Domani, giovedì 6 settembre , l’organo di governo della Banca centrale europea (Bce) dovrà decidere se proseguire nel tracciato (in corso da mesi) di ravvicinamento graduale tra i tassi direttori americani ed europei (il che implica un incremento di quelli nell’area dell’euro) o se concedere a sé stessa ed ai mercati una pausa, dopo un agosto caratterizzato da bruschi alti e bassi sulle piazze azionarie (conseguenza della crisi dei titoli “strutturati” in gran misura di marca Usa). Per la prima da quando la Bce ha cominciato ad operare, il suo Presidente Jean-Claude Trichet , non ha partecipato all’incontro annuale dei Governatori delle Banche centrali, ospitato ogni anno, a cavallo tra fine agosto ed inizio settembre, a Jackson Hole nella Wyoming, dalla Banca Federale di Kansas City. E’ un segnale eloquente della riflessione in corso in seno al Consiglio Bce e dei contatti continui tra i suoi componenti e tra questi ultimi e gli altri banchieri centrali.
Come sempre in situazioni del genere, si confrontano due partiti: i “falchi” (che chiedono di proseguire sul percorso già iniziato anche in quanto i dati sull’inflazione di base, ossia escludendo i prodotti alimentare ed energetici, darebbero segnali in tal senso) e le “colombe” (che , invece, sostengono le necessità di aggiornare ad ottobre l’analisi del problema dell’incremento o meno dei tassi al fine di capirne di più dagli andamenti nelle prossime settimane). Tanto i “falchi” quanto “le colombe” concordano su un punto (argomentato molto bene in working papers del servizio studi Bce che verranno pubblicati tra qualche settimana): non soltanto in agosto gli interventi della Bce sono stati più ampi e meglio mirati di quelli della Fed (le autorità monetarie americane) ma né l’economia internazionale né quella europea fanno difetto di liquidità in termini aggregati.
E’ questo punto che merita attenzione da parte dei componenti italiani del Consiglio Bce anche nella consapevolezza che dato lo stock del nostro debito pubblico un aumento dei tassi vorrebbe dire un incremento del costo del suo ammortamento e rimborso e, quindi, nuove falle dei conti pubblici; il Governo (incapace di ridurre la spesa) cercherebbe di chiudere ponendo fine al cosiddetto armistizio fiscale. In breve nuove tasse (o esplicite o mascherate).
In mondo in cui circolano migliaia di miliardi di dollari di finanza strutturata e di fondi sovrani di Paesi emergenti (Opec, Cina, e via discorrendo), ampia liquidità a livello aggregato e macro-economico non vuole necessariamente dire disponibilità di liquidità in singoli mercati (o territoriali o settoriali). In effetti, negli ultimi anni ad un singolo mercato finanziario sono succeduti vari mercati frammentati e segmentati la liquidità di ciascuno dei quali (lo dimostra un lavoro teorico ed empirico acuto di Kervin Warsh, uno dei Governatori della Fed) dipende dal “grado di fiducia” tra i soggetti economici e finanziari che vi fanno parte. La crisi del subprime , dei Cdo e della finanza strutturata in generale – argomenta efficacemente Kevin Davies della Università di Melbourne- ha dato un grave colpo alla “fiducia” di famiglie, imprese, fondi e così via, nel mercato del credito immobiliare negli Usa e altrove.. Le rilevazioni di JP Morgan e di Goldman Sachs suggeriscono, nel mercato del credito immobiliare, un vero e proprio aumento in progressione geometrica dell’avversione al rischio.
Non basta una “pausa” nei rialzi graduali Bce a risolvere l’insieme di questi problemi. Tuttavia, un incremento (anche modesto) dei tassi adesso – oltre a volere dire pressione fiscale aggiuntiva per gli italiani – non potrebbe non avere altro effetto che quello di accelerare la crescita dell’ avversione al rischio in vasti segmenti del mercato. E di ritardare il ritorno alla normalità.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento