SULL’EUROPA PESA IL RIMORSO DELL’AMMISSIONE AFFTETTATA DELLA GRECIA
Giuseppe Pennisi
La notizia è arrivata secca: proprio mentre “la crisi greca” sembrava stesse per avere una svolta positiva (buon collocamento dell’emissione internazionale di titoli di Stato , disponibilità del Fondo monetario internazionale, Fmi, a venire in aiuto – in linea con le sue finalità istituzionali-, probabile varo del programma per ridurre dal 13% del Pil nel 2009 al 9% nel 2010 per portarlo a meno del 3% entro il 2012), il Commissario Europeo agli Affari Economici e Finanziari Olli Rehn ha annunciato di portare, alla riunione di oggi 9 marzo dell’Esecutivo Ue, un primo schema di proposta per l’istituzione di un Fondo monetario europeo “destinato a sostenere quei paesi, come la Grecia, duramente colpiti dalla crisi globale”.
La proposta ed il modo in cui è stata presentata è tale da lasciare perplessi. In primo luogo, l’intervista concessa dal Commissario ad un quotidiano tedesco a mercati aperti non possono non indurre a pensare che, oltre la Repubblica Ellenica, ci sono altri Paesi dell’unione monetaria ad un rischio tale d’insolvenza da richiedere interventi straordinari, nel senso etimologico di “fuori dell’ordinario”. Ciò non può non innervosire i mercati e complicare ulteriormente qualsiasi exit strategy si voglia adottare. Se la situazione è quale traspare dalle dichiarazioni di Bruxelles è bene la Commissione mostri le carte: mentre a Washington e non solo si sottolineano i segnali di miglioramento, il cenno all’esigenza di misure “fuori dall’ordinario” non può che ingenerare incertezza.
In secondo luogo, occorre chiedersi perché nell’area dell’euro le intese tra Banche centrali nazionali, coordinate dalla Banca centrale europea (Bce), non sarebbero adeguate a fare fronte alle esigenze di Paesi che si trovassero in temporanea difficoltà. Gli accordi europei di cambio (in linguaggio giornalistico lo Sme) hanno retto a circa 20 anni di prove cedendo soltanto una volta (nel settembre 1992). Le paratie dell’unione monetaria sono state allestite allo scopo di essere ancora più solide di quelle dello Sme. Se non lo fossero, i Presidenti della Bce, Jean-Claude Trichet, e dell’Eurogruppo , Jean-Claude Juncker (non un Commissario, per quanto autorevole) dovrebbero dirlo a chiare note.
In terzo luogo, la comunità internazionale ha triplicato le risorse del Fmi (l’Italia ha appena pagato quanto dovuto) da destinare ad interventi di soccorso. La creazione di Fondi monetari regionali può aprire la porta alla frammentazione dell’economia mondiale, a protezionismi , a scontri (un giorno) tra “Fortezza Europa”, “Fortezza Asia”, “Fortezza Usa”- prospettiva da evitare. Nonostante, l’idea ora lanciata da Rehn sia un male minore rispetto a quella enunciata dallo stesso Rehn la settimana scorsa : un “pronto intervento” da parte di istituti pubblici come la Caisse Central de Dépôts et Consignations, la Kreditanstalt für Wiederaufbau e la nostra Cassa Depositi e Prestiti, distogliendoli dalle loro ragioni sociali (mutui agli enti locali, supporto a investimenti a lungo termine in infrastrutture, ambiente, innovazione). Un vero “papocchio”.
A questo punto, sorge un dubbio. Si tratta soltanto di un problema di immagine (sventolare alto il vessillo dell’UE e dell’unione monetaria) oppure, freudianamente, nei corridoi di Bruxelles corre il rimorso di avere ammesso la Grecia nel club dell’euro, pur sapendo che non aveva le carte in regola (per entrare e per restarci) non per mala fede ma in quanto non disponeva (e non dispone) di strumenti per la formulazione e l’attuazione di politiche economiche all’altezza del resto del sodalizio? E non avendo fatto nulla per accompagnarla ad attrezzarsi.
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