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Roma, 25 mar (Velino) - Il “Simon Boccanegra” di Giuseppe Verdi, in scena a Parma fino al 3 aprile, si caratterizza per due aspetti che spiegano la buona gestione del Teatro Regio nel diffondere la “musa bizzarra ed altera”. Innanzitutto è la ripresa di una co-produzione a costi contenuti, facilmente trasportabile da un palcoscenico all’altro, dei teatri di Bologna e Palermo che con il tempo sembra maturare e migliorare. Inoltre propone un cast in cui interpeti affermati da anni, se non da decenni, sono affiancati da giovani di cui due del tutto ignoti a spettatori e critica. L’arcigno pubblico del Regio ha salutato lo spettacolo con applausi a scena aperta e quindici minuti di ovazioni. Sarà il “Boccanegra” per eccellenza, in quanto verrà registrato per il cofanetto di dvd che il Regio di Parma sta preparando per il bicentenario verdiano del 2013. “Boccanegra”, opera “maledetta” e ignorata da fine Ottocento al 1937, si può vedere e ascoltare anche in una coproduzione tra La Scala, il Metropolitan e la Staatsoper unter den Linden di Berlino. Quella che arriverà a Milano il 16 aprile, per restarci sino al 7 maggio, ha un impianto scenico grandioso: un elemento di grande interesse è Placido Domingo, che a 69 anni dovrebbe affrontare il ruolo baritonale del protagonista, sempre che la salute glielo consenta (è stato operato in questi giorni di cancro al colon).
Simon Boccanegra è stato, storicamente, il primo doge di Genova nel periodo di transito dal Medioevo al Rinascimento. L’opera fu un tonfo alla “prima” alla Fenice nel 1857 e, rimaneggiata nel libretto e nella musica, ebbe esiti modesti nelle riprese a Reggio Emilia, Milano, Napoli e Firenze nel 1858-59. Venne modificata nel 1868 in una versione vista solo a Boston e a Londra pochi anni fa. Ripensata con l’aiuto di Arrigo Boito, che rimise mano a parti essenziali del libretto, fu un successo di breve durata quando la versione, adesso corrente, raggiunse La Scala nel 1881. Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, venne dimenticata. Gino Marinuzzi, consapevole che si trattasse di un capolavoro unico nel teatro verdiano ed europeo più in generale, tentò di rilanciarla, a Roma, nel 1934. Da allora, “Boccanegra” ha ripreso un lento cammino, giungendo alla consacrazione internazionale vera e propria all’inizio degli anni Settanta grazie a due edizioni eccellenti, ma molto differenti: quella di Gianandrea Gavazzeni, tragica, cupa, quasi infernale (ascoltabile in un mirabile cd della Rca – purtroppo adesso fuori catalogo - nettamente superiore a una versione sempre curata da Gavazzeni pochi anni prima), e quella di Claudio Abbado, dolce, densa di colori chiari e di volumi leggeri (impareggiabili le evocazioni marine) che in un allestimento di Strehler e Frigerio ha viaggiato a Londra, Parigi, Mosca, Washington e Vienna ed è disponibile in cd e dvd.
È anche una delle opere più apertamente “politiche” di Verdi. Le diverse versioni di “Boccanegra” e l’epistolario del maestro di Busseto rivelano come inizialmente Verdi avesse partecipato al movimento di unità nazionale, ma poi rimase progressivamente deluso da una “politica politicante”, come il protagonista del romanzo incompiuto “L’imperio” di Federico De Roberto, sempre più distante dalla sua visione lungimirante. Nella scena-chiave di “Boccanegra”, il doge fa proprio l’appello di Francesco Petrarca di porre fine alle guerre tra le repubbliche di Genova e di Venezia allo scopo di lavorare insieme per un’Italia libera, ma non è compreso né dai patrizi né dai plebei. Ciò innesca l’intrigo che porta alla catarsi finale. “Boccanegra” (i cui temi “politici” in parte verranno ripresi in “Don Carlo” e in “Otello”) svela un rapporto tormentato con la politica analogo a quello con la religione: la visione a lungo raggio della Politica con la “p” maiuscola e i programmi per realizzarla, vengono bloccati da una politica con la “p” minuscola ridotta a intrighi.
Nell’allestimento di Parma, regia, scene, costumi e luci sono affidati a Giorgio Gallione, Guido Fiorato e Bruno Ciulli. Concerta Daniele Callegari. L’orchestra ha la tinta e i tempi, appropriati mentre nell’edizione Berlino-La Scala, Daniel Baremboim li dilata. Sorprendente Leo Nucci: a 70 anni è ancora un grande Boccanegra sia scenicamente che localmente. Nel prologo ha l’agilità di un 25enne, nei tre atti è un 50enne logorato dalla politica. Il suo avversario è Roberto Scandiuzzi, uno Jacopo Fiesco da antologia per la morbidezza del canto anche nelle tonalità più gravi. Le vere scoperte sono i tre giovani: a 30 anni, Francesco Meli sta transitando da tenore lirico da coloratura e agilità a tenore verdiano spinto: il suo prossimo debutto è Werther di Jules Massenet che richiede una vocalità più leggera di quella del Gabriele Adorno di “Boccanegra”. Vale un viaggio per testarne gli esiti. Giovanissima Tamar Iveri (Amelia/Maria), di cui nulla si sa tranne che viene dalla Georgia o giù di lì: un’eccezionale sorpresa (la vocalità della Freni, nella celebre incisione di Abbado, ma con uno straordinario volume). Sconosciuto anche Simone Piazzola (il perfido Paolo Albiani): lo resterà per poco visto lo svolazzo di critici e agenti al termine dello spettacolo.
(Hans Sachs) 25 mar 2010 10:56
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