte di teatri americani e di altri Paesi europei) è un lavoro di grandi proporzioni e di musica squisita; ha anche un’esecuzione di lusso, con la regia di Hugo De Ana, la concertazione di Pinchas Steinberg ed un grande cast internazionale. Il secondo è una coproduzione tra il Teatro Comunale di Bologna ed il Teatro Luciano Pavarotti di Modena; è un atto unico (accoppiato con “Il Prigioniero” di Luigi Dallapiccola) con intenti più chiaramente didascalico-celebrativi. Sia Tutino sia Ferrero possono essere ascritti al filone “neo-romantico” che supera lo sperimentalismo e guarda alle preferenze del pubblico, non solo dei colleghi. Può essere la volta buona per riprendere a riempire i teatri anche quando ci sono novità di autori italiani.

Nessun commento: