giovedì 3 dicembre 2009

LA BRUTTA FINE DEGLI AIUTI Il Tempo 3 dicembre

LA BRUTTA FINE DEGLI AIUTI
Giuseppe Pennisi

Alcuni anni fa, Il Tempo è stato l’unico quotidiano italiano a sostenere la tesi che al Viminale sarebbe stato opportuno disporre di una squadra di economisti specializzati in analisi del terrorismo e nella messa a punto di strategie e tattiche per contenerlo fenomeno. In effetti, per un certo periodo si è visto Bruno Frey, dell’Università di Zurigo, uno dei massimi esperti europei in materia di economia del terrorismo varcare, di tanto in tanto, il portone del dicastero. In queste settimane, il nesso tra terrorismo ed economia è di nuovo alla ribalta. Da un lato, l’allarme terrorismo è tanto elevato che sono in corso “prove generale” di cosa fare in caso di attacchi a siti storici, a reti di trasporto ed ad altri possibili obiettivi di gruppi che intendano coniugare stragi con alto contenuto mediatico. Da un altro, i giornali e le televisioni sono pieni di notizie su attentati terroristici in Medio Oriente, nonché di minacce ai Paesi europei impegnati nell’area. Da un altro ancora, il saggio di Alessandro Orsini “Anatomia delle Brigate Rosse” (in uscita per i tipo di Rubettino) suggerisce che i germi del terrorismo “nostrano”, stanno lavorando (annidati dove meno se lo si aspetta).
L’ “economia del terrorismo” è un raggruppamento disciplinare riconosciuto in molte università americane ed europee ma ancora poco seguito in Italia. Ha compiuto molti progressi negli ultimi 30 anni. In una prima fase, ha avuto il suo centro all’Università di Chicago . Grazie ai lavori del centro sull’”economia del terrorismo” di Chicago è stato possibile simulare le strategie e le tattiche di dirottamento aereo e ridurne, nell’arco di meno di un lustro, il numero dei dirottamenti da 30 a circa due l’anno. Gli “economisti del terrorismo” di Chicago hanno pure sviscerato l’”effetto di sostituzione” : posto un argine ai dirottamenti aerei, i terroristi si sono rivolti ad altri comparti, che comportano costi maggiori e per essere attuati, necessitano di risorse molto più ampie e di risultati attesi molto più consistenti.
In tempi più recenti, l’Università della California del Sud è diventato il cenacolo più importante di studi di “economia del terrorismo”; la figura di spicco è Todd Sandler. I lavori degli ultimi anni coniugano la teoria dei giochi con l’economia dell’informazione e della comunicazione e con paradigmi tratti dall’analisi dei mercati finanziari. In Europa, il centro più importante è l’Università di Zurigo dove gli studi economici sul terrorismo sono guidati da quel Bruno Frey che è anche uno dei maggiori teorici dell’”economia della felicità”. Altri sedi di rilievo sono quelle guidate da Mats Lundhal della Università di Stoccolma e da Kurt Konrad della Libera Università di Berlino.
Quali alcune delle principali lezioni? In primo luogo, il contenimento del terrorismo è un “bene pubblico internazionale”, che non può essere fornito da uno solo Paese, e di cui si beneficia tutta la comunità mondiale. In secondo luogo, ciò implica vigilare su conti sospetti di “cellule” terroristiche dovunque esse siano; questa attività ha ramificazione per quanto riguarda la vigilanza bancaria. In terzo luogo, occorre ridurre la capacità di attrazione abbassando l’attenzione dei media ed aumentando, al tempo stesso, il costo opportunità ai terroristi, nonché “offrendo alternative” a potenziali reclute del terrorismo.
Aumentare gli aiuti a Paesi dove c’è terreno fertile per il terrorismo al fine di fare sì che gli aratri rimpiazzano le bombe? E’ la speranza di tante anime belle e della lobby della cooperazione allo sviluppo. Un’analisi pubblicata dal Centre for Economic Policy Research dimostra, sulla basa di teoria economica ed analisi empiriche, che si tratta di un’ipotesi errata: gli aiuti affinano le spade dei terroristi, dentro e fuori i confini nazionali.

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