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ECO - Il crepuscolo delle banche centrali
Roma, 17 feb (Il Velino) - Pochi si sono accorti che le banche centrali sono state una delle vittime principali della crisi finanziaria. Non di tutti i Paesi. Ma di quelli dell’area atlantica. Hanno perso, infatti, quella che è stata, per decenni, la loro caratteristica principale: l’indipendenza. Caratteristica che a sua volta dipendeva di essere lender of last resort, prestatore di ultima istanza, un prestatore che non guardava in faccia nessuno, nel senso che operava dietro un vetro smerigliato senza vedere il volto del cliente, ossia senza fare scelte allocative tra questo o quello, ma esaminando unicamente il merito di credito di ultima istanza sulla base di parametri oggettivi e trasparenti. A ragione della crisi finanziaria, le banche centrali hanno perso questa caratteristica - a cominciare dalla Federal Reserve Usa - si sono chieste se “salvare” una delle maggiori banche d’investimento (come Lehman Brothers) o una delle più grandi compagnie di assicurazioni (come Aig). Nel fare queste scelte allocative non solo hanno tradito la loro missione principale - la neutralità tra soggetti alla ricerca di finanziamento - ma non hanno mai avuto il coraggio di assumersi pienamente le responsabilità: da novelle Giovanna d’Arco hanno ascoltato “le voci”, quelle degli “eletti”, ossia della politica. Nella deliziosa “Histoire du Soldat”, messa in musica da Igor Stravinsky, il poeta svizzero Charles-Ferdinand Ramuz fa dire al Diavolo: “Nessuno può tornare ad essere quello che era”. Al pari del soldatino di Ramuz-Stravinsky, le banche centrali non potranno tornare ad essere quello che erano.
Ma - si obietterà - qualcosa di analogo non è avvenuta tra le due guerre mondiali per riprendere, poi, il percorso verso la “normalità”? Ci sono analogie ma soprattutto differenze tra gli Anni Trenta e questo primo scorcio di 21esimo secolo (come rilevato in un seminario in Banca d’Italia il 17 febbraio da Gianni Toniolo di Duke University presentando un lavoro ancora in corso di finalizzazione): in primo luogo, le banche centrale (e i governi) oggi dispongono di una strumentazione molto più ampia di quella di allora (e sanno utilizzarla); in secondo luogo, ora la banche centrale cooperano strettamente mentre negli Anni Trenta non solo non collaboravano ma erano in conflitto più o meno aperto l’una con l’altra. Anche allora molte banche centrali persero la “neutralità allocativa” e finirono anche con l’entrare nella gestione di servizi finanziari e di imprese in difficoltà. La Banca d’Italia scansò il problema grazie alla creazione dell’Iri. Ne uscirono, però, a ragione del grande lavacro della Seconda Guerra Mondiale e della strategia del dollaro e della sterlina per ricostruire l’economia mondiale sulla base di principi di convertibilità delle monete, di gestione collegiale dei cambi e di liberalizzazione dei commerci. Questi principi erano germani al concetto atlantico di banche centrali (e di loro indipendenza e neutralità allocativa). E l’area atlantica era il centro del mondo finanziario, economico e commerciale. Oggi tutto ciò è molto più difficile. Innanzitutto, banche centrali importanti quanto quelle atlantiche , ove non di più (si pensi a quelle di Cina, Brasile, India e Russia), non hanno mai avuto la cultura dell’indipendenza dai governi e della neutralità allocativa. Inoltre, la gestione dell’Himalaya dei debiti pubblici nell’area atlantica rende oggettivamente difficile la separazione degli istituti di emissione dalla politica. Che vorrà avere l’ultima parola nelle scelte allocative in quanto ne risponde agli elettori.
(Giuseppe Pennisi) 17 feb 2011 19:40
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