martedì 1 febbraio 2011

*Le false premesse della “patrimoniale” Il Velino 1 febbraio

ECO - Roma, 1 feb (Il Velino) - Il dibattito in corso sulle proposte (peraltro delineate in modo approssimativo) di misure straordinarie di bilancio ancorate su una imposta patrimoniale non solamente non tiene conto di ovvietà (innescherebbe fughe di capitali, colpirebbe principalmente il patrimonio immobiliare di persone fisiche e particolarmente quello del ceto medio) ma ignora quasi tutto il lavoro recente della disciplina che coniuga scienza delle finanze con psicologia (ad esempio, le monografie di Bruno Frey, Benno Torgler e Friederich Schneider delle Università di Zurigo, di Yale e di Linz) nonché quello degli storici dell’economia delle nuove generazioni. Con questi strumenti vengono studiati analiticamente i modelli di comportamento tributario per gruppi sociali, etnici e religiosi. L’ultimo lavoro esamina, con una strumentazione quantitativa, l’etica tributaria in tre Paesi europei multiculturali (Belgio, Spagna e Svizzera). Mentre, ad esempio, in Svizzera la democrazia diretta contribuisce all’etica tributaria, in Spagna il regionalismo separatista la erode. In Svizzera e Belgio la religiosità favorisce l’atteggiamento positivo nei confronti degli obblighi tributari, mentre in Spagna lo frena: non si deve dare a Cesare a scapito di quanto si dà all’Alto.

In tutti i Paesi il coinvolgimento civico è elemento determinante dell’etica tributaria. E in Italia, il coinvolgimento civico nella ultima tornata di aumenti tributari è stato circoscritto ai pochi esperti che stanno collaborando con chi ipotizza imposte patrimoniali. Dallo studio e da un’analisi comparata dell’Istituto Tedesco di Studi di Economia del Lavoro, Iza (Iza Discussion Paper N. 2578) si trova anche un fil rouge (una strategia) su come procedere. Non bastano misure lapalissiane (come disboscare la giungla degli adempimenti e ritoccare al ribasso le aliquote delle imposte sul reddito individuale, familiare e societario, nonché dell’Ici); occorre eliminare al più presto quel che resta dell’imposta di successione (mascherata da imposta di registro) - con la sua carica di veicolo per giungere a una concezione plurale e immanente della famiglia- e,quindi, accantonare idee di altre imposte sul patrimonio. L’analisi dell’Iza è puntuale: molti Stati lo hanno già fatto perché appartiene al passato remoto (venne introdotta con la tassazione capitarla e fondiaria quando i nascenti sistemi tributari erano rudimentali). In Australia è stato condotto dalla Business School della università di Melbourne uno studio non tanto del suo costo all’erario (ne esistevano dozzine) quanto sui suoi effetti sulle dichiarazioni di morte quando nell’ormai lontano 1979 è entrata tra le curiosità della fiscalità del tempo che fu: 50 decessi sono stati temporaneamente sospesi - clinicamente avvenuti - la settimana prima dell’abolizione della “Death Tax” ma medicalmente e legalmente dichiarati quella successiva al fine dell’imposta di successione. Alcuni econometrici americani hanno calcolato in qualche migliaia lo spostamento dei decessi legali tra l’ultima settimana del 2009 e la prima del 2010 (quando dal primo gennaio la “Death Tax” federale non esisterà più ed ovviamente nessuno parla di patrimoniali).
Negli Stati Uniti la Pepperdine Law Review ha appena pubblicato uno studio di un esperto di diritto tributario Jeffrey A. Cooper di fama internazionale il quale ha analizzato la competizione tra gli Stati Usa in termini di patrimoniali esistenti nella prima parte del Novecento (“una crisi moderna in prospettiva storica”). Molti Stati Usa la hanno abolita, a livello statuale, in quanto era diventata uno strumento che generava poco gettito, frenava la localizzazione di aziende e la competitività relativa del tessuto produttivo statuale. Quindi, era dannosa sotto lo stretto profilo economico. Più profondo, e più attinente al tema, il lavoro di Wojciech Kopczur (Columbia University) e Joseph Lupton (Federal Reserve Board) apparso nel numero di gennaio 2007 della Review of Economic Studies. Lo studio confuta (dati statistici alla mano) l’ipotesi del “ciclo vitale” di Franco Modigliani che ha tanto influenzato il pensiero economico italiano da plasmare i modelli econometrici sia della Banca d’Italia sia del ministero dell’Economia e delle Finanze. Nell’ipotesi di Modigliani, la famiglia non esiste: l’uomo (o la donna) accumulano in gioventù ed età matura per smaltire il montante in vecchiaia, calcolando (se possibile) di averlo estinto completamente (tranne che per le spese per il funerale e di sepoltura) al momento di morire. Secondo Kopczur e Lupton, le cose non starebbero affatto così: l’uomo e soprattutto la coppia hanno come obiettivo importante di vita terrena un lascito patrimoniale alle generazioni future. In media le famiglie con un obiettivo di lascito spendono per consumi correnti il 25 per cento meno delle altre. Tra le famiglie anziane del campione analizzato e in quelle in cui è rimasto vivo soltanto uno dei due componenti della coppia, circa quattro quinti del patrimonio verrà lasciato in eredità; circa la metà in seguito a obiettivi espliciti di lascito. Una patrimoniale (più o meno celata) colpirebbe questa esigenza vitale della persona. Uno degli astri nascenti del pensiero economico Usa, Timor Kuran (di chiare origini dell’Asia centrale e profondo conoscitore dell’Islam), avverte che chi di “patrimoniale” ferisce, di “patrimoniale” perisce (almeno sotto il profilo economico-finanziario). Kuran individua nella complessa imposizione sui patrimoni e sulle successioni la determinante principale del declino economico dell’Islam nel periodo in cui in occidente sorgevano l’economia di mercato e l’impresa.

(Giuseppe Pennisi) 1 feb 2011 20:55



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