lunedì 28 febbraio 2011

Osr, l’orchestra che porta le sinfonie italiane nel mondo

CLT - Lirica/ Osr, l’orchestra che porta le sinfonie italiane nel mondo
Roma, 28 feb (Il Velino) - Essendo quasi a metà della stagione 2010-2011, è bene tornare a rivolgere l’attenzione all’Orchestra Sinfonica di Roma (Osr), spesso trascurata anche dalla stampa romana a ragione del peso della sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il cui budget è dieci volte superiore. Non è trascurata, però, dai suoi fan (molti i giovani) che, la domenica pomeriggio e il lunedì sera, affollano il grande auditorium di via della Conciliazione, anche a ragione della politica di bassi prezzi e per gli abbonamenti e per i singoli concerti. Hanno pure costituito un’associazione di amici dell’Osr che organizza seminari di cultura musicale e viaggi per accompagnarla in tournée. Un esempio al tempo stesso interessante e stimolante di partecipazione del pubblico alle attività di un’orchestra che considerano loro.

Quest’anno la stagione è dedicata quasi interamente a tre “integrali”- Beethoven, Mendelssohn e Mahler - in coincidenza con importanti ricorrenze. Tuttavia, l’Osr non dimentica il troppo spesso obliato sinfonismo italiano (dopo avere inciso l’integrale di Martucci, sta ora arrivando nei negozi di dischi quella di Casella). La riscoperta del sinfonismo italiano è infatti uno degli elementi che l’hanno resa celebre nel mondo: in Germania, Austria, Polonia, Gran Bretagna, Belgio, Spagna, Russia, Nord America, America Latina e Cina. Francesco La Vecchia, che ha creato e dirige l’Orchestra, quest’anno dirige l’integrale di Mahler oltre che a Roma, anche a Budapest e a Seul. Un vero e proprio tour de force che pochi direttori d’orchestra affrontano in un arco di tempo così breve. Il concerto in programma il 6 e 7 marzo a Roma è interamente dedicato alla nona sinfonia, una struggente riflessione sulla morte del maestro boemo, considerato a ragione il ponte tra l’Ottocento e il Novecento.

I due ultimi concerti di questo mese (20-21 febbraio e 27-28 febbraio) sono invece stati un viaggio nell’Ottocento. Il primo è stato diretto da un giovane concertatore cinese,Yang Yang, e ha avuto come solista un noto violinista ucraino, Vadim Brodsky, al quale sino alla fine degli anni Ottanta è stato vietato di suonare al di fuori del blocco sovietico. Il secondo è stato diretto da La Vecchia; solista una giovanissima, e bellissima, violinista coreana, Fabiola Kim, già molto apprezzata sia in Asia sia negli Stati Uniti. Una tendenza in linea con gli obiettivi dell’Osr, quella di fare conoscere artisti nuovi, spesso ancora poco conosciuti in Italia e cogliendoli quando la loro carriera non è più solamente una promessa ma si sta lanciando a livello internazionale.

Nel primo concerto, l’Ottocento è stato colto nelle sue sfumature più nettamente romantiche con il Concerto n. 4 in Re minore per violino ed orchestra e con la Settima sinfonia di Beethoven. Nel secondo si è invece partiti con due notissime composizioni di Mendelssohn (la breve ouverture Die Hebriden e il Concerto per il violino e orchestra in Mi minore) per approdare al grande sinfonismo italiano a cavallo tra la fine del secolo e l’inizio del Novecento (La Serenata, La Govotta e la Giga di Martucci) e chiudere con l’unica breve Symphonie di Wagner, il Siegfried Idyll. Un viaggio appassionante accolto con grande apprezzamento del pubblico, che ha avuto i suoi punti più alti (e di maggiore effetto) nei virtuosismi di Vadim Brodsy e di Fabiola Kim. A grande richiesta, entrambi hanno concesso il bis.
(Hans Sachs) 28 feb 2011 13:13
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MAI METTERE TROPPO CAPITALE IN MANO AL POLITICO Il Foglio 28 febbraio

AND THE PAPER IS...
MAI METTERE TROPPO CAPITALE IN MANO AL POLITICO. Mentre il capitale fisico e finanziario possono erodersi se vengono utilizzati troppo e male, il capitale "politico" si accresce se lo si usa e lo si impiega bene. Ma cosa fanno i politici del loro capitale finanziario? Non è una domanda peregrina, in quanto in paesi come gli Stati Uniti la politica intermedia il 30 per cento del pil. E in Europa il 50 per cento. Si presume che nell'allocarlo lo facciano con la stessa accortezza con cui il buon padre di famiglia destina le attività nel nucleo. Andrew Eggers dell'Università di Yale e Jens Hainmueller del Massachusetts Institute of Technology si sono presi la briga di fare un po' di conti e di pubblicarne una versione preliminare sul "Microeconomcs: Asymmetric & Private Information eJournal" nel lavoro "Political Capital: The (Mostly) Mediocre Performance of Congressional Stock Portfolios, 2004- 2008".
Il quadro non è incoraggiante: mentre uno studio campionario degli anni Novanta mostrava che i parlamentari americani sapevano entrare ed uscire da questa o da quella azione con tempismo, i portafogli azionari di deputati e senatori americani, tra il 2004 e il 2008, risulta siano andati mediamente al di sotto degli indici di mercato del 2-3 per cento l'anno. Una determinante può essere il fatto che investono in modo "sproporzionato" – dicono Eggers e Hainmueller - in capitale di rischio di aziende dei loro collegi elettorali. Con la conseguenza di trovarsi spesso non solo con rendimenti mediocri ma anche con conflitti d'interesse. (Giuseppe Pennisi)

venerdì 25 febbraio 2011

Quattro buone ragioni per non turarsi il naso Il Foglio 26 febbraio

25 febbraio 2011
Quattro buone ragioni per non turarsi il naso
Gallerie immagini:

Perché correre a Parma o a Reggio Emilia a vedere una messa in scena concepita nel lontano 1974 del “Naso” di Dmitri Šostakovi? In primo luogo, per studiare come con pochi rubli (del 1974) ma tanto ingegno si possa fare uno spettacolo ancora oggi fresco e divertente. In un momento in cui si paventa la chiusura di templi della lirica in Italia (i cui costi medi sono il doppio di quelli dell’Unione europea) è salutare vedere come nel piccolo “teatro d’opera da camera” (200 posti) il regista Boris Prokrovksij e i suoi collaboratori siano stati in grado di ricreare la Pietroburgo di fine Ottocento, spaziando dall'immensa cattedrale ai palazzi del potere con un minimo di attrezzeria, sapienti giochi di luce e costumi sgargianti: ciò che più sorprende è che lo spettacolo affascini anche oggi non solo gli anziani ma soprattutto i giovani (come si è visto all’anteprima per gli under 30).
In secondo luogo, il regista Boris Prokrovksij mise in scena l’opera dopo ben 41 anni dall’ultima rappresentazione in Russia. Era stata vietata dopo due recite nel 1931 (una ripresa dopo 14 repliche trionfali nel 1930): anche se era stata messa in scena in un teatro secondario di Leningrado, dava fastidio alla “Mosca-che-poteva”, quella di Stalin e del suo entourage. Graffia ancora contro tutte le bigotterie ed è, quindi, attualissima. In terzo luogo Dmitri Šostakovi ci insegna a non turarci il naso ma ad andare dritti.
Nel 1930, aveva 24 anni, era un gran bevitore di champagne di Crimea e assiduo frequentatore dei letti di mogli altrui. A maggior ragione, nel suo primo lavoro per la scena metteva alla berlina i falsi perbenisti puritani. In quarto luogo, lo spettacolo è frutto di un lavoro di équipe in cui i cantanti recitano e ballano con brio un “Wozzeck” alla rovescia. Un’epoca analoga a quella dipinta da Berg viene mostrata non con amarezza ma con allegria e ironia con una partitura eclettica e ardita sotto il profilo sia orchestrale che vocale.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Giuseppe Pennisi

Unmistakably American in Musik and Vision 23 gennaio

Unmistakably American
William Bolcom's 'A View from the Bridge',
heard by GIUSEPPE PENNISI

America's 'new' operatic productions are very little known in Italy, in spite of the amount, variety and quality and the stated intention to capture new audience for music theatre through strong librettos and eclectic but easily understood scores. In the 2009-10 season, in spite of the hard economic cycle, at least twelve new operas were premièred in the USA; of these, two (Il Postino by Daniel Catán and The Garden of the Finzi-Continis by Ricky Ian Gordon) were based on well-known Italian movies. In Germany, Austria and a few other European countries, 'new' American operas are often performed, but in Italy only André Previn's A Streetcar Named Desire and Lorin Maazel's 1984 have been seen in major opera houses. For the 'new' American theatre, I mean the genre that has quietly developed over the last century or so starting with masterpieces such as Carlisle Floyd's Susannah, Douglas Moore's The Ballad of Baby Doe, and Gian Carlo Menotti's The Consul. Floyd and Moore combined traditional European operatic models with American folk influences to tell a distinctly American story: in the case of Baby Doe, the real-life rags-to-riches story of Horace 'Silver Dollar' Tabor and in the case of Susannah, a Biblical tragedy re-set in the American bible belt. The Italian-born Menotti creates a chilling picture of European totalitarianism and, by implication, of American complicity. In the seventies, Thomas Pasatieri composed twenty-two operas mostly drawn from well known plays; in my opinion, the best was The Seagull. In parallel, Dominick Argento developed visionary operas such as A Postcard from Morocco.

A scene from William Bolcom's 'A View from the Bridge' at Teatro dell'Opera di Roma. Photo © 2011 Corrado Falsini. Click on the image for higher resolution
Over the last fifteen years, many new composers have flourished in the attempt to capture a new and younger audience to the art and business of opera. In the USA, opera houses are private; even though the tax system provides generous relief to sponsors and contributors, managers must keep an eye on the box office; also, sponsors and contributors are, of course, interested in ventures that please a large audience, not in those that give joy to only a rather small experimental élite. Thus, 'new' American operas are often based on widely-known subjects, have 'neo-romantic' diatonic scores, emphasize declamation (as a new way of 'recitative' to get the action moving as well as in order to make the text clearly understood) but also have specific numbers (arias, duets, concertato) and normally keep the same characterization of traditional Italian operas -- a lyric soprano and a lyric tenor for the young lovers, a baritone for the villain, a variety of basses and mezzos in all the other roles and, if possible, a strong choral participation.

Kim Josephson as Eddie Carbone and Marlin Miller as Rodolfo in William Bolcom's 'A View from the Bridge' at Teatro dell'Opera di Roma. Photo © 2011 Corrado Falsini. Click on the image for higher resolution
William Bolcom's A View from the Bridge is in line with this canon or set of implicit rules. It has strong roots in a well known Arthur Miller play which was also a successful film. Arthur Miller himself wrote the libretto in collaboration with Arnold Weinstein. Some scenes from the original play are either eliminated or shortened, but a major role is given to the chorus with the view of giving the opera the slant of a Greek tragedy, just as Arthur Miller intended to do in the first version of his work -- a one act play in verse. Bolcom's opera had an Italian precedent: in the Teatro dell'Opera of Rome's 1960-61 season, Renzo Rossellini's Uno Sguardo dal Ponte had been unveiled based on the translation of Miller's play. Rossellini's opera was revived a few times in Italy, but it fell into oblivion. It was a good, unmistakably Italian verismo opera with more emphasis on specific musical numbers, a smaller role for declamation and, of course, a lesser function for the chorus.

John Del Carlo as Alfieri (left) and Mark McCrory as Marco in William Bolcom's 'A View from the Bridge' at Teatro dell'Opera di Roma. Photo © 2011 Corrado Falsini. Click on the image for higher resolution
Instead, Bolcom's A View from the Bridge is unmistakably American. It was commissioned by the Chicago Lyric Theatre and has been seen in New York, Washington and other major opera houses in the United States. The production opened in Rome on 18 January 2011, and this review is based on that opening performance. It had been staged in Chicago (and elsewhere in the USA) before crossing the Atlantic. It is, thus, a well proven product with an effective stage direction by Frank Galati (special attention is given to acting), an impressive three-level stage set by Santo Loquasto (Woody Allen's favorite set designer), projections by Wandall K Harrington and lighting by Jeff Bruckerhoff. Most of the main singers are American: John Del Carlo (Alfieri), Kim Josephson (Eddie Carbone), Dale Travis (Louis), Amanda Squitieri (Catherine), Gregory Bonfatti (Tony), Marlin Miller (Rodolfo) and Mark McCrory (Marco). Amanda Roocroft (Beatrice Carbone) is British. The chorus of the Teatro dell'Opera, the chorus master Roberto Gabbiani and a few singers in minor roles are Italian.

Mark McCrory as Marco and Amanda Roocroft as Beatrice Carbone in William Bolcom's 'A View from the Bridge' at Teatro dell'Opera di Roma. Photo © 2011 Corrado Falsini. Click on the image for higher resolution
Before commenting on the performance, it is worth noting that the normally conservative Teatro dell'Opera audience took this dive into the uncharted waters of the 'new' American operatic genre quite well. There were open scene applauses after the arioso-song of the lyric tenor (Marlin Miller) as well as after that of the bass (Mark McCrory) in the prison scene. There were ten minutes of accolades at the final curtain calls, after a performance of two hours and 45 minutes, including intermission.

Marlin Miller as Rodolfo is nearly strangled by Kim Josephson as Eddie in William Bolcom's 'A View from the Bridge' at Teatro dell'Opera di Roma. Photo © 2011 Corrado Falsini. Click on the image for higher resolution
Dramaturgically, Arthur Miller's play is very tense; as mentioned, the stage direction and sets enhanced its power. Musically, Bolcom's score is eclectic, but has considerable invention and power which complement and strengthen the action with rare acuity. Naturally, in the score, the listener senses Gershwin and Bernstein, but there is also a hint of Luciano Berio. The orchestration is especially rich: there are some twenty leitmotifs, used not in any Wagnerian manner, but rather as in Puccini's La Fanciulla del West to depict characters and situations and to bring them back to the listener's memory. Again and again, the orchestration confidently establishes just the right emotional temperature in any given scene. David Levi conducted the Teatro dell'Opera orchestra effectively, and the orchestra, on its own account, responded quite well.

Amanda Roocroft (left) as Beatrice Carbone and Amanda Squitieri as Catherine in William Bolcom's 'A View from the Bridge' at Teatro dell'Opera di Roma. Photo © 2011 Corrado Falsini. Click on the image for higher resolution
Bolcom exploits the glory of the human voice. The speech rhythms are embedded in the music, which always feels melodic and part of the surging whole. Amanda Roocroft is a powerful dramatic soprano. The vocal protagonist is Kim Josephson, and indeed it seems that the Eddie Carbone role was written especially for him, even though he has no single number and his mastery is in shading various types of declamation. His opposite is the bass Mark McCrory, quite agile, especially in his prison scene arioso. The trio is completed by John Del Carlo, a versatile bass-baritone with the function of chorus leader and commentator. The two young lovers were tender but excellent in their acute: Marlin Miller (a lyric tenor with a timbre similar to that of the late Fritz Wunderlich) and Amanda Squitieri (a good lyric soprano). In short, an effective cast both vocally and dramatically.
Copyright © 23 January 2011 Giuseppe Pennisi,
Rome, Italy

TEATRO DELL'OPERA
ROME
ITALY
UNITED STATES OF AMERICA
OPERA
AMANDA ROOCROFT
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Unmistakably Italian in Music and Vision 24 gennaio

Unmistakably Italian
A fresh start for Gnecchi's 'Cassandra',
by GIUSEPPE PENNISI

The late Dame Joan Sutherland and her husband, the conductor Richard Bonynge, loved Catania's 'Massimo Bellini' Theatre in eastern Sicily, not only for its elegant façade and its smart auditorium, but also for its perfect acoustics. In the late 1880s, its architect, Carlo Sada (later in charge of designing Buenos Aires' Colón) developed an acoustic miracle where in all series of seats the audience feels to be literally embraced by the music. This jewel has had ups and downs during the last twenty five years. It is not one of the thirteen centrally subsidized Italian 'national' theatres but a Regional Foundation financed mostly by the cash-strapped Sicilian Regional Government as well as by limited support from the central Ministry of Culture and by a few private sponsors. Also, Catania's audience has changed: it used to be highly intellectual but, although the city has one of the best universities of Southern Italy, the main focus of the ruling elite is on reviving industry in order to absorb the very high unemployment. Some twenty years ago, under the guidance of the late Spiros Argiris, the Massimo Bellini had splendidly innovative seasons. More recently, financial and other problems had the consequence that the program was mostly based on standard low cost repertory.

Teatro Massimo Bellini, Catania. Click on the image for higher resolution
A new phase in the Massimo Bellini's life may be starting. Last year, the inaugural opera was a much praised production of Richard Strauss' Elektra -- valiantly performed by the theatre's orchestra and chorus and a good number of well experienced guest artists. This year, the inaugural production was a nearly forgotten opera by Vittorio Gnecchi, Cassandra. The opening night was 11 January. This report is based on the 16 January 2011 matinée performance.

Teatro Massimo Bellini, Catania. Click on the image for higher resolution
Many opera guidebooks and even encyclopedias just ignore Gnecchi's Cassandra, even though in 1905 the work seemed to be heading for certain success. Gnecchi was the scion of a very wealthy Milan family and quite well-educated in all the forms of music being developed in the early years of the twentieth century. Arturo Toscanini conducted the 1905 Bologna première of Cassandra. The opera was successful in Vienna and in New York but was seldom revived in Italy -- its last performance was in 1942 as a part of a special season of Rome's Teatro dell'Opera. In the very same season, Alban Berg's Wozzeck was premièred in Italy, even though the composer and its work were highly forbidden in Germany and in the 'occupied territories', and this was the key moment of World War II.
Why did Cassandra disappear? The machinations of Italian (and European) musical politics foreshortened the piece's history, and forced Toscanini to break off relations with the composer. The occasion of Salome's 1906 Italian début inadvertently set the stage for a scandal, when Gnecchi offered Richard Strauss the piano-vocal score of Cassandra. When both Cassandra and Strauss' new Elektra were performed -- nearly back-to-back -- in Dresden during the 1908-9 season, 'surprising similarities' were noted between the two operas. Gnecchi accused Strauss of plagiarizing his work. A very heated dispute followed. Shortly after that, Gnecchi and his opera faded into obscurity.

A scene from Gnecchi's 'Cassandra' at Teatro Massimo Bellini. Photo © 2011 Giacomo Orlando. Click on the image for higher resolution
More recently, in 2000, Radio France opened the tomb where Cassandra had been set to rest, most likely forever. After this Montpellier concert performance, a hard-to-buy record was produced. In 2009, the Deutsche Oper Berlin staged a double bill with an abridged version of Cassandra coupled with Elektra. The Massimo Bellini production is the first opportunity to listen to and to see the full one-hundred-minute score fully staged in a Prologue and two Acts. In short, the early twentieth century fuss was not only unfair but unjustified. The overlapping subject matter -- within Aeschylus's Oresteia, Strauss's opera represents the 'sequel' to Gnecchi's -- could predispose listeners to exaggerate the musical resemblances. Gnecchi's opening musical gesture -- an ominous three-note fanfare, followed by orchestral turbulence -- may seem shockingly familiar to those who know and love Strauss' Elektra. Some of the orchestral interludes sound very Straussian, particularly (as at the end of Act I) when the horns come prominently into play; so do the chromatic harmonies at the entry of Electra and Oreste, here young children. However, one hundred years ago, this was part of rather widespread 'new trends' in musical theatre.

A scene from Gnecchi's 'Cassandra' at Teatro Massimo Bellini. Photo © 2011 Giacomo Orlando. Click on the image for higher resolution
As a whole, Gnecchi's opera is unmistakably Italian in idiom and spirit. The fullness created by the clear, warm choral sonorities in the Prologue and the opening of Act I inhabit a different world to Strauss' darting solo strands. Clitennestra and Egisto, transmuted here into a soprano and baritone, are young adulterers, expressing their illicit ardor in a lyrical duet full of passion (but with little eros). The quietly proud brass chorale marking Agamennone's entry contrasts with Strauss' more contrapuntal deployments, while the layering of voices in the ensuing ensemble is a familiar Italian technique. The splashy beginning of Act II sounds like a more opulent version of Mascagni's Parisina or Isabeau.
Thus, the Massimo Bellini production does justice to Gnecchi's Cassandra. It could also open the path to a broader revival if, as I hope, other theatres may be interested in this quite intriguing score. The conductor, Donato Renzetti, rightly emphasizes the 'Italian' rather than the 'German' aspects of the vocal and orchestral score.

Mariana Pentcheva in the title role of Gnecchi's 'Cassandra' at Teatro Massimo Bellini. Photo © 2011 Giacomo Orlando. Click on the image for higher resolution
The cast was quite strong. The protagonist, the prophetess Cassandra, doesn't appear until the second act, but comes to dominate it: the final curtain falls at her cries of 'Oreste! Oreste!' (another resemblance to Strauss!), predicting doom for Clitennestra and Egisto. Mariana Pentcheva is a dramatic mezzo, Eastern European rather than Italian in her bright, shrill timbre and quick vibrato. Clitennestra and Egisto here fulfill the 'young lovers' function. Giovanna Casolla is an experienced, albeit no longer young, dramatic coloratura soprano; she makes the most of her resources, filling out and inflecting her lines with style, playing with dark, rich colors in the low range, and really feeling such musical points as the change to the major in the love music. Her Egisto is Carmelo Corrado Caruso, an expressive baritone. John Treleaven is a good Agamennone, an impervious and very taxing role.

Giovanna Casolla as Clitennestra and Carmelo Corrado Caruso as Egisto in Gnecchi's 'Cassandra' at Teatro Massimo Bellini. Photo © 2011 Giacomo Orlando. Click on the image for higher resolution
Gabriele Rech's stage direction is quite imaginative: with complex two layer scene machinery by Giuseppe Di Iorio, the tragedy becomes a modern family drama with blood, sex and violence.
The audience responded well with several minutes of applause.
Copyright © 24 January 2011 Giuseppe Pennisi,
Rome, Italy

ITALY
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Eros versus Thanatos in Music & Vision 8 gennaio

Eros versus Thanatos
'Ariadne auf Naxos' in Paris,
experienced by GIUSEPPE PENNISI

Ariadne auf Naxos by Richard Strauss, based on a Hugo von Hofmannsthal text, is one of the pinnacles of twentieth century opera. It has all the elements of a highly sophisticated intellectual divertissement: theatre within the theatre; opera seria (or rather tragédie lyrique) mixed with comic opera (or more exactly, commedia dell'arte, rather than opera buffa); a comparatively small orchestra of thirty-seven) with the capacity to make a Mozartean sound as well as that of the grand Wagnerian symphonic approach to musikdrama (which generally requires 120 instrumentalists in the pit), both coloratura and Wagnerian singers, and an intriguing libretto made up of a forty-five minute 'Prologue' and a ninety minute one act 'Opera'. Thus, it is not easy to understand why the current Paris Opera production is attracting such a large audience that it has already had as many as twenty-six performances in the huge Opéra Bastille (2700 seats). The production was initially devised for the smaller glittering Palais Garnier in 2003; it was so successful that it was revived, at the Opéra Bastille, in 2004. It was back again at the Opéra Bastille in December 2010 -- this review is based on the 30 December performance -- and most likely will return there during one of the next 'seasons' after a tour of other European Opera Houses.
The plot is rather complicated. In the 'Prologue', we are in the salon of 'the richest man in Vienna', where preparations are in progress for a new opera seria based on the Ariadne legend, with which the master of the house will divert his guests after a sumptuous dinner. Laurent Pelly (stage director and constume designer) and Chantal Thomas (set designer) move the action from the seventeenth century (as per the original Strauss-Hofmannsthal opera) to our times; the mansion is grossly grand and modern as appropriate for a member of the 'nouveau riche', mostly probably wealthy due to complicated financial trading before the 2007 financial crisis. The Music Master accosts the pompous Major-domo, having heard that a foolish comedy is to follow his pupil's opera, and warns that the Composer will never tolerate such an arrangement. The Major-domo is unimpressed. No sooner have they gone than the young Composer comes in for a final rehearsal, but an impudent lackey informs him that the violins are playing at dinner. A sudden inspiration brings him a new melody, but the Tenor is too busy arguing with the Wigmaker to listen to it.

Ricarda Merbeth as Ariadne and Jane Archibald as Zerbinetta in 'Ariadne auf Naxos' at the Opéra national de Paris. Photo © 2010 Julien Benhamou. Click on the image for higher resolution
Zerbinetta, leader of some comedians, emerges from her dressing room with an officer just as the Prima Donna comes out asking the Music Master to send for 'the Count'. At first attracted to Zerbinetta, the Composer is outraged when he learns she and her troupe are to share the bill with his masterpiece. Zerbinetta and the Prima Donna lock horns while dissension spreads. As the commotion reaches its height, the Major-domo returns to announce that because of limited time, the opera and the comedy are to be played simultaneously, succeeded by a fireworks display. At first dumbstruck, the artists try to collect themselves and plan: the Dancing Master extracts musical cuts from the despairing Composer, with the lead singers each urging that the other's parts be abridged, while the comedians are given a briefing on the opera's plot. Ariadne, they are told, after being abandoned by Theseus, has come to Naxos alone to wait for death. No, says Zerbinetta -- she only wants a new lover.
The comedienne decides her troupe will portray a band of travelers trapped on the island by chance. Zerbinetta assures the Composer that she too longs for a lasting romance, like Ariadne, but as the young artist's interest in the actress grows, she suddenly dashes off to join her colleagues. The final scene of the 'Prologue' is the key to Ariadne both musically and dramatically. Musically, Strauss allocates the characters or crucial words differentiating the contrasting approaches to a subject through major or minor keys. Optimist and down-to-earth Zerbinetta sings Tod ('Death') on a major chord, whilst the Composer sings it on a minor chord. Then a crescendo develops with the Composer's solemn explanation of the meaning of Ariadne's myth; the solemn explanation slides gently into his flirtation duet scene with Zerbinetta and then leads to his apostrophe Musik ist eine heilige Kunst, which is both the climax of 'The Prologue' and the bridge to 'The Opera'.
In this production, Naxos island -- where 'The Opera' is set -- is a rundown banlieue where buildings look either half built or half destroyed -- light years away from the pompous mansion of 'The Prologue'; this heightens the contrasts that are, as seen, one of the key dramatic and musical determinants of Ariadne. Ariadne is seen first at her grotto, watched over by three nymphs who sympathize with her grief. Enter the buffoons, who attempt to cheer her up -- to no avail. As if in a trance, Ariadne resolves to await Hermes, messenger of death (Ein Schönes war); he will take her to another world, the realm of death. When the comedians still fail to divert Ariadne, Zerbinetta addresses her directly (Grossmächitge Prinzessin). In a long and highly difficult coloratura rondo, she describes the frailty of women, the willfulness of men and the human compulsion to change an old love for a new. Insulted, Ariadne retires to her cave. Again, Zerbinetta is given sharp keys and Ariadne flat throughout. When Zerbinetta concludes her address, her cronies leap on for more sport. Harlequin tries to embrace her while Scaramuccio, Truffaldino and Brighella compete for her attention, but it is Harlequin to whom she at last surrenders.

A scene from 'Ariadne auf Naxos' at the Opéra national de Paris. Photo © 2010 Julien Benhamou. Click on the image for higher resolution
In the treatment of the commedia dell'arte, Strauss was clearly ahead of his contemporary fashion; 1916 was the time of seventeenth and eighteenth century recreation by Prokofiev, Stravinsky, Busoni, Respighi and Casella, not to mention Schoenberg's Pierrot Lunaire. The nymphs return, heralding the approach of a ship. It bears the young god Bacchus, who has escaped the enchantress Circe for Ariadne. Bacchus is heard in the distance, and Ariadne prepares to greet her visitor -- surely death at last. When he appears, she thinks him Theseus come back to her, but he majestically proclaims his godhood. Entranced by her, he claims he would sooner see the stars banish than give her up. In the duet, the contrast between flat and sharp is the main element to convey misunderstanding: bitonality is used here -- D flat and A major. Although reconciled to a new, exalted existence, Ariadne joins Bacchus in an ascent to the heavens with the ending in D flat major, while Zerbinetta sneaks in to have the last word: 'When a new god comes along, we're dumbstruck.'
What is the meaning of this singular text and very special vocal and orchestral score? 'Music is a sacred art' (Musik ist eine heilige Kunst), 'gathering the wildest follies like cherubim around a gleaming throne!' Such is the Composer's article of faith, vehemently proclaimed at the end of the Prologue. Boldness is hardly lacking in Strauss and Hofmannsthal's masterpiece, consisting of a long prologue that shows the process of artistic creation at work followed by a one-act opera in which the serious and the comic mingle with heady freedom. More than an illustration of the mixing of styles, Ariadne auf Naxos is its radiant embodiment. Displaying their poetic art, Hofmannsthal and Strauss also offer us a cast of unforgettable characters: the young, idealistic and amorous Composer, brother of both Mozart and Wagner; the luminous Zerbinetta, with her breathtaking coloratura originating in a peal of laughter; and the noble Ariadne, a character from lyric tragedy singing to the stars but shown in 'The Prologue' in the less flattering but so very amusing guise of a capricious diva. The world is a delightful hotchpotch to which art brings order, though art cannot and will not smooth its rough edges or resolve its intractable contradictions.
The holy beauty of music, though, is the theme of many an opera -- from Monteverdi's L'Orfeo to Mozart's Die Zauberflöte and eventually to Menotti's Help, Help, the Globolinks. In Ariadne, this element is married to another leitmotif, very topical in 1916 when World War I was destroying the best crop of European youth and Sigmund Freud was active in Vienna. Ariadne is an anthem to the victory of Eros over Thanatos both in the lyrics (eg the triumph of Zerbinetta's lust for sex over Ariadne's intention to commit suicide) and in the music -- a lush sensual score beautifully directed by Philippe Jordan and played by the Orchestra of the Opéra National de Paris with the right balance between Mozart's and Wagner's styles.

From left to right: Michael Laurenz as Brighella, François Piolino as Scaramuccio, François Lis as Truffaldino, Jane Archibald as Zerbinetta, Edwin Crossley-Mercer as Harlequin and Xavier Mas as the dancing master in 'Ariadne auf Naxos' at the Opéra national de Paris. Photo © 2010 Julien Benhamou. Click on the image for higher resolution
The stage director, Laurent Pelly, and the conductor, Philippe Jordan, have a top-notch, well experienced cast to perform with: all good actors and excellent singers, well-endowed with the right physique du role. As with many operas by Strauss, Ariadne is a women's opera -- Strauss detested tenors but appreciated baritones and loved all women's voices. Zerbinetta is the young Canadian Jane Archibald, a coloratura soprano likely to become the heir of Natalie Dessay, Cecilia Bartoli and Desirée Rancatore; she received accolades after the rondo. Ariadne is the Wagnerian, albeit slim, Ricarda Merbeth with a fabulous acute. The real surprise is the mezzo: Sophie Koch in the trouser part of the Composer -- tender and sweet like an adolescent. Bacchus is Stefan Vinke who takes the impervious part with many high Cs well, and all the baritones and basses are of a high level. Due to the quality of acting, singing and orchestral work, the audience has a lot of fun and, thus, runs to this highly sophisticated -- but very meaningful -- divertissment conceived for the German and Austrian world of nearly a century ago.
Copyright © 8 January 2011 Giuseppe Pennisi,
Rome, Italy

RICHARD STRAUSS
GERMANY
PARIS
FRANCE

Mediterranean Splendour in Music & Vision del 5 gennaio

Mediterranean Splendour
Dancing to Bizet's 'L'Arlésienne' and 'Carmen',
by GIUSEPPE PENNISI

I do not generally review ballet performances, but this Roland Petit show on Bizet's music is really a special combination of music and vision as it marries top-class music (the suites from L'Arlésienne and from Carmen) with superb dancing and excellent stage sets based on Van Gogh (L'Arlésienne) and Picasso (Carmen). The carefully crafted sets place both dramatic actions under a bright Mediterranean sun (albeit with different shading).
It is not a brand new production but a joint venture of the three major Opera Houses -- La Scala where the double bill was presented in 2008 (and most likely, it will return in 2012 because it was acclaimed by the audience), the Teatro dell'Opera of Rome (until 2 January 2011) and the Teatro Petruzzelli of Bari (until 10 January 2011). Also, the original conceptions of two ballets date many years back: Carmen was unveiled in Paris in 1949 and L'Arlésienne in Marseille in 1974. They have travelled all over the world -- often, however, without conductors and orchestras up to the level of Bizet's score, and occasionally -- oh dear! -- with taped music.
In this joint effort by three major houses, justice to Bizet's music is given by a good full-sized orchestra, conducted in Rome and Bari by the versatile American Nik Kabaretti, often a guest at the Vienna Staatsoper and at the Florence Maggio Musicale. Under his baton, Bizet's complex score was caressed. In addition, eighty-six-year-old Roland Petit, the choreographer, come to the rehearsal to oversee the quality of the performance: on 22 December 2010, the opening night in Rome (on which this review is based), he received accolades from the audience where Zize Jeanmaire, his wife and lifelong dancing partner, was in row fourteen of the orchestra.

Erika Gaudenzi and Ivan Vasiliev in 'L'Arlésienne'. Photo © 2010 Corrado Maria Falsini. Click on the image for higher resolution
Overseeing the quality meant also giving a fresh new coat of paint to the sets (by René Arlio for L'Arlésienne and by Antoni Clavé for Carmen) where the references to van Gogh and Picasso brightened in their full Mediterranean splendour, still more stunning because outside the theatre it was raining cats and dogs. (Since early November, Rome has constantly, and depressingly, been wet.)

Erika Gaudenzi and Ivan Vasiliev in 'L'Arlésienne'. Photo © 2010 Corrado Maria Falsini. Click on the image for higher resolution
Bizet's L'Arlésienne was originally conceived as stage music to Alphonse Daudet's play about passion driving a young man to suicide in a small provincial village in Provence. The two scenes are based on a strong musical and visual contrast: a very sunny country courtyard where two families are re-united for the long-awaited wedding of their two children (Fréderic and Vivette); it's very dark (like a tomb) in the attic of the barn where Fréderic, unable to forget l'Arlésienne, 'a woman of prohibited passionate love', flings himself into space in a desperate suicide. In the several scheduled performances, three couple take the main roles: Erika Gaudenzi and Ivan Vasiliev, Eleonora Abbagnato with Benjamin Pech, and Sara Loro with Alessandro Riga. On 22 December, Erika Gaudenzi and Ivan Vasiliev not only danced but acted superbly.

Ivan Vasiliev in 'L'Arlésienne'. Photo © 2010 Corrado Maria Falsini. Click on the image for higher resolution
The Carmen suite is an abridged forty-five minute summary of the opera. The plot has been slightly changed. The Micaela character, for instance, is not included, and Escamillo appears only in the last of the five scenes. A bedroom scene is added (Scene III) to enhance sex and sensuality to Carmen and Don José's relationship. Also, there is no travel to the Sierra (Act III of the opera), but Don José is driven by Carmen's friends to become a killer during a night robbery on a deserted Seville street.

Polina Semionova and Robert Tewsley in 'Carmen'. Photo © 2010 Corrado Maria Falsini. Click on the image for higher resolution
The crux of Prosper Mérimée's novel and of George Bizet's opera is all there. Two dancing couples alternate in the main roles: Polina Semionova with Robert Tewsley, and Gaia Straccamoree with Mario Marozzi. On 22 December, Polina Semionova and Robert Tewsley were enthusiastically applauded by the audience.

Polina Semionova and Robert Tewsley in 'Carmen'. Photo © 2010 Corrado Maria Falsini. Click on the image for higher resolution
The performance was Micha von Hoecke's début as director of Rome Opera's corps de ballet, and it was a very good start.
Copyright © 8 January 2011 Giuseppe Pennisi,
Rome, Italy

GEORGES BIZET
CARMEN
LA SCALA
TEATRO DELL'OPERA
ROME
ITALY
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A High-level Production In Music & Vision del 31 dicembre 2010

A High-level Production
'The Merry Widow', heard by GIUSEPPE PENNISI

The Merry Widow is much too often treated as a 'holiday season' family show. Thus, it is staged by make-shift companies, with an overly simplified, if not altogether rudimentary, orchestra and only a few dancers, possibly on loan from a graduation class of some nearby Dancing Academy. This is neither Franz Lehár's The Merry Widow as originally conceived nor the production I saw in Verona on 18 December 2010 -- the basis for this review. The Merry Widow has sublime music; for this reason it has been one of the favorite scores of conductors such as Bernstein, Karajan, Kleiber, Matacic and many others amongst the best batons of the twentieth century. The 'operetta' has been also much appreciated by singers such as Elisabeth Schwarzkopf, Dietrich Fischer-Dieskau and Nicolai Gedda. Its waltzes and mazurkas demand the best étoiles and a very well trained corps de ballet. Its orchestral playing deserves top-notch musicians and even some well rounded soloists.
The production I enjoyed is a joint effort of four major Italian opera houses -- the San Carlo Theatre in Naples, the Carlo Felice Theatre in Genoa, the Verdi Theatre in Trieste and the Filarmonico Theatre in Verona. The staging has been entrusted to a well-known Italian director, Federico Tiezzi and the sets, the costumes, the lighting and the choreography to Edoardo Stanchi, Giovanna Buzzi, Gianni Pollini and Giovanna Di Cicco -- all very professional specialists. The principals and the conductor are basically the same in all the four towns and theatres. The orchestras and the corps de ballet change from town to town and from theatre to theatre -- also due to 'closed shop' trade unions' practices -- but are always up to the standard of a major opera house. Furthermore, Verona has a rich ballet season in both Winter and Summer and, thus, an experienced ballet company. Thus, it is a high level production.
The Merry Widow is a special operetta. It erupted when this type of musical theatre was considered on its way out. The seventies and the eighties of the nineteenth century had been the heyday of Viennese classical operetta with Johann Strauss being the best known and most popular author. The exceptional success of this stylistic fashion produced a horde of librettists and composers who adapted the genre in a thousand of different ways; only a few of them propagated new ideas, melodies and rhythms. Thus the genre was dying out when its leading exponents were still alive. At the turn of the century, little or no operetta seriously existed, and nobody believed in the possibility of its renaissance. A similar phenomenon had occurred in France where operetta was mostly linked to the name of Jacques Hoffenbach and of its sharp and witty satire of the upper class in the Second Empire and in the Third Republic.
Within this setting, The Merry Widow started a new era. It was premièred in the An der Wien Theatre of Vienna on 30 December 1905, only three weeks after Richard Strauss' Salome had shocked Dresden's audience and worldwide music critics. Albeit very different in many aspects, the two works have the same basic theme: sex, money and power as perceived by a woman. It is the same core element of Strindberg's plays as well as a signal of the beginning of Freudian psychoanalysis. Musically, Franz Lehár's waltzes and mazurkas were as revolutionary as Richard Strauss' dissonance. It is significant that The Merry Widow became world famous not right after its première in Vienna but a few months later as a result of its tremendous success in Berlin, where its fiery and unconventional spirit was at once recognized and acclaimed.
The text is amusing but not exceptionally brilliant. It is based on a rather dull French play, L'Atttaché d'Ambassade by Henri Meilhac; the play had had some limited success in the period around 1861-65. The real marvel is the music: in a way, Lehár brought the Wagnerian revolution as close as possible to the dance hall and to the general entertainment theatre. There is a clear basic leitmotif, the love waltz around which other themes enfolds: the brisk Maxim's march, Hanna's brilliant entrance aria, the melodious Vilja song, the tender pavilion duet, the chorus of the grisettes, the Septet in the second Act played and sung again at the end of the third Act. The tunes are never banal. Lehár's waltzes are more caressing and sweeter than those of the classical Johann Strauss; they carry in them the foretaste of the slow waltz. Also the orchestration is rich -- much richer than that of Johann Strauss. Thus, it is not easy to perform The Merry Widow well. You need a good central idea for the staging, a good group of singers, a first rate ballet, an experienced orchestra and a director and conductor able to pull all of this together.
Tiezzi's key idea is to move the action from 1905 to 29-30 October 1929, ie to the beginning of the major financial crisis which opened the way to the Great Depression. In the background of a single set, where projections and props provide for the changes in scene (the Embassy of the bankrupt Balkan Kingdom, Hanna Glawari's fabulous mansion in Paris and finally Chez Maxim's), the audience sees stock exchange data and indexes like in a ticker of a financial TV program. Of course, the indexes fall until the final happy end when a marriage and a lot money save everybody and the stock exchange becomes bullish. The costumes are strictly in the 'roaring Twenties' style. Great attention is given to acting and dancing. The spoken parts are reduced to the essential -- as in the original 1905 edition -- by deleting the jokes gradually added in the last century and now considered part of the tradition.
Thus, there is the right emphasis on the music. The conductor, Julian Kovatchev, underlines the most modern aspects of the score -- eg the central role of the love waltz and its connections with the other themes; the orchestra is fine, especially the strings.
In the cast there is only one veteran, the 'basso buffo' Bruno Praticò, well-known in Italy and abroad as a regular presence at the Rossini Opera Festival. He sets the tone in the Septet Wie die Weiber ... Ja, das Studium der Weiber ist schwer and drives the other six singers of this spicy concertato. The other principals are mostly young, but already in careers. Hanna Glawari, the widow everyone wants to marry for her money, is Silvia Della Benetta, a good melodious voice but with limited volume in the large Verona Filarmonico Theatre; nonetheless, she received a well deserved applause at the end of her entrance aria Bitte, meine Herr'n and in the hard second Act song Es lebt' ein Vilja. Of course, she does much better in the duets with Gezyn Myshketa, a young and very promising Albanian baritone who is her Danilo Danilowitsch. Myshketa's well-rounded voice is apparent from his entry aria Oh Vaterland, du machst bei Tag to the final Lippen schweigen. I foresee that he will go far.
The second couple (Valencienne and De Rossignol) is not as well balanced: from the first duet (So comme Sie!), Davinia Rodriguez with her powerful voice overtakes Ricardo Bernal, a very light lyric tenor who, however, has the right touch for Wie eine Rosenknose. All the others were good. In short, a delightful Widow.
Copyright © 31 December 2010 Giuseppe Pennisi,
Rome, Italy

A Marvelous Job in Music & Vision 29 dicembre 2010

A Marvelous Job
Puccini's 'La Fanciulla del West',
heard by GIUSEPPE PENNISI

In the huge Metropolitan Opera House in the West 34th Street of New York, on 10 December 1910, a major world première was scheduled. The House was packed; critics had come, by transatlantic liners, from all over the USA and Europe (including some from very distant Australia). Arturo Toscanini was in the pit; Enrico Caruso, Emmy Destinn and Pasquale Amato sang the leads. Giacomo Puccini, alone in his box, surveyed the scene. That is, until the end of Act I, when the composer and cast appeared on stage for fourteen curtain calls. Similar pandemonium broke out at the end of the other two acts. The opera had been commissioned by the Metropolitan Opera House from one of the most famous composers of the time. In turn, Puccini (and the authors of the libretto, Guelfo Civinni and Carlo Zangarini) had molded it to the great vocal capabilities of the three protagonists as well of the fifteen singers in minor roles and of the 'Met' orchestra. The opera itself was based on an American play very successful on Broadway: David Belasco's The Girl from the Golden West.
The première was much awaited. Very few expected such an innovative opera. Not solely for the plot -- love and blood in the Californian mountains at the (then not do distant) times of the 'Gold Rush' -- but for the music score. Puccini maintained his beloved pentatonic scale, but there are no 'arias' or music numbers as such, only two ariosi -- one specifically requested by Caruso -- and a grand concertato (Andante Sostenuto) in Act III when the protagonist, Minnie, addresses the miners to convince them to free her beloved Dick. It anticipated, in a way, the 'chit-chat' operas of Strauss and Janáceck -- it is hard to know if and when the Moravian composer had listened to Puccini operas; they appear to have influenced his last years, eg from Kátia Kabanová on. The orchestral score was extremely complex as it involved about seventy different leitmotifs intertwined and overlapping (with one another) in a manner, however, different from Wagner and similar to Debussy and to Janácek, even though, to the best of my knowledge, whilst Puccini knew Pelléas, he and the Moravian composers never met and hardly knew anything of one another's attempts to change musical theatre. Hence, in 1910, the opera was seen as very modern, nearly experimental: it even includes, in Act II, a re-elaboration of the Tristan chord in E flat minor, not very different from that attempted, in 1899, by Arnold Schoenberg in Verlärkte Nacht. In spite of its innovative nature, the opera become quite soon a major hit and circulated among all the major opera houses of the world. Now, even if it is not one of Puccini's six most staged operas, it is quite often performed.
The Teatro Massimo di Palermo -- one of the rare Italian opera houses balancing its books every year with a small surplus -- has organized a true celebration for the centenary: a two-day international symposium of musicologists (in collaboration with the International Research Center on Puccini in Lucca) and a new production of La Fanciulla del West (the official Italian title of the opera) shared with the San Francisco Opera and the Opéra National de Wallonie in Liège. Recently, a new production was seen at the Puccini Opera Festival in Torre del Lago (see 'Eyes Tight Shut', M&V, 22 July 2010). The Metropolitan Opera House is updating the 15-20 year-old production directed by Giancarlo del Monaco. A brand new production will soon be staged at the Lyric Theatre in Chicago.
For many commentators Fanciulla is pure Italian kitsch -- eg like Spaghetti Western movies, very successful, though, also in the United States. Puccini never visited California and hardly knew anything about the State's colors, environment, population. In my views, for him the West Coast was not only a faraway myth but a very distant place where people, from several lands, had gone both to search gold 'for a better future' and to leave behind, and escape from, difficult personal life-stories. We know about Dick's past. We do have a glimpse about Jack's past and also about those of Sonora, Nick, Trin. Sidd, Bello, Harry, Joe, Happy and some of the other miners. Their memories and recollections are always colored by melancholic shade as well as by the doubts that their hard past was better than the lonely present and even their future prospects. However, we know nothing about Minnie's past and of why and how she ended up there as a virgin Western Brünnhilde.
The staging is more expressionistic than realistic (even though Minnie rides a horse in her Act III arrival when Dick is about to be executed). Set designer Maurizio Balò, conceived a California in red brown rocks as walls. Red brown rocks are the staple in Arizona, not rare in Utah, and few and far between in California; the idea comes from the first sequence of Nicholas Ray's 1954 blockbuster Johnny Guitar. As a matter of fact, there is the flavor of several American and Italian Western movies in the staging by the Italian and American stage director Lorenzo Mariani: the idea of the 'man on the run' is a John Ford special; Minnie's grand Victorian Act II dress to tease Dick recalls the beginning of the second part of Gone With The Wind -- costumes are credited to American designer Gabriele Berry; the mass movements appear to be inspired by Sergio Leone's Once Upon a Time in the West. Finally, when in the last few minutes of the opera the red brown rock wall turns gold, and splits apart revealing a painted drop -- maybe the Sierras -- my memory goes to George Stevens' Shane and to William Wyler's Friendly Persuasion. In my opinion, these quotations are well molded to show California, during the gold rush, not as it was but as imagined by Puccini and others.
In Fanciulla, though, the really hard part is conducting and singing a very complex score. Bruno Bartoletti -- eighty-five years old and about to retire from operatic conducting -- did a marvelous job in showing how modern Fanciulla was in 1910 and still is in 2010. On 10 December -- the date of the performance on which this review is based -- he had a slight difficulty in the very physically tiring conducting of the initial sequence of Act I -- until Minnie's arrival with her rifle -- but from there on, he provided an excellent performance in molding the very many motives (as well some ethnic music: Jake Wallace's song; Wowkley's lullaby) into a single coherent unity. The orchestra of the Teatro Massimo was in great shape. Together, they found the right 'tints' for the score, a real jewel of colors, timbres and unusual sound combinations.
Minnie was a young, attractive and athletic American soprano, Meagan Miller with the physique du rôle. Hers is a very taxing part, often entrusted to Wagnerian singers (the late Birgit Nilsson, Deborah Voigt and Eva-Maria Westbroek) and to soprano assoluto (the late Renata Scotto, Carol Neblett, Magda Oliviero, Giovanna Casolla). She did a first class job of both acting and singing. She emphasized the high register, with high Cs and B naturals, at the expense, however, of the central register and of phrasing. Dick was Salvatore Licitra, an 'idol' of the 'Met', a generous tenor with a big volume and a good legato; he may gain from more discipline and sophistication in emission. Roberto Frontali is a highly experienced Jack, both as singer and actor. The minor parts are a polyphonic mass where Simone Piazzola (as Sonora) stood out.
Copyright © 29 December 2010 Giuseppe Pennisi,
Rome, Italy

GIACOMO PUCCINI
ITALY
CALIFORNIA
UNITED STATES OF AMERICA
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Piano per le riforme, uno risorsa al vaglio dell'Ue in Ffwebmagazine del 24 febbraio

Le strategie per la crescita e la coesione
Piano per le riforme,
una risorsa al vaglio dell'Ue
di Giuseppe Pennisi Ad aprile, l’Unione Europea esaminerà il Piano nazionale di riforme predisposto dall’Italia sotto la guida dell’allora ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi. In questi giorni, il Piano è al vaglio del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel). Il Pnr è anche la base – ma nessuno lo dice – del programma di rilancio dell’economia di cui si discute in questi giorni.
Nell’ambito del nuovo sistema di governance dell’Ue nel primo semestre di ogni anno, vengono coordinate ex ante le politiche economiche nazionali, sia quelle di bilancio sia quelle strutturali. All’inizio di gennaio la Commissione europea ha approvato l’indagine annuale sulla crescita (Annual growth survey) con cui ha individuato le azioni e le misure prioritarie da adottare. A fine marzo, il Consiglio europeo per elaborare a marzo le linee guida di politica economica e di bilancio da indirizzare agli Stati membri perché le incorporino nei Piani nazionali di riforma (Pnr, elaborati nell’ambito della nuova Strategia Ue 2020) e nei Piani di stabilità e convergenza (Psc, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), da presentare a metà aprile alla Commissione e in seguito al Consiglio. Un ulteriore passaggio avverrà a inizio giugno allorché la Commissione europea sulla base dei vari Pnr e Psc presentati, formulerà le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri. Sarà poi il Consiglio Ecofin e, per la parte che gli compete, il Consiglio occupazione e affari sociali, ad approvare sempre a giugno le raccomandazioni della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti che verranno espressi dal Consiglio europeo.
In materia di mercato del lavoro e prospettive dell’occupazione, il Pnr (predisposto lo scorso novembre) dovrebbe, alla luce dell’evoluzione degli ultimi mesi, rendere più chiari e definiti anche quantitativamente gli obiettivi legati alle specifiche politiche, azioni, piani e programmi ed esplicitare per ciascuno di essi strumenti, risorse dedicate e soggetti sociali e istituzionali che si intende coinvolgere attivamente. Inoltre, il ruolo delle parti sociali, andrebbe pertanto valorizzato stabilmente nel processo decisionale, nella gestione e nell’attuazione del Pnr. Esso rappresenta una “risorsa” fondamentale per la crescita, l’occupazione, la coesione.
In particolare, la disoccupazione giovanile, con una tasso del 29%, è la vera emergenza alla quale occorre dedicare politiche, azioni, risorse all’interno di una strategia organica e di medio periodo. Ma necessita anche di una terapia d’urto e di scelte che raccolgano e facciano sintesi di indicazioni e proposte che provengono dalle parti sociali e dalle Regioni insieme a quelle presentate da varie parti in Parlamento.
Sarebbe, poi, utile aggiornare gli obiettivi al 2020 assunti nel Pnr anche alla luce delle proposte formulate dagli altri Stati membri dell’Ue. In particolare, si sottolinea: la spesa per ricerca-sviluppo-innovazione sul Pil fissata pari al 1,53% a fronte di un obiettivo UE del 3%; la riduzione degli abbandoni scolastici al 15/16% con l’Ue che propone il 10%; l’incremento dell’istruzione terziaria o equivalente al 26/27% a fronte di un obiettivo Ue fino al 40%.
Altro aspetto critico è una credibile politica europea nazionale e territoriale soprattutto nel mezzogiorno. Gli obiettivi 2020 fissati dalla Ue non sono in coerenza con le politiche di bilancio comunitario e le stesse innovazioni sul futuro dei fondi strutturali dopo il 2013 non sono certamente favorevoli al sostegno delle politiche di coesione in Italia. In tale contesto vanno valutate con attenzione le proposte formulate da più parti al livello europeo che auspicano l’emissione di nuovi strumenti finanziari volti ad agire sul debito e/o sul finanziamento dello sviluppo.
Per favorire la ripresa dell’economia meridionale è necessaria la riqualificazione della spesa ordinaria e la completa attivazione della spesa aggiuntiva, serve quindi instaurare un rinnovato metodo di collaborazione tra il Governo, le Regioni e le altre istituzioni locali, con sede stabile di confronto tra Governo e Regioni aperta al contributo sistematico delle parti economiche e sociali.
L’insieme delle riforme per la crescita e l’occupazione di Europa 2020 devono concorrere a ridurre la povertà. Ma, come viene indicato nella comunicazione della Commissione Europea, occorrono politiche e azioni specifiche e di ampio respiro per lottare contro la povertà e perseguire l’obiettivo di ridurla drasticamente (obiettivo italiano 2.200.000 poveri in meno al 2020).
24 febbraio 201

giovedì 24 febbraio 2011

C'è un nodo politico che aggrava i debiti dell'Europa Il Sussidiario 25 febbraio

C'è un nodo politico che aggrava i debiti dell'Europa
Giuseppe Pennisi
venerdì 25 febbraio 2011
Foto Ansa
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APPROFONDISCI
FINANZA/ Altro che Libia, l’Irlanda torna a minacciare l’Ue, di M. Bottarelli
IL CASO/ Sacconi vincerà la scommessa della "nuova" social card?, di L. Pesenti
Tra i documenti all’attenzione del G20 finanziario, dell’Ecofin e, in particolare, dell’Eurogruppo, di particolare interesse è un “policy brief” di Daniel Gros (Center for European Policy Studies) e Thomas Mayer (CEPS Policy Brief No. 233, ancora in forma preliminare e disponibile unicamente in formato elettronico). Contiene lo schema di una proposta che, per quanto ancora abbozzata, merita di essere esaminata con cura: come ridurre il debito estero di Stati dell’eurozona senza effettuare ristrutturazioni tali da poter essere percepite come insolvenze.

La percezione di insolvenze potrebbe mettere a repentaglio l’intero disegno dell’unione monetaria, oppure portare a riorganizzare i confini dell’area dell’euro attorno a un “nucleo duro”, integrato da una zona a cambi gestiti collegialmente attorno a parità centrali (per intenderci un po’ come quando erano in vigore gli accordi europei sui cambi, giornalisticamente conosciuti come lo Sme).

La proposta parte dall’assunto che, dopo il recente impegno ad ampliarne la dotazione, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria (European Financial Stability Facility, in gergo EFSF) può parare minacce d’insolvenza da parte di Grecia, Irlanda e Portogallo (lo sta già facendo per i primi due), ma non ha risorse sufficienti in caso sia necessario organizzare operazioni di salvataggio per la Spagna e ancor meno ove, malauguratamente, i mercati considerassero a rischio anche l’Italia. Non solo, ma in tal caso la credibilità dello schema andrebbe a gambe all’aria, come avvenne nel giugno 1992, quando la Danimarca bocciò, per referendum, l’adesione alla moneta unica.

La proposta prende l’avvio da un assunto implicito: prima di dover fare i conti con Spagna (ed eventualmente Italia) occorre mettere a posto una volta per tutte i problemi di Grecia, Irlanda e Portogallo (il gruppo GIP), invece di tamponare singole minacce di crisi man mano che si presentano (come ha fatto sino a ora l’EFSF). In tal modo, chiusa una partita, ci potrebbero essere risorse per le altre (ove fosse necessario). Si può chiudere la partita a costo zero per l’EFSF, ovvero per i contribuenti degli Stati virtuosi che all’EFSF forniscono risorse?

La proposta delinea un approccio di mercato in due fasi. Nella prima, l’EFSF offrirebbe ai detentori di titoli dei paesi GIP (che abbiano accettato un programma di riassetto strutturale concordato con il Fondo e che lo stiano effettivamente attuando) di rilevarli ai prezzi prevalenti sul mercato secondario prima della definizione dei pertinenti programmi di riassetto strutturale, presumibilmente inferiori, anche in misura significativa, ai valori nominali. L’offerta resterebbe valida per non più di 90 giorni; le banche, si presume, avrebbero un forte incentivo ad accettare l’offerta, poiché l’alternativa sarebbe l’aumento degli accantonamenti per eventuali insolvenze.

Una volta acquisito il debito GIP, l’EFSF condurrebbe un’analisi approfondita della sostenibilità Paese per Paese, chiedendo misure addizionali (privatizzazioni, vendite di beni dello Stato, riforme previdenziali, aumento della pressione tributaria, riduzione di spese pubbliche, e via discorrendo). A questo punto inizierebbe la seconda fase, il cui elemento cruciale diventerebbero le condizioni a cui il Paese GIP dovrebbe rimborsare l’EFSF, divenuto se non l’unico, almeno il principale creditore estero.

Se, nonostante i titoli siano stati acquistati a un valore inferiore a quello nominale, l’onere del debito non fosse tale da assicurare crescita sostenibile, l’EFSF potrebbe concordare con il Paese GIP un ulteriore miglioramento dei termini (ad esempio, un ribasso dei tassi d’interesse), accompagnato da garanzie reali connesse, in vario modo, al patrimonio pubblico; il credito EFSF non avrebbe priorità rispetto a quelli di altri, al fine di facilitare il ritorno del Paese all’accesso al mercato internazionale dei capitali. Se necessario, il Fondo monetario fornirebbe un prestito-ponte a breve termine. La Bce potrebbe cessare il proprio “Securities Market Program” che avrebbe perso ragione d’essere. Il debito GIP verrebbe ridotto a livelli sostenibili e l’EFSF verrebbe rimborsato, ricostituendo, così, la propria dotazione. Che potrebbe, quindi, essere disponibile per altre operazioni di riduzione del debito senza ristrutturazione.
Lo schema è ingegnoso. Ricorda alcune tipologie di “Brady Bonds” utilizzate per le crisi debitorie dell’America Latina, prima, e dell’Asia, poi. Non solamente, però, è macchinoso, ma è imperniato quasi interamente su analisi della sostenibilità di scenari alternativi. Tale scenari, poi, non sarebbero collegati alla valutazione di quelli che, per semplificare, possiamo chiamare EFSF Bonds ma a quella delle politiche di riassetto strutturale, di finanza pubblica e di crescita dei GIP. Ciò comporta problemi tecnici di non facile situazione: occorre costruire e valutare scenari contro-fattuali in condizioni d’incertezza, compiti per effettuare i quali sono essenziali matrici di contabilità sociale aggiornate e modelli computabili di equilibrio economico (credo che tra i GIP solo il Portogallo disponga della strumentazione necessaria).

Ancora più difficili i nodi politici: chi, una volta condotte le analisi, emetterà il verdetto? Il management dell’EFSF (un organo tecnocratico)? Il Consiglio dei Ministri Economici e Finanziari dell’eurozona (un organo eminentemente politico la cui credibilità è stata, a volte, messa un gioco)? Una combinazione dei due? Occorre sciogliere questo nodo prima ancora di affrontare i numerosi aspetti tecnici della proposta.

Piano per le riforme, . una risorsa al vaglio Ue in Ffwebmagazine del 24 febbraio

Le strategie per la crescita e la coesione
Piano per le riforme,
una risorsa al vaglio dell'Ue
di Giuseppe Pennisi Ad aprile, l’Unione Europea esaminerà il Piano nazionale di riforme predisposto dall’Italia sotto la guida dell’allora ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi. In questi giorni, il Piano è al vaglio del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel). Il Pnr è anche la base – ma nessuno lo dice – del programma di rilancio dell’economia di cui si discute in questi giorni.
Nell’ambito del nuovo sistema di governance dell’Ue nel primo semestre di ogni anno, vengono coordinate ex ante le politiche economiche nazionali, sia quelle di bilancio sia quelle strutturali. All’inizio di gennaio la Commissione europea ha approvato l’indagine annuale sulla crescita (Annual growth survey) con cui ha individuato le azioni e le misure prioritarie da adottare. A fine marzo, il Consiglio europeo per elaborare a marzo le linee guida di politica economica e di bilancio da indirizzare agli Stati membri perché le incorporino nei Piani nazionali di riforma (Pnr, elaborati nell’ambito della nuova Strategia Ue 2020) e nei Piani di stabilità e convergenza (Psc, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), da presentare a metà aprile alla Commissione e in seguito al Consiglio. Un ulteriore passaggio avverrà a inizio giugno allorché la Commissione europea sulla base dei vari Pnr e Psc presentati, formulerà le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri. Sarà poi il Consiglio Ecofin e, per la parte che gli compete, il Consiglio occupazione e affari sociali, ad approvare sempre a giugno le raccomandazioni della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti che verranno espressi dal Consiglio europeo.
In materia di mercato del lavoro e prospettive dell’occupazione, il Pnr (predisposto lo scorso novembre) dovrebbe, alla luce dell’evoluzione degli ultimi mesi, rendere più chiari e definiti anche quantitativamente gli obiettivi legati alle specifiche politiche, azioni, piani e programmi ed esplicitare per ciascuno di essi strumenti, risorse dedicate e soggetti sociali e istituzionali che si intende coinvolgere attivamente. Inoltre, il ruolo delle parti sociali, andrebbe pertanto valorizzato stabilmente nel processo decisionale, nella gestione e nell’attuazione del Pnr. Esso rappresenta una “risorsa” fondamentale per la crescita, l’occupazione, la coesione.
In particolare, la disoccupazione giovanile, con una tasso del 29%, è la vera emergenza alla quale occorre dedicare politiche, azioni, risorse all’interno di una strategia organica e di medio periodo. Ma necessita anche di una terapia d’urto e di scelte che raccolgano e facciano sintesi di indicazioni e proposte che provengono dalle parti sociali e dalle Regioni insieme a quelle presentate da varie parti in Parlamento.
Sarebbe, poi, utile aggiornare gli obiettivi al 2020 assunti nel Pnr anche alla luce delle proposte formulate dagli altri Stati membri dell’Ue. In particolare, si sottolinea: la spesa per ricerca-sviluppo-innovazione sul Pil fissata pari al 1,53% a fronte di un obiettivo UE del 3%; la riduzione degli abbandoni scolastici al 15/16% con l’Ue che propone il 10%; l’incremento dell’istruzione terziaria o equivalente al 26/27% a fronte di un obiettivo Ue fino al 40%.
Altro aspetto critico è una credibile politica europea nazionale e territoriale soprattutto nel mezzogiorno. Gli obiettivi 2020 fissati dalla Ue non sono in coerenza con le politiche di bilancio comunitario e le stesse innovazioni sul futuro dei fondi strutturali dopo il 2013 non sono certamente favorevoli al sostegno delle politiche di coesione in Italia. In tale contesto vanno valutate con attenzione le proposte formulate da più parti al livello europeo che auspicano l’emissione di nuovi strumenti finanziari volti ad agire sul debito e/o sul finanziamento dello sviluppo.
Per favorire la ripresa dell’economia meridionale è necessaria la riqualificazione della spesa ordinaria e la completa attivazione della spesa aggiuntiva, serve quindi instaurare un rinnovato metodo di collaborazione tra il Governo, le Regioni e le altre istituzioni locali, con sede stabile di confronto tra Governo e Regioni aperta al contributo sistematico delle parti economiche e sociali.
L’insieme delle riforme per la crescita e l’occupazione di Europa 2020 devono concorrere a ridurre la povertà. Ma, come viene indicato nella comunicazione della Commissione Europea, occorrono politiche e azioni specifiche e di ampio respiro per lottare contro la povertà e perseguire l’obiettivo di ridurla drasticamente (obiettivo italiano 2.200.000 poveri in meno al 2020).
24 febbraio 201

Piano per le riforme, . una risorsa al vaglio Ue in Ffwebmagazine del 24 febbraio

Le strategie per la crescita e la coesione
Piano per le riforme,
una risorsa al vaglio dell'Ue
di Giuseppe Pennisi Ad aprile, l’Unione Europea esaminerà il Piano nazionale di riforme predisposto dall’Italia sotto la guida dell’allora ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi. In questi giorni, il Piano è al vaglio del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel). Il Pnr è anche la base – ma nessuno lo dice – del programma di rilancio dell’economia di cui si discute in questi giorni.
Nell’ambito del nuovo sistema di governance dell’Ue nel primo semestre di ogni anno, vengono coordinate ex ante le politiche economiche nazionali, sia quelle di bilancio sia quelle strutturali. All’inizio di gennaio la Commissione europea ha approvato l’indagine annuale sulla crescita (Annual growth survey) con cui ha individuato le azioni e le misure prioritarie da adottare. A fine marzo, il Consiglio europeo per elaborare a marzo le linee guida di politica economica e di bilancio da indirizzare agli Stati membri perché le incorporino nei Piani nazionali di riforma (Pnr, elaborati nell’ambito della nuova Strategia Ue 2020) e nei Piani di stabilità e convergenza (Psc, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), da presentare a metà aprile alla Commissione e in seguito al Consiglio. Un ulteriore passaggio avverrà a inizio giugno allorché la Commissione europea sulla base dei vari Pnr e Psc presentati, formulerà le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri. Sarà poi il Consiglio Ecofin e, per la parte che gli compete, il Consiglio occupazione e affari sociali, ad approvare sempre a giugno le raccomandazioni della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti che verranno espressi dal Consiglio europeo.
In materia di mercato del lavoro e prospettive dell’occupazione, il Pnr (predisposto lo scorso novembre) dovrebbe, alla luce dell’evoluzione degli ultimi mesi, rendere più chiari e definiti anche quantitativamente gli obiettivi legati alle specifiche politiche, azioni, piani e programmi ed esplicitare per ciascuno di essi strumenti, risorse dedicate e soggetti sociali e istituzionali che si intende coinvolgere attivamente. Inoltre, il ruolo delle parti sociali, andrebbe pertanto valorizzato stabilmente nel processo decisionale, nella gestione e nell’attuazione del Pnr. Esso rappresenta una “risorsa” fondamentale per la crescita, l’occupazione, la coesione.
In particolare, la disoccupazione giovanile, con una tasso del 29%, è la vera emergenza alla quale occorre dedicare politiche, azioni, risorse all’interno di una strategia organica e di medio periodo. Ma necessita anche di una terapia d’urto e di scelte che raccolgano e facciano sintesi di indicazioni e proposte che provengono dalle parti sociali e dalle Regioni insieme a quelle presentate da varie parti in Parlamento.
Sarebbe, poi, utile aggiornare gli obiettivi al 2020 assunti nel Pnr anche alla luce delle proposte formulate dagli altri Stati membri dell’Ue. In particolare, si sottolinea: la spesa per ricerca-sviluppo-innovazione sul Pil fissata pari al 1,53% a fronte di un obiettivo UE del 3%; la riduzione degli abbandoni scolastici al 15/16% con l’Ue che propone il 10%; l’incremento dell’istruzione terziaria o equivalente al 26/27% a fronte di un obiettivo Ue fino al 40%.
Altro aspetto critico è una credibile politica europea nazionale e territoriale soprattutto nel mezzogiorno. Gli obiettivi 2020 fissati dalla Ue non sono in coerenza con le politiche di bilancio comunitario e le stesse innovazioni sul futuro dei fondi strutturali dopo il 2013 non sono certamente favorevoli al sostegno delle politiche di coesione in Italia. In tale contesto vanno valutate con attenzione le proposte formulate da più parti al livello europeo che auspicano l’emissione di nuovi strumenti finanziari volti ad agire sul debito e/o sul finanziamento dello sviluppo.
Per favorire la ripresa dell’economia meridionale è necessaria la riqualificazione della spesa ordinaria e la completa attivazione della spesa aggiuntiva, serve quindi instaurare un rinnovato metodo di collaborazione tra il Governo, le Regioni e le altre istituzioni locali, con sede stabile di confronto tra Governo e Regioni aperta al contributo sistematico delle parti economiche e sociali.
L’insieme delle riforme per la crescita e l’occupazione di Europa 2020 devono concorrere a ridurre la povertà. Ma, come viene indicato nella comunicazione della Commissione Europea, occorrono politiche e azioni specifiche e di ampio respiro per lottare contro la povertà e perseguire l’obiettivo di ridurla drasticamente (obiettivo italiano 2.200.000 poveri in meno al 2020).
24 febbraio 201

MA SI PUO’ ANCORA SALVARE in Avvenire 24 febbraio

MA SI PUO’ ANCORA SALVARE
Giuseppe Pennisi
L’Italia, culla della lirica, rischia di diventarne la bara. L’Anfols – associazione che riunisce gran parte delle fondazioni lirico-sinfoniche- ha lanciato un grido d’allarme: dato che il decreto “Mille Proroghe” non ha reintegrato il Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) come atteso, è in gioco “la sopravvivenza stessa”. I Sovrintendenti chiedono un incontro urgente con i Ministri interessati e modifiche al contratto nazionale di lavoro (CNL) che non garantisce “un’efficienza gestionale paragonabile agli altri teatri europei”. L’Italia non è unica a ridurre i contributi alla lirica. In questi mesi, ad esempio, i tre maggiori teatri lirici di Berlino sono stati fusi in un’unica fondazione al fine di effettuare economie di scala e sinergie. Le sovvenzioni pubbliche ai maggiori teatri Usa sono diminuiti tanto che alcune sale storiche – come il Lyric di Baltimora- hanno sospeso le attività. L’Austria resta, invece, un Paese da sogno. Pur quando nel 2007 (prima delle riduzioni degli ultimi quattro anni) il Fus ammontava a 500 milioni di euro (rispetto ai circa 275 previsti per il 2011- attorno al 45% del totale è destinato alla lirica), le sovvenzioni statali ai teatri d’opera italiani erano, in totale, poco più della metà di quanto il Governo federale austriaco destinava ai cinque teatri lirici di Vienna ed al Festival di Salisburgo. Sogni si diceva. La realtà, però, è ben diversa. Anche ove alla lirica venisse destinato il 75% del Fus stanziato per quest’anno (ossia 200 milioni) , la somma non basterebbe a pagare il personale in essere (5700) delle 14 fondazioni.
Il pericolo che in molti teatri il sipario scenda per sempre è concreto. Eppure, la situazione italiana rimane anomala anche sotto altri punti di vista. Mediamente il costo di una rappresentazione lirica in Italia è il doppio di quello dell’Europa a 27; la Scala ha oltre 800 dipendenti, l’Opera di Roma 600 mentre la media nell’UE è di circa 250 dipendenti a teatro (cantanti compresi); il CNL del settore viene considerato ( a torto od a ragione) il più generoso dell’area atlantica (UE-USA-Canada) .
Come evitare la crisi? In primo luogo, trovando, per il programma-ponte, risorse all’interno del Ministero dei Beni Culturali che negli ultimi tre lustri ha accumulato residui enormi (in certi anni ha speso solo il 44% della dotazione per attività non di mero funzionamento amministrativo – stipendi, utenze); con la nuova normativa sulla contabilità dello Stato, tali residui (parcheggiati in 324 “contabilità speciali” fuori bilancio) rischiano di essere spazzati via. Meglio utilizzarne una parte perché i teatri non muoiano. In secondo luogo, mettere a punto i regolamenti della nuova legge con l’obiettivo, da un lato, di dare certezze di programmazione almeno triennale ai teatri e, dall’altro, di rendere più flessibile la gestione. In terzo luogo, contenere i costi ed aumentare la produzione (come ha fatto il Massimo di Palermo , un tempo considerato un pozzo senza fondo e da oltre un lustro con i conti a posto). In terzo luogo, imporre che si vada verso un cartellone nazionale (con un buon 70% di coproduzioni) al fine di attuare sinergie. In quarto luogo, rendere più convenienti (sotto il profilo tributario) l’intervento dei privati. In quinto luogo, attirare un pubblico più giovane (il 30% degli spettatori dell’English National Opera, ENO, ha meno di 40 anni) con scelte artistiche appropriate (opere moderne, regie efficaci). In sesto luogo, produrre spettacoli di qualità tale da essere “venduti” sul mercato internazionale (come fanno i maggiori teatri europei). In settimo luogo, esaminare se è necessario avere 14 fondazioni o se alcune non hanno trovato , in tanti anni, soci privati ed hanno la produttività così bassa (5-6 titoli l’anno) da poter essere meglio incluse nella categoria dei “teatri di tradizione”, sovvenzionati principalmente a livello locale.

Non c'è crescita se non si frena la corruzione Il Velino 24 febbraio

ECO - Non c'è crescita se non si frena la corruzione

Roma, 24 feb (Il Velino) - In questi giorni, il ministero dell’Economia e delle Finanze sta rivedendo, alla luce dei nuovi obiettivi di crescita annunciati dal presidente del Consiglio (un aumento del Pil di 3-4 per cento l’anno da realizzare entro il 2013-2014) il Piano Nazionale di Riforme (Pnr) che l’Ue esaminerà in aprile congiuntamente con il Piano di Stabilità. Sul Pnr sta naturalmente lavorando anche il Cnel, utilizzando in essenza il testo approvato dal Consiglio dei ministri del novembre scorso (che proponeva l’obiettivo di portare il tasso di crescita da rasoterra negli ultimi 15 anni al 2 per cento l’anno entro il 2012) in attesa che venga formalizzato l’aggiornamento. È in questo contesto che deve essere esaminata la relazione del procuratore generale della Corte dei Conti sull’aumento della corruzione, specialmente nelle pubbliche amministrazioni. L’indignazione permanente che permea molti editorialisti quando si affronta questo tema serve poco o nulla. Il nodo centrale è che la corruzione è uno dei principali freni allo sviluppo quali che siano le altre strategie di crescita che si vogliano adottare. Nell’ultimo rapporto annuale, Transparency International pone l’Italia al 67simo posto (dietro il Ruanda e appena un gradino dopo la Georgia) tra i 178 Paesi censiti; nel 2010 c’è stata addirittura una retrocessione poiché nel 2009 eravamo al 63simo posto. L’indicatore di Transparency International è spessoutilizzato da manager, imprenditori , uomini d’affari per “percepire” la corruzione di un Paese; ciò spiega in gran parte perché l’Italia è uno dei Paesi che meno attrae investimenti dall’estero. All’ultima conta (novembre 2010), in percentuale del Pil, gli investimenti diretti dall’estero in entrata sono il 18,6 per cento in Italia, contro il 21 per cento della Germania, il 42,8 per cento della Francia, il 45,9 per cento della Spagna e il 51,7 per cento del Regno Unito.

Il premio Nobel Douglas C. North individua negli alti “costi di transazione” (il balzello implicito o esplicito per effettuare una transazione economica) causati dalla corruzione il freno principale allo sviluppo di Paesi o aree arretrate e la determinante principale del declino di quelli già ad alto reddito. Il quadro peggiora se dalle classifiche mondiali si passa a quelle europee. Secondo uno studio comparato condotto dalla Università di Göterburg per conto della Commissione Europea, sui 27 Stati dell’Ue l’Italia si colloca al 25simo posto, seguita soltanto da Bulgaria e Romania. Dagli indici regionali si ricava che in Italia coesistono regioni (geografiche oltre che amministrative) tra le più virtuose d’Europa (Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta) e tra le più peccaminose del continente (Campania e Calabria). Ad esempio, secondo la ricerca, mentre per le assunzioni del settore pubblico allargato alle municipalizzate, nelle prime tre regioni conta la meritocrazia accertata tramite concorsi asettici, nelle altre due fanno premio “i rapporti interpersonali”. Circa venti anni fa, quando infuriava Tangentopoli, stimai che la corruzione comportava un aumento dei costi di produzione del 10-15 per cento, causando, quindi, una perdita di competitività e la riduzione della quota di mercato mondiale del “made in Italy” che si sarebbe aggravata negli Anni Novanta e nel primo lustro del nuovo secolo.

Cosa fare? Si sono varate leggi e creati Alti Commissariati ma occorre una profonda rivoluzione concettuale. È quanto si propone un progetto pluriennale della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (Sspa). Il progetto si inserisce nel Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità del Governo, volto a favorire la diffusione della cultura della legalità e della trasparenza all’interno della pubblica amministrazione. I direttori della ricerca (Giorgio Bernando Mattarella e Gustavo Piga) e il Comitato Scientifico, i ricercatori e i docenti che collaborano in varie aspetti del progetto non hanno la presunzione di voler essere la soluzione al problema; il progetto vuole semplicemente rappresentare una delle modalità con le quali stimolare la reazione della società, per renderla parte attiva e consapevole nella lotta contro la corruzione. Un sito web (http://integrita.sspa.it) fornisce un toolkit informativo ed è soprattutto uno strumento per un dialogo tra esperti e società civile (il sito contiene un “blog”, http://blogintegrita.sspa.it a cui tutti possono accedere e contribuire). Non si tratta certo di una misura risolutiva. Ma di un passo importante nella direzione giusta. Anche perché le stime che circolano in questi giorni pongono in due punti percentuali l’aumento di Pil che si avrebbe ove si facesse un’attività intensa di liberalizzazioni, soprattutto a livello locale. Con una significativa riduzione della corruzione si otterrebbe almeno altrettanto.

(Giuseppe Pennisi) 24 feb 2011 12:41

mercoledì 23 febbraio 2011

E LA LOTTA NELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE PASSA DAL WEB Avvenire 23 febbraio

E LA LOTTA NELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE PASSA DAL WEB
Giuseppe Pennisi

Alla fine degli Anni Novanta, utilizzando un metodo ancora differente (statistiche sui reati, di ogni genere, passati in giudicato), Giuseppe Tullio dell’Università di Brescia era giunto a definire una forte correlazione tra spesa per consumi pubblici ed opere pubbliche e criminalità sotto il profilo sia storico (dal dopoguerra alla fine del secolo appena trascorso) sia territoriale; in altri termini, quanto più si allunga la mano della pubblica amministrazione (che intermedia la spesa pubblica) tanto più si cade in trasgressioni. Pochi anni fa, in un lavoro che non credo sia mai stato pubblicato in italiano (The Determinants of Corruption in Italy:Regional Panel Data Analysis) , Alfredo del Monte ed Erasmo Papagni della Università di Napoli “Federico Secondo” hanno esaminato le determinanti della corruzione in Italia nel periodo 1963-2001 utilizzando dati relativi unicamente ai reati contro la pubblica amministrazione a livello regionale: la variabili che più incidono sul fenomeno appartengono a due grandi categorie , economiche (spese pubbliche per consumi, livello di sviluppo) e socio-politiche (concentrazione dei partiti, assenteismo alle elezioni, presenza o meno di organizzazioni volontarie attive a livello civico).

La caratteristica costante di queste analisi è la centralità della pubblica amministrazione sia nel fenomeno sia, di converso, in qualsiasi strategia si voglia adottare per contenerlo.
Un tassello importante, forse più delle varie proposte di politica legislativa sul tappeto e della stessa inserimento di strutture o personalità “anticorruzione” nella pubblica amministrazione, è un progetto pluriennale varato di recente dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (Sspa). Il progetto “Per una Cultura dell’Integrità nella Pubblica Amministrazione”, nasce con l’obiettivo di diffondere una cultura di intolleranza verso la corruzione, attraverso un programma “aperto” di informazione e formazione (corsi, seminari anche all’estero), in cui l’esperienza di esperti di lotta alla corruzione e integrità nel settore pubblico e le loro competenze vengono coniugate conl’entusiasmo di giovani ricercatori che lavorano insieme presso la Sspa.
Il progetto si inserisce nel Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità del Governo, volto a favorire la diffusione della cultura della legalità e della trasparenza all’interno della pubblica amministrazione. I direttori della ricerca (Giorgio Bernando Mattarella e Gustavo Piga), ed il Comitato Scientifico, i ricercatori ed i docenti che collaborano in varie aspetti del progetto non hanno la presunzione di voler essere la soluzione al problema; il progetto vuole semplicemente rappresentare una delle modalità con le quali stimolare la reazione della società, per renderla parte attiva e consapevole nella lotta contro la corruzione.
La creazione di una cultura condivisa implica naturalmente il coinvolgimento dell’intera società (istituzioni, cittadini compresi gli studenti), cui è possibile arrivare attraverso la scelta di un canale di comunicazione che sia accessibile a tutti e “democratico”. Da qui l’importanza di un sito web (http://integrita.sspa.it) nel quale è possibile trovare un toolkit informativo che si propone di informare in tema di corruzione: cos’è, quali i modi per misurarla, quali le cause e gli effetti, da chi e in che modo viene combattuta. Inoltre il sito rappresenta una vetrina di altre parti centrali del progetto, seminari internazionali aperti al pubblico, lezioni per i dirigenti della PA, fondamentali per approfondire la conoscenza del fenomeno e sviluppare le competenze necessarie a comprendere le situazioni a rischio e i possibili rimedi ex-ante ed ex-post. E’ anche e soprattutto uno strumento per un dialogo tra esperti e società civile (il sito contiene un “blog”, http://blogintegrita.sspa.it a cui tutti possono accedere e contribuire).
E’ questo uno strumento importante per la definizione di una strategia nazionale anti-corruzione. Un primo passo importante è la definizione di indicatori di quelli attualmente utilizzati anche a livello internazionale. Dal sito si ricava come lo staff del progetto stia lavorando ad indici di corruzione basati su misure giudiziarie con indici basati su percezioni ed esperienze dirette, grazie ad una collaborazione lanciata proprio negli ultimi giorni con Istat. E’ già un passo avanti importante rispetto alle esperienze, anche internazionali, che si sono menzionate.






Figura 1. Proporzione delle diverse tipologie di reato contro la pubblica amministrazione

Fonte dei dati: Alto Commissariato Anticorruzione, 2007
La tipologia di reato per abuso d’ufficio rappresenta la parte
Figura 2 PERCEZIONE DELLA CORRUZIONE , 2009

Fonte: Transparency International





Giuseppe Pennisi

Alla fine degli Anni Novanta, utilizzando un metodo ancora differente (statistiche sui reati, di ogni genere, passati in giudicato), Giuseppe Tullio dell’Università di Brescia era giunto a definire una forte correlazione tra spesa per consumi pubblici ed opere pubbliche e criminalità sotto il profilo sia storico (dal dopoguerra alla fine del secolo appena trascorso) sia territoriale; in altri termini, quanto più si allunga la mano della pubblica amministrazione (che intermedia la spesa pubblica) tanto più si cade in trasgressioni. Pochi anni fa, in un lavoro che non credo sia mai stato pubblicato in italiano (The Determinants of Corruption in Italy:Regional Panel Data Analysis) , Alfredo del Monte ed Erasmo Papagni della Università di Napoli “Federico Secondo” hanno esaminato le determinanti della corruzione in Italia nel periodo 1963-2001 utilizzando dati relativi unicamente ai reati contro la pubblica amministrazione a livello regionale: la variabili che più incidono sul fenomeno appartengono a due grandi categorie , economiche (spese pubbliche per consumi, livello di sviluppo) e socio-politiche (concentrazione dei partiti, assenteismo alle elezioni, presenza o meno di organizzazioni volontarie attive a livello civico).

La caratteristica costante di queste analisi è la centralità della pubblica amministrazione sia nel fenomeno sia, di converso, in qualsiasi strategia si voglia adottare per contenerlo.
Un tassello importante, forse più delle varie proposte di politica legislativa sul tappeto e della stessa inserimento di strutture o personalità “anticorruzione” nella pubblica amministrazione, è un progetto pluriennale varato di recente dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (Sspa). Il progetto “Per una Cultura dell’Integrità nella Pubblica Amministrazione”, nasce con l’obiettivo di diffondere una cultura di intolleranza verso la corruzione, attraverso un programma “aperto” di informazione e formazione (corsi, seminari anche all’estero), in cui l’esperienza di esperti di lotta alla corruzione e integrità nel settore pubblico e le loro competenze vengono coniugate conl’entusiasmo di giovani ricercatori che lavorano insieme presso la Sspa.
Il progetto si inserisce nel Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità del Governo, volto a favorire la diffusione della cultura della legalità e della trasparenza all’interno della pubblica amministrazione. I direttori della ricerca (Giorgio Bernando Mattarella e Gustavo Piga), ed il Comitato Scientifico, i ricercatori ed i docenti che collaborano in varie aspetti del progetto non hanno la presunzione di voler essere la soluzione al problema; il progetto vuole semplicemente rappresentare una delle modalità con le quali stimolare la reazione della società, per renderla parte attiva e consapevole nella lotta contro la corruzione.
La creazione di una cultura condivisa implica naturalmente il coinvolgimento dell’intera società (istituzioni, cittadini compresi gli studenti), cui è possibile arrivare attraverso la scelta di un canale di comunicazione che sia accessibile a tutti e “democratico”. Da qui l’importanza di un sito web (http://integrita.sspa.it) nel quale è possibile trovare un toolkit informativo che si propone di informare in tema di corruzione: cos’è, quali i modi per misurarla, quali le cause e gli effetti, da chi e in che modo viene combattuta. Inoltre il sito rappresenta una vetrina di altre parti centrali del progetto, seminari internazionali aperti al pubblico, lezioni per i dirigenti della PA, fondamentali per approfondire la conoscenza del fenomeno e sviluppare le competenze necessarie a comprendere le situazioni a rischio e i possibili rimedi ex-ante ed ex-post. E’ anche e soprattutto uno strumento per un dialogo tra esperti e società civile (il sito contiene un “blog”, http://blogintegrita.sspa.it a cui tutti possono accedere e contribuire).
E’ questo uno strumento importante per la definizione di una strategia nazionale anti-corruzione. Un primo passo importante è la definizione di indicatori di quelli attualmente utilizzati anche a livello internazionale. Dal sito si ricava come lo staff del progetto stia lavorando ad indici di corruzione basati su misure giudiziarie con indici basati su percezioni ed esperienze dirette, grazie ad una collaborazione lanciata proprio negli ultimi giorni con Istat. E’ già un passo avanti importante rispetto alle esperienze, anche internazionali, che si sono menzionate.






Figura 1. Proporzione delle diverse tipologie di reato contro la pubblica amministrazione

Fonte dei dati: Alto Commissariato Anticorruzione, 2007
La tipologia di reato per abuso d’ufficio rappresenta la parte
Figura 2 PERCEZIONE DELLA CORRUZIONE , 2009

Fonte: Transparency International

PAESE SENZA TRASPARENZA : I FONDI ESTERI NON ARRIVANO aVVENIRE 23 FEBBRAIO

PAESE SENZA TRASPARENZA : I FONDI ESTERI NON ARRIVANO
Giuseppe Pennisi

Secondo la Corte dei Conti , in Italia “la corruzione è in aumento”, specialmente nelle pubbliche amministrazioni. D’altronde, sabato 19 febbraio, bastava sfogliare un qualsiasi quotidiano per trovarvi pagine e pagine dedicate (oltre che a fenomeni di malcostume generalizzati e veri e propri reati contro l’amministrazione centrale dello Stato) all’”affitto poli” milanese, alla “parentopoli” romana, ed al “Cinzia-gate” bolognese.
Nel suo ultimo rapporto annuale, Transparency International pone l’Italia al 67simo posto (dietro il Ruanda ed appena un gradino dopo la Georgia) tra i 178 Paesi censiti; nel 2010 c’è stata addirittura una retrocessione poiché nel 2009 eravamo al 63simo posto. L’indicatore di Transparency International (per quanto basato su una metodologia discutibile- si dà gran rilievo all’informazione giornalistica sui presunti casi di corruzione) ha tuttavia notevole importanza in quanto è sovente utilizzato da manager, imprenditori , uomini d’affari per “percepire” la corruzione di un Paese tale “percezione”; ciò spiega in gran parte perché l’Italia è uno dei Paesi che meno attrae investimenti dall’estero. All’ultima conta (novembre 2010), in percentuale del Pil, gli investimenti diretti dall’estero in entrata sono il 18,6% in Italia, contro il 21% della Germania, il 42,8% della Francia, il 45,9% della Spagna e il 51,7% del Regno Unito. La media mondiale è del 30,7%; secondo il World Economic Forum siamo al 48° posto come attrattività. Non solo nel libro che più degli altri suoi lavori lo ha portato al Premio Nobel per l’Economia nel 1991 (Institutions, Institutional Change, Economic Performance) Douglas C. North individua negli alti “costi di transazione” (il balzello implicito od esplicito per effettuare una transazione economica) causati dalla corruzione il freno principale allo sviluppo di Paesi od aree arretrate e la determinante principale del declino di quelli già ad alto reddito. In breve, quale che sarà la “frustata” all’economia di cui si parla in queste settimane, non arresteremo il declino senza curare la corruzione.
Il quadro peggiora, se dalle classifiche mondiali di passa a quelle europee. Secondo uno studio comparato condotto dalla Università di Göterburg per conto della Commissione Europea, sui 27 Stati dell’UE l’Italia si colloca al 25simo posto, seguita soltanto da Bulgaria e Romania. L’analisi è stata effettuata seguendo un metodo differente da quello utilizzato da Transparency International: nel periodo dicembre 2009 – febbraio 2010 sono stati contattati 200 alti funzionari per Stato membro dell’UE e 34.000 cittadini europei (4.095 in Italia) ed è stato amministrato loro un questionario su tre grandi aree di governo della cosa pubblica – istruzione, sanità, giustizia – per costruire “indici” non solo nazionali ma anche regionali. La Commissione UE afferma, un po’ pomposamente, che si tratta della “più corposa ricerca (su questo tema- n.d.r) mai fatta al mondo”. Dagli indici regionali si ricava che in Italia coesistono regioni (geografiche oltre che amministrative) tra le più virtuose d’ Europa (Trentino, Alto Adige e Valle d’Aosta) e tra le più peccaminose del continente (Campania e Calabria). Ad esempio, secondo la ricerca, mentre per le assunzioni del settore pubblico allargato alle municipalizzate, nelle prime tre regioni conta la meritocrazia accertata tramite concorsi asettici, nelle altre due fanno premio “i rapporti interpersonali”. E’ utile ricordare che, guardando unicamente all’Italia ma utilizzando un metodo di ricerca allora pioneristico (e che lo ha impegnato per quasi un quarto di secolo), circa trent’anni fa Robert Putman dell’Università di Harvard era arrivato a conclusioni analoghe nel libro Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy pubblicato dalla Princeton University Press e considerato ormai un classico.

STUDI OCCIDENTALI IN FAVORE DEL POTERE AI MILITARI PROCRESCITA Il Foglio 23 febbraio

STUDI OCCIDENTALI IN FAVORE DEL POTERE AI MILITARI PROCRESCITA
Giuseppe Pennisi
Come mai, intellettuali europei (e nord-americani) di tradizione liberale applaudono alla presa di potere da parte dei militari in Nord Africa e Medio Oriente? E gli economisti sembrano addirittura esultare? In Egitto, si è verificato un vero e proprio “golpe” militare. Altri sono possibili in Libia e Bahrein, nonché in Marocco (ove il contagio si estendesse). Un processo analogo pare bollire in pentola in Giordania (tra varie gruppi o fazioni del complesso militare), mentre non è tra le eventualità per il futuro della Tunisia.
Quali le implicazioni per le libertà democratiche, la crescita lo sviluppo? Si posero il problema, nel lontano 1989, Douglas North (a cui due anni dopo sarebbe stato conferito il Premio Nobel per l’Economia) e Barry Weingast, in un saggio considerato un classico: guardavano , però, non al Nord Africa ed al Medio Oriente ma all’evoluzione verso la modernizzazione in Europa Occidentale. Lo loro risposta fu chiara e netta: quando una classe dirigente non è più in grado di impegnarsi in politiche che promuovono crescita e sviluppo, deve cedere lo scettro ad un “settore più ampio” della società. Una lettura “buonista” del saggio di North e Weingast ha fatto sì che tale locuzione venisse speso interpretata nel senso di dare il potere ad una classe dirigente che essa emergesse dalla “società civile”. Un lettura attenta del lavoro, indica invece che esso suggerisce una soluzione “autoritaria” che sospenda la democrazia proprio al fine di incoraggiare politiche di crescita e di sviluppo.
Uno studio, ancora inedito, di F. Andrew Hanssen di Clemson University e di Robert K. Fleck della Montana State University utilizza dati quantitativi davvero unici per applicare il “teorema” di North e Weingast all’evoluzione della democrazia e dello sviluppo economico nella Grecia antica, le cui condizioni, per certi aspetti, assomigliavano a quelle di Paesi ai primi stadi del progresso economico. Gli indicatori riguardano le statistiche sulle derrate, sulla costruzione di edifici pubblici, sull’evoluzione delle città, e sui collegamenti stradali. La conclusione è che le città-Stato di maggior successo nella Grecia classica erano governate da “tiranni”, con il supporto dei militari. Le “tirannidi” avevano una durata limitata nel tempo e attuavano politiche con un forte impatto sulla crescita (essenziale per mantenere lo scettro). La creazione di ricchezza portava gradualmente a forme di gestione collegiale del potere (ed ad una retrocessione del ruolo dei militari). Un esempio storico recente e calzante si ha proprio in Egitto, il cui processo di modernizzazione iniziò quando le redini del potere erano ben salde nelle mani di Mehmet Ali, e delle sue truppe.