mercoledì 17 marzo 2010

IL PARADOSSO DEI GIOVANI SEMPRE PIU’ DISOCCUPATI Avvenire 17 marzo

IL PARADOSSO DEI GIOVANI SEMPRE PIU’ DISOCCUPATI
Giuseppe Pennisi
Nella prima decade del Terzo Millennio, in Europa l’occupazione è aumentata a tassi mai sperati dalla fine del miracolo economico: nell’Unione Europea a 15 (Ue-15), l’incremento degli occupati è stato circa del 10%, in Spagna ed Irlanda ha rispettivamente sfiorato il 30% e superato il 25%; soltanto in Danimarca (4%) ed in Portogallo (3%), è stato contenuto (ma si tratta di due Paesi piccoli e alti tassi d’attività per la popolazione tra i 15 ed i 65 anni). Ciò nonostante, i giovani cercano lavoro senza trovarlo.
Nell’Unione Europea a 25 (Ue-25), appena il 37% di coloro tra i 15 ed i 24 anni sono occupati – la gamma di variazione è molto ampia , dal 68% nei Paesi Bassi al 21% in Ungheria. I giovani hanno in parte beneficiato del favorevole ciclo occupazionale: nel 2007 , nell’Ue-25 il tasso disoccupazione giovanile era sceso al 15, 3%, ma secondo i più recenti dati di Eurlife (la Fondazione Europea sulle condizioni di vita – un’agenzia Ue con sede in Irlanda) è di nuovo sul 18% - in alcuni Paesi dell’Europa centrale (Polonia, Slovenia, Slovacchia) sfiora il 30%.
Anche se una delle ragioni del basso tasso d’attività dei giovani in Europa è l’espandersi delle opportunità di istruzione e di formazione, occorre chiedersi quali sono le determinanti che frenano l’occupazione giovanile (nonostante i numerosi programmi specifici varati a questo scopo e la priorità data a questo obiettivo nell’allocazione dei Fondi strutturali europei). E’ uscita in questi giorni un’interessante analisi di Bruno Conti dell’Università di Torino ("Youth Employment in Europe: Institutions and Social Capital Explain Better than Mainstream Economics", disponibile, su supporto elettronico come IZA Discussion Paper No. 4718, IZA è l’acronimo dell’Istituto federale tedesco di studi sul lavoro). Lo studio, che spero sia presto pubblicato in italiano e dibattuto nel nostro Paese, offre una prospettiva relativamente nuova: il fenomeno non può essere spiegato con la cassetta degli attrezzi convenzionali degli economisti poiché numerose determinanti (invecchiamento della popolazione, denatalità, costo generalmente più basso del lavoro giovanile anche a ragione di sgravi fiscali-contributivi ed altri incentivi, flessibilità dei rapporti d’impiego, più alti tassi d’istruzione e di formazione, poca sindacalizzazione dei giovani) indurrebbero a stimare una riduzione della disoccupazione giovanile. Contini individua nell’economia neo-istituzionale spiegazioni migliori di quelle offerta dalla “triste scienza” tradizionale:”le regole informali del gioco”, i “valori”, il “capitale sociale” incidono più delle determinanti convenzionali sulla disoccupazione giovanile e sui dati ad essa pertinenti. Il fenomeno si presenta particolarmente grave in Paesi ed aree (si pensi al Mezzogiorno italiano) dove norme e regole sono poco osservate (e l’economia sommersa ha molto spazio), i valori sono vaghi ed incerti, c’è poco spirito associativo e capitale sociale, c’’è scarsa cooperazione e fiducia reciproca tra soggetti economici.
Quali le implicazioni di politica economica e sociale? Anche se Contini sostiene, con umiltà, che “ancora ne sappiamo troppo poco” (delle cause del fenomeno e, quindi, dei rimedi), credo che l’irreversibilità dell’unione monetaria (e delle regole implicite ad essa connesse) possa essere un grimaldello (quanto meno in aree come il nostro Mezzogiorno) per cambiare strada più efficace delle numerose mezze misure varate negli Anni 90 ed ancora in atto.

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