L'Euro e la Grecia
Roma, 9 dic (Velino) - Due settimane fa, in questa rubrica, è stato posto il problema della tenuta dell’unione monetaria europea a fronte della crisi finanziaria in atto. La nota mi ha fatto ricevere numerosi commenti da colleghi. Alcuni ribadivano al vostro “chroniqueur” di essere un euroscettico – accusa già formulata quando nel 1996-2001 sottolinei più volte – in un saggio su “La Rivista di Politica Economica” e in una rubrica su “Il Foglio quotidiano”`. Altri affermavano, invece, come il vero nodo fosse l’avere accettato, nell’unione monetaria, Paesi come la Grecia (noti sia per le loro debolezze strutturali sia per la maestria di taroccare e i conti pubblici e la contabilità economica nazionale). In questi ultimi giorni, con i problemi della Repubblica Ellenica nelle prima pagine dei giornali, la seconda sta acquistando maggiore terreno nei mail che ricevo.
Riassumiamo i fatti essenziali. In seguito a dichiarazioni preoccupate, al Parlamento Europeo, del Presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, sulla situazione della Grecia, la Commissione europea ha comunicato che "sta monitorando la situazione da molto vicino, in stretto contatto con il presidente dell'Eurogruppo, ed è pronta ad assistere il governo greco nel mettere a punto un programma di risanamento e di riforme complessivo, nel quadro delle misure previste dal trattato per gli Stati membri della zona euro”. "Prendiamo atto del fatto che la sostenibilità delle finanze pubbliche in Grecia attira l'attenzione dei mercati finanziari e delle agenzie di rating", ha affermato Almunia, ribadendo come "la situazione difficile in uno Stato membro della zona euro sia una questione che riguarda tutta l'area dell'euro". (segue)
Al tempo stesso, l'agenzia Fitch ha tagliato il rating sovrano del Paese, alla luce del deterioramento del debito, mettendo in allarme i mercati, mentre il governo di Atene si è subito messo al lavoro per studiare contromisure. Gli analisti di Fitch hanno abbassato il rating a lungo termine della Grecia a 'BBB+' - ossia al terz'ultimo livello - con outlook negativo, motivando la decisione con l'aumento dell'indebitamento e dell'incertezza della ripresa economica. Una mossa che potrebbe presto essere seguita da Standard & Poor's, che ha appena messo il rating della Grecia in 'Creditwatch negativo' ventilando la possibilità di un imminente declassamento. L'effetto sui mercati è stato immediato: Wall Street e borse europee hanno puntato al ribasso, con Atene che ha accusato perdite superiori al 6%. Sono precipitati i titoli di Stato emessi dalla Grecia, mentre sono schizzati al rialzo i credit default swaps (Cds), gli strumenti che assicurano contro il rischio di insolvenza degli emittenti di obbligazioni. I Cds sul debito della Grecia sono saliti di 20,5 punti base a 211 punti e il rendimento sui titoli di Stato a due anni è aumentato di 45 punti base al 2,52%, il livello più alto dal 4 maggio scorso, superando per la prima volta da gennaio 2008 i rendimenti sui titoli di Stato della Turchia (2,06%). Il rendimento sui titoli a dieci anni è salito di 24 punti base al 5,38%. E per gli analisti di Royal Bank of Scotland c'é il rischio che dal 2011 le obbligazioni greche non avranno più i requisiti per essere accettate come collaterale dalla Bce, una volta che quest'ultima avrà ritirato le misure straordinarie anti-crisi. Rbs calcola che la Grecia abbia 47 miliardi di euro di attività fornite alla Bce come collaterale a garanzia dei prestiti. Il governo greco intanto, si è detto pronto ad adottare le "giuste" misure fiscali "per ridurre il deficit nel medio periodo" e nei prossimi giorni, se ce ne sarà bisogno, varerà una nuova finanziaria.
A mio avviso, le analisi del problema si basano su un’ipotesi non del tutto corretta: quella che sia la Grecia ad avere questa volta travalicato – lo ha fatto frequentemente prima dell’unione monetaria, uscendo quasi sempre dai pasticci ritoccando (al ribasso il cambio). Invece, la crisi finanziaria ed i problemi oggi della Repubblica Ellenica e domani di qualche altro Stato membro (l’Irlanda è un candidato , lo sarebbe l’Italia se il Ministero dell’Economia e delle Finanze non tenesse dritta la barra dei conti pubblici) dovrebbero indurci a meditare su quali misure prendere all’interno dell’intero Eurogruppo per evitare contraccolpi asimmettrici troppo pesanti da mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’unione (le quale non è – ribadiamolo – “un’area valutaria ottimale”, nel significato che al termine da la teoria economica” . (segue)
Non solo il solo a pensarlo . E non sono neanche il solo a dirlo. L’8 dicembre il Levy Economic Istitute del Bard College ha diramato un interessante saggio in corso di pubblicazione : "The Euro and its Guardian of Stability: The Fiction and Reality of the 10th Anniversary Blast "( “L’euro ed il guardiano della sua stabilità: finzione e realtà dei festeggiamenti per il decimo anniversario “) di Jã-Rg Bibow . Il saggio è amaro: l’Europa dell’euro ha contribuito – ragione della politica della Bce – agli squilibri finanziari mondiali (acceleratesi dal 1990, in parallelo con la nascita dell’euro) e rischia l’implosione. Per uscire, deve dire la parola fine alla politiche mercantilistiche ereditate dalla Germania, e dalla Bundesbank, e dare vita ad effettiva politica di bilancio comune orientata alla crescita.
Ritocchi al margine , quali il regolamento Ue 1060/2009 sulle agenzie di rating e il nuovo assetto europeo per la regolazione e la supervisione del settore finanziario, sono una combinazione di aspirina e sulfamidici – lo sostiene la stessa “Common Market Law Review” che non può certo essere tacciata di “euroscetticismo” – quando occorrono seri interventi chirurgici per ripensare aspetti politici ed economici dell’unione monetaria.
Prima che sia troppo tardi.
(Giuseppe Pennisi) 9 dic 2009 10:07
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento