L'avvocato dell'azienda Italia
Il timoniere dell’economia nei marosi dell’exit strategy
Roma, 30 dic (Velino) - Una premessa è d’obbligo: non faccio e non ho mai fatto parte dello staff o dei collaboratori del Prof. Avv. Giulio Tremonti, attualmente Ministro dell’Economia e delle Finanze. Abbiamo avuto una certa frequentazione negli Anni ’80 quando eravamo ambedue tra coloro che animavano il CESEC, un pensatoio liberal-socialista – ora si direbbe think tank e si utilizzerebbe l’ampolloso titolo di Fondazione (pur se senza dotazione, anzi alla sempreterna ricerca di fondi per pagare le bollette); il CESEC ebbe un certo ruolo nel plasmare le politiche di rientro dall’inflazione mantenendo un buon tasso di crescita che caratterizzarono quel periodo. Ci siamo incrociati in convegni su economia e diritto: una diecina di anni fa, dopo uno scambio di idee in un seminario, gli feci pervenire, su sua richiesta, un appunto sui problemi della previdenza tracciando possibili percorsi alternativi di riforma. In un passato non recente, ci siamo incrociati con una certa frequenza, ma per puro caso, perché l’abitazione dove vivo da trent’anni è prossima a quello che era il suo studio romano a Via Nicotera.
La premessa è tanto più necessaria perché in queste settimane è stato sollevato, in numerose occasioni, se, in un contesto internazionale ed interno come l’attuale, non sia più appropriato che porre il timone dell’economia e della finanza saldamente nelle mani di un economista piuttosto che di un avvocato, per di più esperto di questioni tributarie. In breve, può “l’uomo delle tasse” tirarci fuori dai marosi di una crisi la cui exist strategy ha contorni ancora incerti, meglio di quanto non potrebbe un broadly based economist (ossia un economista non specializzato in solo uno o due aspetti della triste scienza ma in grado di afferrarne tutte le complessità e di indirizzare sia il proprio staff sia i dirigenti del Ministero nel trovare soluzioni specifiche ai vari problemi)?
Ho esercitato la professione di economista per circa quattro decenni in Banca Mondiale, altri enti internazionali ed università americane ed italiane, e ritengo che c’è nel vero nel sostenere che un broadly based economist ha , di norma, la formazione per afferrare le varie sfaccettare di complessi problemi economici e finanziari di breve e medio-lungo periodo (ossia anche a carattere strutturale) meglio di un giurista, in particolare di un avvocato tributarista. Non mancano, naturalmente, eccezioni come testimoniano i Premi Nobel per l’Economia conferiti a giuristi quali (nel 1991) Ronald Coase (che rivoluzionò la teoria economica dell’impresa) e (nel 2009) a Oliver Williamson (che ha posto una pietra miliare in quello dello sviluppo delle economie complesse). In generale, tuttavia, gli economisti non tecnici sono meglio attrezzati di altri a vedere problemi macro e micro (e la loro interazione) e la connessione tra politiche di breve e medio termine e quelle strutturali. Mentre i giuristi, specialmente gli avvocati ed ancor di più gli avvocati d’impresa come i tributaristi, sono usi a studiare un cliente alla volta, ad assisterlo non solamente nei confronti degli altri (ivi compresa l’autorità tributaria e giudiziaria) ma anche e soprattutto rispetto a se medesimo, consigliandogli e se del caso imponendogli (con la minaccia del ritiro del patrocinio) comportamenti coerenti con le finalità che si vogliono raggiungere.
In questa fase, l’Italia ha maggiormente bisogno di un economista che sappia vedere come interagiscono micro e macro nonché breve e lungo termine, o di un avvocato che, di fronte a due tribunali (i mercati internazionali, le autorità dell’Ue e dell’unione monetaria) sappia portarla sul percorso del proprio riassetto, dando prova di poterlo fare meglio di altri Paesi, meno “attenzionati” (per utilizzare il gergo delle pandette) da mercati e da autorità poiché, sulla base dei trascorsi, ritenuti più affidabili? Ritengo, con buona pace di molti colleghi economisti, che i limiti attribuiti, a torto od a ragione, ai giuristi (ed in particolare agli avvocati), ne sono adesso il loro punto forte.
Un esempio si ha proprio in questi giorni. La Repubblica Ellenica ha un Presidente del Consiglio, George Papandreu, laureato in sociologia economica ma cresciuto negli ambienti del pensiero economico Usa, dove suo padre, Andreas, ha insegnato per decenni. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze George Papacostantinou ha studiato tra Londra e New York e conseguito un dottorato della London School of Economics (Lse, acronimo che economisti con meno galloni traducono sarcasticamente London School of Egomaniacs). Lo ricordo come simpaticissimo e bravo economista all’Ocse , dove ha lavorato dal 1988 al 1998. Il tandem dei due “Papa” non è in grado di convincere i mercati (e le autorità dell’Ue e dell’unione monetaria) della loro capacità di tenere le briglie della finanza pubblica ellenica e di frenare i loro collaboratori in quella che sembra, a torto o a ragione, essere un’inarrestabile tendenza a taroccare i conti, venendo quasi sempre scoperti e pubblicamente sculacciati.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento