”Teneke”di Fabio Vacchi è uno degli spettacoli musicali più importanti del 2008. L’inconsueto titolo si riferisce ai tamburi di latta con cui i contadini della Anatolia rurale accompagnano i loro canti. Yasar Kemal, uno dei maggiori scrittori turchi del Novecento, ha intotalato allo strumento un suo romanzo di successo del 1955 da cui Franco Marcoaldi ha tratto un dramma in musica composto da Fabio Vacchi (uno dei musicisti italiani più noti anche all’estero che con la regia di Ermanno Olmi e le scene di Arnaldo Pomodoro ha debuttato il 22 settembre alla Scala (dove resterà in scena sino al 4 ottobre). Una “prima” che per importanza ricordava le inaugurazioni della stagione a Sant’Ambrogio: fuori abbonamento, teatro esaurito da mesi, molti critici e manager teatrali stranieri in Sala. Il lavoro è stato composto guardando non soltanto all’Italia ma soprattutto al vasto e crescente pubblico di Germania, Francia, Stati Uniti e soprattutto Asia , affatto di teatro lirico moderno, ma al tempo stesso facilmente ascoltabile.
Alla “prima” era presente tutta la sinistra d.o.c. ; non mancavano, naturalmente, esponenti dell’industria e della finanza (tra cui i grandi sostenitori della Scala). Con una buona dose di approssimazione, nell’intervallo un musicologo ex-Pci (affiancato da un ex-procuratore d’assalto ora in politica attiva) definivano “Teneke” come “la prima importante opera marxista del 21simo secolo e si auguravano il suo viaggio nei vari teatri del mondo risvegliasse le coscienze; riferimenti espliciti anche a future rappresentazioni all’Opéra di Parigi innescassero rivolte anti-Sarkozy.
Andiamo con ordine.“Teneke” è un lavoro accattivante: coniuga un forte senso del teatro con una scrittura musicale ed orchestrale rivolta più al “Novecento Storico” (a esempio a “Les Dialogues des Carmélites” di Poulenc) che alla contemporaneità più sfrenata (a cui il grande pubblico è refrattario). In 20 rapide scene presenta la lotta sociale dei contadini della Anatolia degli Anni 50 contro i latifondisti, nell’ambito di un programma di trasformazione agricola in cui il villaggio dei contadini viene allagato, le culture tradizionali e l’acqua stagnante diffonde la malaria. Un giovane prefetto tenta di opporsi , ma viene calunniato e richiamato al Ministero . Nonostante la sconfitta, si avverte il riscatto sociale nel suono dei teneke (nella parte più alta del palcoscenico) e (in buca) nelle percussioni , nei fiati e negli ottoni del breve poema sinfonico che con grande impatto stereofonico conclude l’opera. E’ un dramma di sinistra, anzi di ispirazione marxista? Ove lo fosse, lo sarebbero ancora di più “Ernani” di Verdi e “Cavalleria Rusticana” di Mascagni, per non parlare dei “Carmina Burana” di Orff (compositore di corte della Germania Nazista che li compose per una celebre adunata a Norimberga).
Non sappiamo per chi vota Fabio Vacchi (e francamente non ci interessa); i suoi lavori per la scena sono stati principalmente a carattere intimista e riguardano tematiche dei rapporti tra coppie e tra padri e figli che non sono né di destra né di sinistra. E’ certamente errato definire di sinistra il cattolico Ermanno Olmi (spesso discriminato perché considerato “controcorrente”, ove non uno colui che “rema contro”). Ed così facilmente classificabile “di sinistra”, anzi marxista, il principe degli scultori Arnaldo Pomodoro?
Veniamo, poi, alla trama. Il giovane prefetto si oppone ai latifondisti con la forza della legge (che nel caso specifico è contraria all’oligopolio collusivo di questi ultimi, quindi liberale). I contadini, pure loro, vogliono un assetto di libertà contro una burocrazia corrotta sin troppo simile a quelle che imperavano nei Paesi del “socialismo reale”. Non preoccupa tanto l’interpretazione artata (drammaturgica e musicale) che viene data al lavoro quanto il tentativo di una sinistra sconfitta dalla Storia che tenta di riacquistare l’egemonia di un tempo. E’ responsabilità, però, anche della cultura di centro-destra lasciata spesso a cincischiare in conventicole senza che il livello politico le presti adeguata attenzione.
Due parole su “Teneke”. Sotto il profilo drammaturgico, le due parti del lavoro sono incalzanti come i film di Franco Rosi e di Luchino Visconti su tematiche analoghe. Molto efficace la scenografia: un’Anatolia arsa dal sole e della polvere nella prima parte ed una montagna di fango nero, intramezzata da acquitrini, nella seconda.
La scrittura musicale fonde un sinfonismo continuo per vasto organico, distillati di musica etnica e cadenze solistiche per violino e violoncello. Roberto Abbado guida con perizia l’orchestra della Scala. Interessante la scrittura vocale: il declamato ai margini dello sprechensang ed il melologo si sciolgono in insieme a cappella, ariosi ed anche arie di coloratura sempre contrappuntanti dal coro.
Guidato da Mauro Casoni, il coro è il protagonista sia dell’azione scenica sia della parte musicale. Dei numerosi solisti occorre ricordare Steve Davislim (un tenero leggero nel ruolo del giovane prefetto), Rachel Harnisch (un soprano da coloratura in quello della sua fidanzata), Anna Smirnova (un mezzo soprano verdiano a capo degli gli insorti) e Nicola Ulivieri (un baritono di agilità, alla guida dei latifondisti).
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