MA SI PUO’ ANCORA SALVARE
Giuseppe Pennisi
L’Italia, culla della lirica, rischia di diventarne la bara. L’Anfols – associazione che riunisce gran parte delle fondazioni lirico-sinfoniche- ha lanciato un grido d’allarme: dato che il decreto “Mille Proroghe” non ha reintegrato il Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) come atteso, è in gioco “la sopravvivenza stessa”. I Sovrintendenti chiedono un incontro urgente con i Ministri interessati e modifiche al contratto nazionale di lavoro (CNL) che non garantisce “un’efficienza gestionale paragonabile agli altri teatri europei”. L’Italia non è unica a ridurre i contributi alla lirica. In questi mesi, ad esempio, i tre maggiori teatri lirici di Berlino sono stati fusi in un’unica fondazione al fine di effettuare economie di scala e sinergie. Le sovvenzioni pubbliche ai maggiori teatri Usa sono diminuiti tanto che alcune sale storiche – come il Lyric di Baltimora- hanno sospeso le attività. L’Austria resta, invece, un Paese da sogno. Pur quando nel 2007 (prima delle riduzioni degli ultimi quattro anni) il Fus ammontava a 500 milioni di euro (rispetto ai circa 275 previsti per il 2011- attorno al 45% del totale è destinato alla lirica), le sovvenzioni statali ai teatri d’opera italiani erano, in totale, poco più della metà di quanto il Governo federale austriaco destinava ai cinque teatri lirici di Vienna ed al Festival di Salisburgo. Sogni si diceva. La realtà, però, è ben diversa. Anche ove alla lirica venisse destinato il 75% del Fus stanziato per quest’anno (ossia 200 milioni) , la somma non basterebbe a pagare il personale in essere (5700) delle 14 fondazioni.
Il pericolo che in molti teatri il sipario scenda per sempre è concreto. Eppure, la situazione italiana rimane anomala anche sotto altri punti di vista. Mediamente il costo di una rappresentazione lirica in Italia è il doppio di quello dell’Europa a 27; la Scala ha oltre 800 dipendenti, l’Opera di Roma 600 mentre la media nell’UE è di circa 250 dipendenti a teatro (cantanti compresi); il CNL del settore viene considerato ( a torto od a ragione) il più generoso dell’area atlantica (UE-USA-Canada) .
Come evitare la crisi? In primo luogo, trovando, per il programma-ponte, risorse all’interno del Ministero dei Beni Culturali che negli ultimi tre lustri ha accumulato residui enormi (in certi anni ha speso solo il 44% della dotazione per attività non di mero funzionamento amministrativo – stipendi, utenze); con la nuova normativa sulla contabilità dello Stato, tali residui (parcheggiati in 324 “contabilità speciali” fuori bilancio) rischiano di essere spazzati via. Meglio utilizzarne una parte perché i teatri non muoiano. In secondo luogo, mettere a punto i regolamenti della nuova legge con l’obiettivo, da un lato, di dare certezze di programmazione almeno triennale ai teatri e, dall’altro, di rendere più flessibile la gestione. In terzo luogo, contenere i costi ed aumentare la produzione (come ha fatto il Massimo di Palermo , un tempo considerato un pozzo senza fondo e da oltre un lustro con i conti a posto). In terzo luogo, imporre che si vada verso un cartellone nazionale (con un buon 70% di coproduzioni) al fine di attuare sinergie. In quarto luogo, rendere più convenienti (sotto il profilo tributario) l’intervento dei privati. In quinto luogo, attirare un pubblico più giovane (il 30% degli spettatori dell’English National Opera, ENO, ha meno di 40 anni) con scelte artistiche appropriate (opere moderne, regie efficaci). In sesto luogo, produrre spettacoli di qualità tale da essere “venduti” sul mercato internazionale (come fanno i maggiori teatri europei). In settimo luogo, esaminare se è necessario avere 14 fondazioni o se alcune non hanno trovato , in tanti anni, soci privati ed hanno la produttività così bassa (5-6 titoli l’anno) da poter essere meglio incluse nella categoria dei “teatri di tradizione”, sovvenzionati principalmente a livello locale.
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