domenica 9 settembre 2007

ADRIANO IN SIRIA

Festival Pergolesi Spontini
ADRIANO IN SIRIA

Opera seria in tre atti di Pietro Metastasio
Musica di Giovanni Battista Pergolesi


Con la penultima delle quattro opere serie, nel 1734 il ventiquattrenne Pergolesi, già malaticcio, si cimenta, a due anni dalla prematura morte, con un testo di Metastasio (poeta di corte per eccellenza) già messo in musica da Caldara, Duni, Hasse e Galuppi e molti altri ripreso successivamente ancora da altri compositori sino all’inizio dell’Ottocento. Pergolesi sarebbe tornato ad un testo di Metastasio, l’anno seguente, componendo per il Teatro di Tor di Nona di Roma L’Olimpiade . Adriano in Siria venne presentata al Teatro San Bartolomeo di Napoli in occasione del compleanno della madre del Re Carlo III (per il quale il Vanvitelli architettò e costruì la Reggia di Caserta) , da poco asceso al trono ad appena 18 anni. Concepita, quindi, come opera celebrativa (sul tema sempreverde della clemenza del sovrano) per un’occasione pure essa celebrativa. L’opera, inoltre, era articolata sul fatto che l’impresario del San Bartolomeo aveva scritturato per due anni uno dei castrati più noti e più gettonati dell’epoca, Giovanni Majorano (in arte Caffarelli). Nonostante la popolarità ed il richiamo di Caffarelli, il successo – pare – fu tiepido; occorre pensare che lo spettacolo durava oltre sei ore a ragione anche dell’intermezzo in due parti ( Livietta e Tracollo ovvero La contabile astuta) che in effetti costituisce una breve opera semi-seria a è stante ed ebbe, invece, un immediato riscontro dal pubblico. C’era anche l’esigenza di lunghi recitativi pure per consentire agli ospiti di banchettare tra un’aria e l’altra . Non si ha notizia di riprese dell’opera nel Settecento. In tempi moderni, il lavoro è stato ripreso al Maggio Musicale Fiorentino nel 1986; dirigeva Marcello Panni e Daniela Dessì era in uno dei ruoli principali. La registrazione (edita da Bongiovanni) indica che, pur utilizzando l’edizione curata da Dale E. Monson, vennero soltanto in parte seguite quelli che ormai sono diventati “precetti” per mettere in scena un’opera barocca (specialmente per quanto riguarda l’organico orchestrale). Anche se a Panni si devono altre incursioni nel repertorio pergolesiano, il barocco non è il campo in cui dà il meglio.
Ai fini della edizione pergolesiana del 1734, il testo metastasiano venne rivisto, probabilmente per consentire a Caffarelli di dare sfoggio delle sue straordinarie qualità vocali; la revisione comportò interpolazioni sia da altri lavori del Metastasio sia da testi di altri autori. La scarsa attenzione ricevuta da Adriano indusse Pergolesi a riversarne ben cinque arie, l’anno dopo, nella più fortunata L’Olimpiade . Le copie disponibili della partitura lasciano molti dubbi sull’orchestrazione, in particolare sul basso continuo che accompagnava i recitativi (a Napoli veniva rafforzato dalla tioba). Ovviamente, nulla si sa degli abbellimenti affidati all’inventiva ed alle capacità dei singoli solisti (per l’occasione dominati da Caffarelli) . L’edizione curata da Dale E. Monson (seguita anche a Jesi) prende in considerazione soltanto i trilli più ovvii. A Jesi, inoltre, sono stati apportati alcuni tagli (due arie e vari accorciamenti nei recitativi) per far sì che l’opera (rappresentata con un solo intervallo) durasse leggermente meno di tre ore (intervallo compreso).
Occorre comunque chiedersi quanto Pergolesi facesse proprio questo dramma metastasiano: la musica è gradevole ed elegante, ma piuttosto distante (come se l’azione scenica fosse molto meno sentita di quanto non lo sarà , un anno dopo, quella de L’Olimpiade ) Ci sono pagine innovative , come l’aria per due orchestre Torbido in volto e nero e l’aria Lieto così talvolta ove partendo da un’atmosfera bucolica tradizionale si arriva quasi alle soglie del “bel canto” belliniano. Un duetto L’estremo pegno almeno ci porta su un sentiero di intimismo forse più congeniale al compositore di quanto non fossero altre dimensioni di spettacoli celebrativi.
Adriano in Siria esalta le virtù morali e politiche riferite alla magnanimità dell’uomo di governo nella persona di Carlo III ; è un invito al giovane Re appena assurto al trono di fare proprie le virtù romane (quali percepite nel Settecento della letteratura “alta”). Caffarelli aveva il ruolo del primo uomo Farnaspe (rivale in amore , ed in politica, dell’Imperatore Adriano). La vicenda è liberamente ispirata alle leggende sulla vita dell'imperatore Adriano come raccontate dagli storici romani Cassio Dione Cocceiano ed Elio Spartiano. Metastasio ne scrisse il libretto prendendo spunti e idee sui dialoghi da alcuni autori francesi che lo avevano preceduto (Racine, Quinault e Corneille), nonché il senso drammatico di alcune scene dall’opera Alessandro Severo di Apostolo Zeno, il poeta imperiale suo predecessore a Vienna. Ben 22 sono le produzioni che si contano di questo libretto metastasiano prima che Pergolesi componesse il proprio Adriano, rimodellandolo, ovviamente, alle esigenze celebrative del caso e al cast per la prima napoletana. Sarebbe pleonastico addentrarsi nel labirinto del libretto.
Il giovane regista Ignacio García, artista madrileno emergente poco più che trentenne, regista di questo nuovo allestimento (che andrà ad un importante festival in Spagna prima di tornare in Italia), così racconta la propria lettura dell’opera: “Questo Adriano in Siria è la storia di un uomo e di un Impero che credono nella guerra, nelle carceri e nella distruzione come mezzo per ottenere un mondo più giusto ed in armonia con se stesso. Ma il protagonista scopre che sul campo di battaglia non ci sono vincitori e vinti: ci sono solo vittime. In mezzo alle rovine del mondo civile, i personaggi si rifugiano nell’amore, nel desiderio, nella angoscia dei sentimenti per sentirsi vivi e dimenticare l’angoscia che tutto sommerge. La rovina, la polvere, il dolore e l’assurdo di un essere umano che uccide, imprigiona o vendica affiorano nei personaggi attraverso le musiche meravigliose, afflitte e psicologicamente profonde di Pergolesi, capaci di racchiudere la tristezza dei prigionieri, la falsa giustizia dei vincitori e la vendetta dei vinti. Attraverso il canto tutti urlano il proprio dolore, violento o compresso, aggressivo o sublimato. La scena è il campo di battaglia dei sentimenti, delle frustrazioni e delle aspirazioni. Tra il carcere e le gabbie, tra le catene e gli uccelli imprigionati, i personaggi si scoprono a se stessi, combattono, amano e arrivano tutti alla stesa conclusione: dulce bellum inexpertis, la guerra può essere bella soltanto per coloro che non la vivono mai”. Questa lettura, per così dire, “bellica” è accentuata dalle scene e costumi di Zulima Memba Del Olmo e dalle luci curate, oltre che da Garcìa, da Fabrizio Gobbi. Siamo in un campo dove c’è stata una cruenta battaglia, tra colonne semi-crollate, teschi ed uccellacci in una scena essenzialmente buia. I costumi ci portano ad una Siria primitiva (dove i Pàrti vestono pelli di animali ed i romani acconciature più adatte agli Indios latino-americani). Tale lettura dell’azione scenica (peraltro presentata con tutta la cura del caso nel seguire i dettagli del libretto) lascia perplessi per due ordini di motivi. In primo luogo, nella partitura di Pergolesi, mancano gli echi guerreschi: il giovane compositore era chiaramente molto più interessato all’intrigo amoroso delle due coppie al centro del dramma che all’atmosfera di contorno. Ove si fosse voluto ricostruire (in qualche modo) lo spettacolo del 1734 l’ambientazione sarebbe dovuta essere o settecentesca (come provano le litografie dell’epoca che accompagnano le edizioni a stampa dei lavori del Metastasio) oppure chiaramente moderna. Si sarebbero potuti utilizzare costumi settecenteschi di repertorio (ad esempio quelli del Don Giovanni jesino di un anno fa) e proiezioni digitali degli appartamenti reali e dei giardini della Reggia di Caserta. L’azione drammatica sarebbe stata molto più prossima a quanto avviene in buca d’orchestra ed alla parte vocale.
Molto più interessanti, e di ben altro livelli, gli aspetti musicali. L’interpretazione della partitura è affidata a Ottavio Dantone alla guida dell’Accademia Bizantina con strumenti il più possibile simili a quelli d’epoca. Dalla sinfonia tripartita (allegro assai e spiritoso, amoroso, andante) avvertiamo che siamo nel clima in gran misura intimista pergolesiano. Le concertazione è tersa (pur concedendo spazio ai virtuosismi vocali) ed indica come con il Pergolesi “serio” sia già iniziata la transizione verso un nuovo tipo di teatro in musica italiano verso qualcosa molto vicino alla “tragédie lyrique”– transizione rimasta in gran misura incompleta a ragione della sua morte a 26 anni. Ottimi i solisti, specialmente il primo oboe.
Le voci sono quasi tutte femminili per i tanti ruoli en travesti presenti nell’opera pergolesiana, anche perché Farnaspe, parte scritta per Caffarelli è interpretato non da un controtenore ma dal soprano ucraino Olga Pasichnyk. Un’interpretazione davvero esemplare sin dall’aria di apertura Sul mio cor so ben qual sia sino alla grande aria Torbido in volto e nero al duetto (già citato) che precede il finale. La Pasichnyk è anche fisicamente credibile come un ragazzo torturato da gelosia e da passione. Arricchisce la parte con abbellimenti, vocalizzi e trilli (che sembrano andare al di là della più contenuta edizione Monson). Inoltre, la dizione italiana è perfetta (tanto nei recitativi quanto nelle arie di cui si può comprendere ogni parola). Altra scoperta è l’americana Nicole Heaston nel ruolo di Sabina (promessa sposa di Adriano), un soprano lirico puro dal fraseggio perfetto e dal registro ampio, nonché con la capacità di ascendere a tonalità alte e discenderne con estrema facilità (ad esempio nell’aria Digli che è un infedele), nonché di arricchire con abbellimenti senza difficoltà di emissione e con una dizione italiana puntualissima. Marina Comparato è l’Imperatore romano; da anni specialista del repertorio barocco e dei ruoli en travesti; è un Adriano innamorato di due donne (in parallelo) che acquista nelle scene finali (ad esempio in Fra poco assisto in trono) l’autorevolezza saggia di chi ha responsabilità di governo. Il mezzosoprano Lucia Cirillo veste i panni della principessa Emirena (prigioniera dei romani, innamorata di Farnaspe ma di cui Adriano si è invaghito): ha un timbro trasparente e chiaro (risplende nell’aria di apertura Prigioniera abbandonata). Al mezzosoprano Francesca Lombardi è affidata la parte del Tribuno Aquilio efficace nell’aria Vuoi punir l’ingrato amante? e nei numerosi duetti e terzetti Carlo Allemano , solido bari tenore attivo più all’estero che in Italia, è Osroa, il re dei Parti sconfitto da Adriano; un precursore, se vogliamo, del verdiano Amonasro; spicca nell’aria di agilità Leon piegato a morte”


Jesi Teatro Pergolesi 7 settembre 2007
Giuseppe Pennisi
LA LOCANDINA
ADRIANO IN SIRIA
Opera seria in tre atti di Pietro Metastasio

Regia Ignacio Garcìa
Scene e costumi Zulima Memba del Olmo
Luci Ignacio Garcìa , Fabrizio Gobbi
Direzione Musicale. Ottavio Dantone
Orchestra: Accademia Bizantina

Adriano Marina Comparato
Emirena…………………………….Lucia Cirillo
Fasnaspe…………………………….Olga Pasichnyk
Sabina……………………………….Nicole Heaston
Osroa………………………………..Carlo Allemmano
Aquilio ……………………………..Francesca Lombardi

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