lunedì 3 settembre 2007

LA BELLEZZA RAVVEDUTA

Sagra Malatestiana
LA BELLEZZA RAVVEDUTA
O IL TRIONFO DEL TEMPO E DEL DISINGANNO
Opera in due atti del Cardinal Benedetto Pamphili
Musica di Georg Friderch Händel

Quando circa tre anni, l’Opera di Zurigo cercava idee per nuovo allestimento, a basso costo e tale da attirare un pubblico giovane, progettò di mettere in scena (attualizzando la vicenda ed utilizzando costumi moderni) un oratorio di Händel che in Italia aveva avuto la “prima” , e forse unica , esecuzione scenica il 14 maggio 1707 a Palazzo Pamphifili a Roma. In Italia era stato ripreso (se ne ricorda una bella produzione all’Accademia di Santa Cecilia nell’Auditorium di Via della Conciliazione) solo rare volte. Il libretto originale era del Cardinal Pamphili –esteta raffinatissimo (il suo sonetto Poveri fiori/destra crudel vi coglie è ancora un brano da antologia). Il lavoro aveva avuto una buona fortuna nel Settecento. Pur creato con l’intenzione che venisse eseguito una sera soltanto, era stato successivamente tradotto in inglese ed adattato (nonché ampliato) da Thomas Morell; dunque, rappresentato in forma scenica nel 1737 e nel 1757 al Covent Garden con il titolo The Triumph of Time and Truth. Era, quindi, indubbiamente caro a Händel che ci lavorò a più riprese nell’arco di cinquant’anni. Nel Settecento, ha avuto successo a giudicare del numero di repliche di cui si ha traccia. Prima della versione teatrale inglese, Händel, da abile impresario, ne aveva riversato alcune parti in “Agrippina”, “La resurrezione”, “Rinaldo”, “Almira” e “Giulio Cesare in Egitto” ed aveva anche preso “in prestito” brani da altri musicisti del Nord Europa non conosciuti a Roma. La parte più nota del “Giulio Cesare” (la scena della seduzione resa famosa da Beverly Sills negli Anni Sessanta quando rilanciò il lavoro alla New York City Opera) proviene quasi interamente dall’oratorio.
A Zurigo , un aspetto che attirava la Sovrintendenza, era farne un altro e nuovo trionfo per Cecilia Bartoli. La Bartoli, però, si ammalò; ciò nonostante, Il Trionfo è nel repertorio del teatro da alcuni anni ed è uno dei maggiori successi per la fascia di pubblico tra i 30 ed i 40 anni. Viene pure messo in scena in vari teatri tedeschi.
Il testo dal Cardinal Pamphili segue il canone degli oratori quaresimali. E’ un’allegoria della fugacità della bellezza fisica terrena con solo quattro figure: la Bellezza (soprano), il Piacere (mezzo-soprano), il Disinganno (contralto) e il Tempo (tenore). Richiede un organico ridotto – diciotto orchestrali compreso il maestro concertatore al cembalo (tipica orchestra da concerto grosso con enfasi sugli archi – violini, violoni, viole, contrabbassi- e due oboi- nonché un organo). In complesso, quattro solisti ed un piccolo organico erano perfetti per una serata nel salone di Palazzo Pamphili, coniugata con una raffinata cena ed una buona dose di corteggiamenti e gossip politico in un’inizio del Settecento in cui, nella Roma papalina. sesso e politica erano intrecciati.
Il Piacere (molto carnale, ma i Cardinali del Settecento dovevano mostrare il peccato in tutte le sue sfaccettature anche al fine di poter fare risplendere la virtù) tenta la Bellezza, mentre il Tempo ed il Disinganno la avvertono che tale percorso la porterà solo a corruzione, imbruttimento e morte. Se la Bellezza vuole evitare il degrado e la distruzione dell’avvenenza che il Tempo porta con sé, deve aspirare all’Eternità (con la maiuscola) che si ha soltanto in Cielo (dove il Tempo non ha influenza). In un confronto finale con il Piacere, la Bellezza , ormai “ravveduta”, sceglie “lo specchio della verità” ed un’esistenza terrena virtuosa in preparazione dell’al di là.
Secondo il musicologo Huub van der Linden, il Cardinal Pamphifili avrebbe raffigurato nella “Bellezza Ravveduta” Maria Maddalena, oggetto, peraltro, di altri suoi scritti. Secondo altri autori, il Cardinale si sarebbe, invece invaghito, del bel giovane sassone di cui era diventato protettore nella “dolce vita” di una Roma che aveva messo dietro le spalle la Controriforma e se la voleva spassare. Pure a ragione delle sue belle fattezze e della sua eleganza, il 22nne Händel – ci ricorda un saggio di Carlo Vitali – era coccolato, nella Roma del primo Settecento, da principi-banchieri, monsignori e belle dame; poteva permettersi di tutto e di più. Il gossip settecentesco parla di qualche strano avvenimento nei giardini di Villa Celimontana dove il giovane tedesco si era appartato con una nobildonna ma sarebbe stato colto sul fatto da un prelato che avrebbe tentato di trasformare il duetto in terzetto – con conseguente fuga di Händel dalla Città Eterna.
Cosa può interessare di questo pistolotto moraleggiante (ma molto sensuale) ai giovani del primo scorcio del 21simo secolo? Il testo di Sua Eminenza – lo si è appena detto – è denso di doppi sensi e di ambiguità, con dimensioni anche bisessuali – nella scena del Palazzo del Piacere (alla fine della prima parte), Bellezza diventa “un leggiadro giovinetto” circondato da altri “leggiadri” “giovanetti erranti”). La partitura di Händel è lussureggiante ed incastra nel lavoro (non la consueta serie di “arie con da capo” dei canoni degli oratori settecenteschi) ma una sinfonia/ouverture tripartita come un concerto grosso (allegro-adagio-allegro), una sonata per organo, un aria in forma di minuetto, un’altra in preludio e fuga, una serie di duetti, due quartetti, splendidi ritornelli all’interno delle arie (una vera novità nella Roma dell’epoca) e altre chicche. E’solamente la partitura di un Händel, ancora giovane , ad attirare il pubblico giovane all’oratorio messo in scena con le convenzioni moderne del teatro in musica? In effetti, nonostante il testo sia un apologo morale, ad una lettura contemporanea pare che il Cardinal Pamphili ed il sassone abbiamo complottato per anticipare (quasi di un paio di secoli) quella rapsodia alla “stagione che non ritorna” che è alla base de “La Bohème” di Giacomo Puccini inscenandola, però, non in una Parigi da cartolina ma in una Roma caratterizzata da un barocco eterno – da Cellini a Fellini- in cui genio ed aspirazione alla trascendenza sono inevitabilmente collusi con sregolatezza. A Zurigo, la versione scenica lo rende un gioco di coppie in blue jeans. Il regista Denis Krief ne vede “il dramma del lifting che ossessiona la nostra vita quotidiana”- “restare belli e giovani per continuare a piacere” ma “piacere a chi?”. Al Teatro degli Atti di Rimini siano nella Roma-da-bere o della Milano-che-può dove domina la conversazione elegante (prima di finire sotto le lenzuola).Nel suggestivo ambiente (il salone ancora in rifacimento di un convento), Krief ci porta in una sala da pranzo che potrebbe essere ai Parioli a Roma o a Corso Venezia a Milano. I quattro protagonisti indossano abiti da sera firmati delle collezioni invernali 2007-2008. A tavola ci sono due coppie; testimone muto un cameriere. Una delle due coppie (Tempo e Disinganno) è eterosessuale; l’altra (Bellezza e Piacere) legata da un legame saffico. Si cena (pinzimonio alle acciughe, astice con quenelles di fagioli, gazpacho con branzino, paccheri ai fiori di zucca , nella prima parte; sorbetto al pompelmo, tournedos al foie gras, mousse al cioccolato, nella seconda), si conversa dei massimi sistemi, si intrecciano relazioni sensual- sentimentali trasversali sino a quando il legame saffico viene reciso (con grande dolore di Piacere). Dal “recitar cantando” delle Camerate del Quattrocento al “chiacchierar cantando” di Richard Strauss, siamo al “desinar cantando” – una vera innovazione in quanto i quattro cantanti mangiano e bevono durante le tre ore circa di uno spettacolo di rara eleganza e raffinatezza. Siamo nel mondo di Antonioni, di Rohmer, di Aldomovar.
Gli interpreti sono tutti giovani, a cominciare dal 31nne Matteo Messori e dei componenti della Cappella Augustana da lui fondata e con la quale ha già prodotto cofanetti di musica barocca (l’integrale di Schűtz) accolti con favore dal pubblico e dalla critica. La concertazione è ricca, sensuale – distante dall’apologo moraleggiante - e tesa a scavare nella profondità dei personaggi e nella loro interazione. L’opera viene presentata in edizione integrale- quindi con “da capo” e “ritornelli”; da apprezzarsi la maestria con cui Messori e la Cappella riescono ad articolare variazioni , evitando , dunque, un ripetitivo che può ingenerare noia.
La Bellezza è la giovanissima Monica Tarone, un soprano lirico puro (tendente al soprano leggero). E’ alle prese con un ruolo massacrante: 13 numeri (di cui dieci aree) dei 30 del lavoro. Dunque, utilizza con sagacia l’emissione per evitare di giungere stanca alla lunga e difficile aria finale Tu del Ciel ministro eletto. Deve raffigurare una giovane di incerto orientamento (a ragione della sua relazione con il Piacere); un ruolo arduo da interpretare e pieno di trabocchetti (anche sotto il punto di vista della recitazione). Li supera bene. E ormai più di una promessa per la lirica.
Il mezzo-soprano, ormai affermato, Marcella Orsatti Talamanca è il Piacere. Non è en travesti ma in un elegante abito da sera con cui può sfoggiare il suo décolté . Ha arie di grandi difficoltà come l’estremo tentativo di seduzione Lascia la spina (ripresa poi, con un cambiamento di ottave, in “Giulio Cesare in Egitto”). Krief va a fondo nel mutare del rapporto di coppia –da lieto e sensuale all’inizio della cena a sempre più tormentato sino alla rottura ed al dolore finale in Come nembo che sfugge dal vento).
Il Disinganno è una Sara Allegretta in gran forma. E’ ormai uno dei contralti più apprezzati per le esecuzioni di musica barocca. E’ un Disinganno astuto, intellettuale, quasi freddo che sa come insinuare dubbi e mettere in crisi la coppia Bellezza e Piacere. Specialmente importanti i due duetti con il Tempo (Nasce l’uomo ma nasce bambino; Il bel pianto dell’aurora) ; nel primo installano incertezza in Bellezza; nel secondo inneggiano alla loro vittoria.
A contrasto di queste vocalità femminili (in cui non mancano affatto sfoggi di coloratura) il Tempo (Danilo Formaggia) è quasi sempre nel registro di centro; sornione ed un po’ cinico, evidenzia un fraseggio temperato e molto curato.
In breve, un lavoro che speriamo vada in tournée in Italia ed all’estero.

Rimini. Sagra Malatestiana – Teatro degli Atti 1 settembre 2007-09-01

Giuseppe Pennisi

LA BELLEZZA RAVVEDUTA
NEL TRIONFO DEL TEMPO E DEL DISINGANNO
Testo del Cardinal Benedetto Panfili
Musica di Georg Friderch Händel

Regia, scene, costumi e luci Denis Krief
Direzione musicale Matteo Messori
Orchestra……………………………………………………..Cappella Augustana

Bellezza…………………………………………Monica Tarone
Piacere Marcella Orsetti Talamanca
Disinganno………………………………………Sara Allegretti
Tempo……………………………………………Danilo Formaggia
Il cameriere………………………………………Marco Tempesta

Nessun commento: