Carmen senza passione
Di Giuseppe Pennisi
Teatro Non convince la lettura della regista palermitana Dante per l'inaugurazione della Scala
La protagonista ha una voce ancora verde, buona la direzione di Barenboim
Un'inaugurazione in linea con la tradizione quella del Teatro alla Scala, che ha rispettato la scelta di aprire la stagione con un'opera conosciuta, ossia Carmen di Georges Bizet. Lo spettacolo andato in scena per la prima ieri sera, è stato però affidato a una regista proveniente dal teatro di sperimentazione e a un cast in gran misura giovane. Tutto politically correct, insomma, ma che lascia perplessa la critica. Carmen è una delle opere più rappresentate al mondo e la Scala, che è un teatro che ambisce a un primato nazionale e internazionale, dovrebbe proporre una produzione fuori dall'ordinario ed esemplare, ossia tale da segnare una pietra miliare per altri templi della lirica nel mondo. Invece si è alle prese con una produzione discutibile, soprattutto sotto il profilo della drammaturgia.
Per la regista Emma Dante e lo scenografo Richard Peduzzi l'azione sembra incentrata invece che a Siviglia, in un quartiere povero di Palermo, gremito di picciottelli in slip bianchi, piacenti operaie agghindate con sottovesti immacolate, immagini sacre, preti, monache, altarini, processioni e servizi religiosi in scena, dove è sempre presente, pur se in varie guise, l'immagine della morte. L'allestimento è infarcito fino allo spasimo di simboli (soprattutto religiosi), tra cui mimi, omaggi al neo-realismo onirico pasoliniano, accenni alla lotta di classe e così via. Tutto ciò appesantisce l'opera di Bizet. Inoltre, nonostante le scene di violenza e lo stupro finale (non previsto dal libretto), il carico passionale della musica risulta decisamente smorzato. È auspicale che l'allestimento venga snellito per le riprese che avranno luogo dal 28 ottobre al 18 novembre 2010. Ora lo spettacolo è in scena fino al 23 dicembre 2009.
Dal punto di vista musicale, la direzione di Daniel Barenboim offre una Carmen che utilizza l'edizione critica di Robert Didion, con i recitativi parlati e i tempi dilatati (lo spettacolo dura 4 ore), ma l'orchestra ha un suono rotondo e c'è spazio per i solisti (magnifico il flauto nell'introduzione al terzo atto). In breve è stata data una lettura orchestrale esemplare, con la tinta giusta di una Spagna vista da stranieri. Sotto il profilo vocale, Erwin Schrott e Jonas Kaufmann (che, in un'intervista, ha espresso riserve sullo spettacolo) sono un Escamillo e un Don José rodati e pieni di esperienza. Un dvd del 2006 dimostra le doti di Kaufmann affiancato da un cast e da una produzione appropriati. Carmen è Anita Rachvelishvili, giovane, bella e brava attrice, ma ancora un po' verde vocalmente. Nella Habanera l'alternanza tra Re maggiore e Re minore viene presentata in modo sbiadito. Micaela di Adriana Damato è un soprano lirico dal timbro chiaro, ma dalla voce piccola. Buono il resto del cast, specialmente i numerosi caratteristi (in particolare Michèle Losier e Adriana Kucerová). Lodevole anche la dizione francese di quasi tutti i protagonisti. A sostituire Kaufmann, malato per l'anteprima, non è stato scelto, come nelle tradizioni scaligere, un tenore rodato, ma Riccardo Massi, altro giovane debuttante dell'Accademia, fidanzato della Rachvelishvili. È stata una scelta incauta quella di esporlo al pubblico della Scala: è goffo, ha un timbro poco gradevole e un volume insufficiente per le dimensioni del teatro. (riproduzione riservata)
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