lunedì 21 dicembre 2009

Come prevenire gli attentati: l' "economia del terrorismo" Ffwebmagazine 21 dicembre

Dagli studi di Pellicani a un recente libro di Alessandro Orsini
Come prevenire gli attentati:
l' "economia del terrorismo"
di Giuseppe Pennisi
La bomba alla Bocconi, il plico eversivo al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca, le frasi inneggianti a Tartaglia sui muri dell’Università di Roma , gli appelli su internet a seguire l’esempio dell’attentatore al presidente del Consiglio mostrano che il paese è di nuovo alle prese con un’ondata di terrorismo, fomentato non solamente dai “cattivi maestri” ma anche da imbonitori televisivi. Anzi, i “cattivi maestri” di un tempo si sono trasformati in imbonitori televisivi; i prima avevano di solito titoli accademici pure di rango (anche se sovente tali titoli erano accompagnati da menti distorte), i secondi sovente hanno solo menti (più o meno) distorte. È un terrorismo con una matrice fortemente ideologica. La esaminò Luciano Pellicani in due libri (I rivoluzionari di professione e La società dei giusti) , rispettivamente del 1975 e del 1995, tracciando le origini nell’eresia gnostica del II e III secolo dell’Era Cristiana. Un lavoro nuovo di zecca di Alessandro Orsini (Anatomia delle Brigate Rosse - Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario, Rubettino) apporta un contributo originale (pur recependo le analisi di Pellicani). Analizza come spiegare il terrorismo in paesi democratici e prosperi (dove l’opposizione, o le opposizioni hanno voce in capitolo e i livelli medio di reddito sono elevati), non dove c’è un’occupazione straniera (e si combatte per la liberazione) o è in corso un rivoluzione. Sulla base di una documentazione inedita, Orsini dimostra come il terrorismo “ideologico” striscia, come un fiume carsico, sotto la superficie della società occidentale, è difficile da affrontare, è irrazionale e può risorgere in qualsiasi momento. Cosa può fare in materia, l’ “economia del terrorismo”, un raggruppamento disciplinare riconosciuto in molte università americane ed europee ma ancora poco seguito in Italia? Ha compiuto molti progressi negli ultimi 30 anni. In una prima fase, ha avuto il suo centro all’Università di Chicago. Grazie ai lavori del centro sull’”economia del terrorismo” di Chicago è stato possibile simulare le strategie e le tattiche di dirottamento aereo e ridurne, nell’arco di meno di un lustro, il numero da 30 a circa due l’anno. Gli “economisti del terrorismo” di Chicago hanno pure sviscerato l’”effetto di sostituzione”: posto un argine ai dirottamenti aerei, i terroristi si sono rivolti ad altri comparti, che comportano costi maggiori e per essere attuati, necessitano di risorse molto più ampie e di risultati attesi molto più consistenti. In tempi più recenti, l’Università della California del Sud è diventato il cenacolo più importante di studi di “economia del terrorismo”; la figura di spicco è Todd Sandler. I lavori degli ultimi anni coniugano la teoria dei giochi con l’economia dell’informazione e della comunicazione e con paradigmi tratti dall’analisi dei mercati finanziari. In Europa, il centro più importante è l’Università di Zurigo, dove gli studi economici sul terrorismo sono guidati da quel Bruno Frey che è anche uno dei maggiori teorici dell’”economia della felicità”. Altri sedi di rilievo sono quelle guidate da Mats Lundhal della Università di Stoccolma e da Kurt Konrad della Libera Università di Berlino.Quali alcune delle principali lezioni? In primo luogo, il contenimento del terrorismo è un “bene pubblico internazionale”, che non può essere fornito da uno solo paese, e di cui si beneficia tutta la comunità mondiale. In secondo luogo, ciò implica vigilare su conti sospetti di “cellule” terroristiche dovunque esse siano; questa attività ha ramificazione per quanto riguarda la vigilanza bancaria. In terzo luogo, occorre ridurre la capacità di attrazione abbassando l’attenzione dei media e aumentando, al tempo stesso, il costo opportunità ai terroristi, nonché “offrendo alternative” a potenziali reclute del terrorismo. L’”economia del terrorismo” è riuscita a fare molto nei confronti della prevenzione del terrorismo, come quello islamico, basato sul risentimento nei confronti di chi oggi è tecnologicamente ed economicamente sviluppato rispetto a chi era all’avanguardia della tecnologia, della scienza, della cultura e del reddito mille anni fa. Il terrorista anti-sistema – scrive efficacemente Orsini – «è un uomo perduto in partenza. Non ha interessi propri, affari privati, sentimenti, legami personali, proprietà, non ha neppure un nome. Un unico interesse lo assorbe e ne esclude ogni altro, un unico pensiero, un’unica passione – la rivoluzione». 21 dicembre 2009

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