Giuseppe Pennisi
La consueta missione primaverile Fmi, in Italia in queste settimane, questa volta non pone la previdenza degli italiani al centro delle discussioni. Ciò non vuol dire che non verrà sfiorato il capitolo pensioni. Si parlerà di “manutenzione straordinaria” tra qualche anno, ma non di riassetto impellente ed urgente. Nella 19sima strada di quel di Washington (dove alberga il Fmi), sulle scrivanie del Dipartimento Europa dell’organizzazione troneggiano in bella vista la tabella riprodotta in questa pagina, due volumi di Nicholar Barr (London School od Economics) e Peter Diamond (due dei massimi esperti di previdenza) ed un lavoro di Robert Holzmann(a lungo Vice Presidente alla Protezione Sociale in Banca mondiale, l’istituzione cugina, e dirimpettaia, del Fmi).
La tabella è eloquente:in una colonna estrae dai dati ufficiali il rapporto stock di debito pubblici e Pil prima dell’attuale crisi (che lo ha dilatato in alcuni Paesi – quali Germania, Gran Bretagna, Francia), nell’altra indica quale sarebbe lo stock se vi venissero aggiunte le passività future (attualizzate ad oggi) delle istituzioni pubbliche previdenziali (quali si profilano nei prossimi 30 anni). I calcoli sono stati, sempre a Washington, da Jagadeesh Gokhale, del Cato Institute, frequente consulente di istituzioni finanziarie internazionali, pubblicati (su supporto magnetico) e nessuno li ha smentiti o confutati. In breve, il debito pubblico italiano è da capogiro se si include anche quello degli istituti previdenziali: ben il 364% del Pil. E’, però, inferiore alla media dell’Ue a 25 (ossia senza considerare Bulgaria e Romania): un massiccio 434% del Pil, con i dati per la Polonia (1550% del Pil), della Slovacchia (1149% del pil) e della Grecia (875% del Pil), addirittura da svenimento. E’ un fardello meno pensante di Francia (550% del Pil), Gran Bretagna (442% del Pil) e Germia (418% del Pil). Pare leggero se raffrontato alle stime per gli Usa dove ad un debito pubblico totale (Governo federale, Stati dell’Unione, previdenza obbligatoria, sanità per i poveri e gli anziani) che sfiora il 500% si aggiunge un debito di individui, famiglie ed imprese pari al 300% del Pil- fa tremare anche i Pini di Roma più secolari.
Non c’è da stare allegri, soprattutto per le nuove generazioni. Ma altrove la situazione è ben peggiore che da noi, soprattutto in Francia, oltre che in Grecia: nei due Paesi l’età “normale” della pensione è 60 anni- sia Sarkozy sia Papandreu hanno tentato di cambiarla, senza alcun esito (almeno per ora). Il lavoro di Holzaùmann, ben presente alla squadra Fmi, indica il sistema contributivo figurativo (di cui Italia e Svezia sono stati i precursori nel 1995) come la strada da seguire per rimettere le cose a posto in Europa. Analoghe le conclusioni dei due volumi di Barr e Diamond, anche se, correttamente, insistono per una serie di modifiche per rendere più semplici gli adeguamenti alla dinamiche demografiche ed economico-finanziarie.
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